AIR CONDITIONED - NUOVO
SCANDALO IN FORMULA 1
di Roberto Maurelli
Struttura e funzionamento
dell’intercooler
In quasi tutte le vetture moderne equipaggiate con propulsori
sovralimentati, è ormai presente un dispositivo chiamato “intercooler”.
Spesso la sua definizione è ignota alla maggior parte dei lettori e
rimane uno dei tanti misteri delle sempre più complesse schede tecniche.
Eppure non si tratta di un argomento particolarmente inaccessibile.
Infatti, ogni vettura sovralimentata, dispone, come è noto, di un
compressore che invia ai cilindri, ad ogni ciclo, una quantità di aria
superiore a quella che potrebbe essere aspirata autonomamente in quelle
date condizioni ambientali. Per essere ancora più chiari: il volume dei
cilindri rimane invariato, ma aumenta la quantità di aria immessa al
loro interno (ossia la densità) in modo da poter bruciare più carburante
e garantire cicli del motore più vigorosi.
Non basta, però, immettere nuovamente i gas combusti all’interno del
cilindro; bisogna garantire anche che questi subiscano il giusto
raffreddamento. A questo provvede, appunto, l’intercooler, che riesce ad
abbassare la temperatura di parecchi gradi (a seconda dei casi da 60° a
110°C). Questo processo è fondamentale poiché la fisica insegna che il
riscaldamento delle molecole comporta una diminuzione della densità, un
parametro che, come detto prima, deve essere tanto più elevato quanto
maggiori sono le prestazioni che si intendono raggiungere.
Per dovere di cronaca, bisogna tenere presente che il riscaldamento
dell’aria è inversamente proporzionale al rendimento e direttamente
proporzionale alla pressione di sovralimentazione del compressore. Ecco
spiegato il motivo per cui diventa fondamentale disporre di un
compressore con un elevato rendimento. Non si può, invece, limitare
troppo la pressione di sovralimentazione che, nei moderni motori ad alte
prestazioni, tende a raggiungere valori davvero impressionanti; insomma,
l’intercooler è proprio necessario e senza il suo importante contributo
non si riuscirebbe affatto ad incrementare la PME, e quindi la potenza.
Si potrebbe obiettare che, dati alla mano, un abbassamento della
temperatura di 10°C comporta, al massimo, un aumento di potenza
nell’ordine del 2-3%. Certo, ma c’è un’altra ottima ragione per ridurre
la temperatura dell’aria fornita ai cilindri: le sollecitazioni termiche
a cui sono sottoposti i componenti (fra tutti valvole e pistoni)
crescono in maniera esponenziale con l’aumentare della temperatura
dell’aria immessa nei cilindri; inoltre, nei motori a benzina, il
raffreddamento della carica riduce il rischio di detonazione, che è
determinato proprio dalle notevoli differenze fra la temperatura
dell’aria esterna e interna al motore…
Spiegata la funzione, veniamo ora alla descrizione tecnica degli
intercoolers. Essi sono dei veri e propri scambiatori di calore che
possono essere del tipo aria-aria o aria-acqua.
Quelli aria-aria sono ancora oggi i più diffusi per via della loro
semplicità. Il corpo centrale è costituito da una specie di radiatore
per il raffreddamento; esso è collegato a due vaschette e a condotti in
lega di alluminio (materiale leggero e ad elevata conduttività termica)
che permettono di convogliare e distribuire l’aria nei cilindri.
Normalmente vengono collocati a lato del radiatore dell’acqua o subito
davanti a questo, in modo da essere investiti liberamente dal flusso
d’aria proveniente dall’esterno. Ovviamente, la loro dimensione può
variare anche di molto a seconda della quantità d’aria che deve essere
trattata.
Gli intercoolers aria-acqua, invece, si caratterizzano per la
presenza di un liquido di raffreddamento che circola all’interno di un
apposito radiatore ed autonomi circuiti (ormai completamente distinti da
quelli per il raffreddamento) grazie all’azione di una o due pompe
elettriche. Il vantaggio di questi dispositivi risiede nel fatto che non
hanno bisogno di una superficie particolarmente ampia per raccogliere
grandi quantità d’aria; il raffreddamento, infatti, è garantito
essenzialmente dal liquido refrigerante: ciò permette di ridurre
notevolmente gli ingombri, facilitando il lavoro degli ingegneri che
spesso sono costretti a progettare soluzioni complicate per guadagnare
preziosi centimetri all’interno del vano motore. D’altro canto il
maggior contenuto tecnologico viene pagato in termini di dispendio
economico.
Chi volesse operare un upgrade al proprio intercooler sappia che
esistono varie possibilità: 1) maggiorare gli intercooler originali; 2)
aggiungere un secondo elemento in serie all'originale; 3) migliorare
l’andamento dei flussi d’aria; 4) montare dei dispositivi che
indirizzano un getto d’acqua nebulizzato sulla superficie dello
scambiatore .
Quest’ultima soluzione è la più efficace ed è stata utilizzata anche
in Formula 1, ma naturalmente è anche la più costosa poiché prevede
l’installazione di appositi circuiti per il passaggio dei getti d’acqua.
