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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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AIR CONDITIONED - NUOVO SCANDALO IN FORMULA 1

di Roberto Maurelli

 

Struttura e funzionamento dell’intercooler

In quasi tutte le vetture moderne equipaggiate con propulsori sovralimentati, è ormai presente un dispositivo chiamato “intercooler”. Spesso la sua definizione è ignota alla maggior parte dei lettori e rimane uno dei tanti misteri delle sempre più complesse schede tecniche.

Eppure non si tratta di un argomento particolarmente inaccessibile. Infatti, ogni vettura sovralimentata, dispone, come è noto, di un compressore che invia ai cilindri, ad ogni ciclo, una quantità di aria superiore a quella che potrebbe essere aspirata autonomamente in quelle date condizioni ambientali. Per essere ancora più chiari: il volume dei cilindri rimane invariato, ma aumenta la quantità di aria immessa al loro interno (ossia la densità) in modo da poter bruciare più carburante e garantire cicli del motore più vigorosi.

Non basta, però, immettere nuovamente i gas combusti all’interno del cilindro; bisogna garantire anche che questi subiscano il giusto raffreddamento. A questo provvede, appunto, l’intercooler, che riesce ad abbassare la temperatura di parecchi gradi (a seconda dei casi da 60° a 110°C). Questo processo è fondamentale poiché la fisica insegna che il riscaldamento delle molecole comporta una diminuzione della densità, un parametro che, come detto prima, deve essere tanto più elevato quanto maggiori sono le prestazioni che si intendono raggiungere.

Per dovere di cronaca, bisogna tenere presente che il riscaldamento dell’aria è inversamente proporzionale al rendimento e direttamente proporzionale alla pressione di sovralimentazione del compressore. Ecco spiegato il motivo per cui diventa fondamentale disporre di un compressore con un elevato rendimento. Non si può, invece, limitare troppo la pressione di sovralimentazione che, nei moderni motori ad alte prestazioni, tende a raggiungere valori davvero impressionanti; insomma, l’intercooler è proprio necessario e senza il suo importante contributo non si riuscirebbe affatto ad incrementare la PME, e quindi la potenza.

Si potrebbe obiettare che, dati alla mano, un abbassamento della temperatura di 10°C comporta, al massimo, un aumento di potenza nell’ordine del 2-3%. Certo, ma c’è un’altra ottima ragione per ridurre la temperatura dell’aria fornita ai cilindri: le sollecitazioni termiche a cui sono sottoposti i componenti (fra tutti valvole e pistoni) crescono in maniera esponenziale con l’aumentare della temperatura dell’aria immessa nei cilindri; inoltre, nei motori a benzina, il raffreddamento della carica riduce il rischio di detonazione, che è determinato proprio dalle notevoli differenze fra la temperatura dell’aria esterna e interna al motore…    

Spiegata la funzione, veniamo ora alla descrizione tecnica degli intercoolers. Essi sono dei veri e propri scambiatori di calore che possono essere del tipo aria-aria o aria-acqua.

Quelli aria-aria sono ancora oggi i più diffusi per via della loro semplicità. Il corpo centrale è costituito da una specie di radiatore per il raffreddamento; esso è collegato a due vaschette e a condotti in lega di alluminio (materiale leggero e ad elevata conduttività termica) che permettono di convogliare e distribuire l’aria nei cilindri. Normalmente vengono collocati a lato del radiatore dell’acqua o subito davanti a questo, in modo da essere investiti liberamente dal flusso d’aria proveniente dall’esterno. Ovviamente, la loro dimensione può variare anche di molto a seconda della quantità d’aria che deve essere trattata. 

Gli intercoolers aria-acqua, invece, si caratterizzano per la presenza di un liquido di raffreddamento che circola all’interno di un apposito radiatore ed autonomi circuiti (ormai completamente distinti da quelli per il raffreddamento) grazie all’azione di una o due pompe elettriche. Il vantaggio di questi dispositivi risiede nel fatto che non hanno bisogno di una superficie particolarmente ampia per raccogliere grandi quantità d’aria; il raffreddamento, infatti, è garantito essenzialmente dal liquido refrigerante: ciò permette di ridurre notevolmente gli ingombri, facilitando il lavoro degli ingegneri che spesso sono costretti a progettare soluzioni complicate per guadagnare preziosi centimetri all’interno del vano motore. D’altro canto il maggior contenuto tecnologico viene pagato in termini di dispendio economico.

Chi volesse operare un upgrade al proprio intercooler sappia che esistono varie possibilità: 1) maggiorare gli intercooler originali; 2) aggiungere un secondo elemento in serie all'originale; 3) migliorare l’andamento dei flussi d’aria; 4) montare dei dispositivi che indirizzano un getto d’acqua nebulizzato sulla superficie dello scambiatore .

Quest’ultima soluzione è la più efficace ed è stata utilizzata anche in Formula 1, ma naturalmente è anche la più costosa poiché prevede l’installazione di appositi circuiti per il passaggio dei getti d’acqua.

(R.M.)

 

 


NUOVO SCANDALO IN FORMULA 1

Hamilton squalificato per aver mentito ai commissari

Ci risiamo. Di nuovo in ballo l’art. 151 del codice sportivo. Di nuovo, insomma, una questione di lealtà. Proprio come accaduto nel 2007 con la celeberrima “spy story”.

A dire la verità non ne possiamo più. Non si tratta di voler fare gli ipocriti, i santi né tantomeno i professorini; eppure qualcosa bisogna dirla: non si può permettere che comportamenti manifestamente antisportivi possano passare ancora una volta sotto silenzio o, comunque, non venire sanzionati con la dovuta fermezza e rigidità.

Riassumere quello che è accaduto durante la gara inaugurale della stagione, a beneficio di chi non avesse seguito la diretta, è d’obbligo: Jarno Trulli, pilota Toyota, giunto terzo al traguardo, era stato retrocesso dai commissari per un sorpasso, in regime di safety car, ai danni Lewis Hamilton, alfiere della McLaren Mercedes. La penalizzazione consentiva al pilota britannico di acciuffare i 6 punti del gradino più basso del podio, un bottino di tutto rispetto per una squadra che si era presentata a Melbourne convinta di fare cilecca… Giorni dopo la FIA ha riaperto l’inchiesta per esaminare le conversazioni via radio tra il muretto ed Hamilton. Registrata l’evidente discrepanza tra quanto riferito ai commissari nel dopo gara dal pilota di Sua Maestà (nonché Campione del Mondo in carica…) e quanto affermato nelle conversazioni via radio, i giudici non hanno avuto altra scelta che escluderlo dalla classifica finale, restituendo a Trulli la meritata terza piazza.

Il giorno dopo la decisione, puntuali come un orologio svizzero, sono arrivate le scuse di Hamilton, riportate nel corso di una conferenza stampa indetta a Sepang: “Mi dispiace molto per la situazione che si è venuta a creare. Sono stato male consigliato e chiedo scusa. Chiedo scusa a tutti e sono sicuro che non accadrà di nuovo. Non sono un disonesto. Non ho ancora incontrato Jarno per scusarmi. È una situazione molto imbarazzante per me e la mia famiglia”.

Sono fra quelli che, in questi casi, ritengono necessario il chiarimento con la stampa e, di conseguenza, con il pubblico. Quando si verificano tali incresciose situazioni non si può risolvere la questione esclusivamente fra le parti interessate; è moralmente essenziale che vi sia un chiarimento plateale, anche per dare un esempio a tutti quei ragazzi che seguono questo sport e che vedono nei piloti una sorta di eroi, di modelli da imitare.

Eppure non riesco a dirmi soddisfatto; le frasi sopra riportate non riescono a ridare lustro all’immagine offuscata di un pilota che considero fra i più talentuosi del circus. Hamilton dice di non essere un disonesto, eppure molti di noi ricordano tante sue manovre “poco corrette”. Lui vorrebbe dire: “Ho fatto delle cose disoneste, ma sono onesto, in fondo”, ma non vi è alcuna differenza fra il COMPIERE gesti disonesti ed ESSERE disonesti. Bisognerebbe che qualcuno lo spiegasse al giovane Lewis.

D’altra parte Hamilton non si sente completamente colpevole: sostiene di essere stato “mal consigliato” da Dave Ryan, direttore sportivo della squadra, prontamente silurato dopo trent’anni di fedele servizio alla corte di Ron Dennis. Inutile dire che sono più che certo del coinvolgimento della squadra in questa vicenda; tuttavia dubito anche che il brillante pilota inglese possa raffigurarsi come una pecorella indifesa vittima di un mondo di lupi… La storia di questo splendido sport insegna che i grandi talenti hanno sempre dimostrato di avere, oltre al piede pesante, uno spessore umano di primo livello. Un pilota e, soprattutto, un Campione del Mondo deve saper distinguere, nella solitudine dell’abitacolo della sua monoposto, ciò che è lecito da ciò che non lo è. Ne va del suo nome, della sua dignità. Questo non è accaduto a Melbourne e vorrei tanto sapere perché. Da un lato sono cosciente che la McLaren non è affatto estranea a comportamenti antisportivi, dall’altro non mi sento di circoscrivere il problema al solo box inglese. Nella Formula 1 di oggi sta avvenendo qualcosa di tanto spiacevole quanto prevedibile. I piloti somigliano sempre di più a degli impiegati, totalmente identificati nei colori della loro squadra e soggetti al “supremo volere” delle Case costruttrici e degli sponsor. Ormai sulle monoposto salgono sempre più spesso dei ragazzini che a stento hanno la patente, ai quali non si può chiedere di avere la maturità dei veterani di un tempo. La maggior parte di loro, inoltre, è riuscita ad emergere dalle categorie minori non solo grazie al talento, ma anche attraverso i cospicui  finanziamenti delle scuderie di F1, cui rimangono legati a doppio filo. Una volta l’automobilismo era uno sport molto più “casereccio”, mentre oggi l’enorme apparato organizzativo, mediatico, commerciale ed economico sta avendo la meglio sulle individualità. A farne le spese, come sempre, lo spettacolo, la lealtà sportiva e il romanticismo delle corse d’auto. Peccato.  

 

Roberto Maurelli


 

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