(R.M.)
NUOVO SCANDALO IN FORMULA 1
Hamilton squalificato per aver mentito ai
commissari
Ci risiamo. Di nuovo in ballo l’art. 151 del codice sportivo. Di
nuovo, insomma, una questione di lealtà. Proprio come accaduto nel 2007
con la celeberrima “spy story”.
A dire la verità non ne possiamo più. Non si tratta di voler fare gli
ipocriti, i santi né tantomeno i professorini; eppure qualcosa bisogna
dirla: non si può permettere che comportamenti manifestamente
antisportivi possano passare ancora una volta sotto silenzio o,
comunque, non venire sanzionati con la dovuta fermezza e rigidità.
Riassumere quello che è accaduto durante la gara inaugurale della
stagione, a beneficio di chi non avesse seguito la diretta, è d’obbligo:
Jarno Trulli, pilota Toyota, giunto terzo al traguardo, era stato
retrocesso dai commissari per un sorpasso, in regime di safety car, ai
danni Lewis Hamilton, alfiere della McLaren Mercedes. La penalizzazione
consentiva al pilota britannico di acciuffare i 6 punti del gradino più
basso del podio, un bottino di tutto rispetto per una squadra che si era
presentata a Melbourne convinta di fare cilecca… Giorni dopo la FIA ha
riaperto l’inchiesta per esaminare le conversazioni via radio tra il
muretto ed Hamilton. Registrata l’evidente discrepanza tra quanto
riferito ai commissari nel dopo gara dal pilota di Sua Maestà (nonché
Campione del Mondo in carica…) e quanto affermato nelle conversazioni
via radio, i giudici non hanno avuto altra scelta che escluderlo dalla
classifica finale, restituendo a Trulli la meritata terza piazza.
Il giorno dopo la decisione, puntuali come un orologio svizzero, sono
arrivate le scuse di Hamilton, riportate nel corso di una conferenza
stampa indetta a Sepang: “Mi dispiace molto per la situazione che si è
venuta a creare. Sono stato male consigliato e chiedo scusa. Chiedo
scusa a tutti e sono sicuro che non accadrà di nuovo. Non sono un
disonesto. Non ho ancora incontrato Jarno per scusarmi. È una situazione
molto imbarazzante per me e la mia famiglia”.
Sono fra quelli che, in questi casi, ritengono necessario il
chiarimento con la stampa e, di conseguenza, con il pubblico. Quando si
verificano tali incresciose situazioni non si può risolvere la questione
esclusivamente fra le parti interessate; è moralmente essenziale che vi
sia un chiarimento plateale, anche per dare un esempio a tutti quei
ragazzi che seguono questo sport e che vedono nei piloti una sorta di
eroi, di modelli da imitare.
Eppure non riesco a dirmi soddisfatto; le frasi sopra riportate non
riescono a ridare lustro all’immagine offuscata di un pilota che
considero fra i più talentuosi del circus. Hamilton dice di non essere
un disonesto, eppure molti di noi ricordano tante sue manovre “poco
corrette”. Lui vorrebbe dire: “Ho fatto delle cose disoneste, ma sono
onesto, in fondo”, ma non vi è alcuna differenza fra il COMPIERE gesti
disonesti ed ESSERE disonesti. Bisognerebbe che qualcuno lo spiegasse al
giovane Lewis.
D’altra parte Hamilton non si sente completamente colpevole: sostiene
di essere stato “mal consigliato” da Dave Ryan, direttore sportivo della
squadra, prontamente silurato dopo trent’anni di fedele servizio alla
corte di Ron Dennis. Inutile dire che sono più che certo del
coinvolgimento della squadra in questa vicenda; tuttavia dubito anche
che il brillante pilota inglese possa raffigurarsi come una pecorella
indifesa vittima di un mondo di lupi… La storia di questo splendido
sport insegna che i grandi talenti hanno sempre dimostrato di avere,
oltre al piede pesante, uno spessore umano di primo livello. Un pilota
e, soprattutto, un Campione del Mondo deve saper distinguere, nella
solitudine dell’abitacolo della sua monoposto, ciò che è lecito da ciò
che non lo è. Ne va del suo nome, della sua dignità. Questo non è
accaduto a Melbourne e vorrei tanto sapere perché. Da un lato sono
cosciente che la McLaren non è affatto estranea a comportamenti
antisportivi, dall’altro non mi sento di circoscrivere il problema al
solo box inglese. Nella Formula 1 di oggi sta avvenendo qualcosa di
tanto spiacevole quanto prevedibile. I piloti somigliano sempre di più a
degli impiegati, totalmente identificati nei colori della loro squadra e
soggetti al “supremo volere” delle Case costruttrici e degli sponsor.
Ormai sulle monoposto salgono sempre più spesso dei ragazzini che a
stento hanno la patente, ai quali non si può chiedere di avere la
maturità dei veterani di un tempo. La maggior parte di loro, inoltre, è
riuscita ad emergere dalle categorie minori non solo grazie al talento,
ma anche attraverso i cospicui finanziamenti delle scuderie di F1, cui
rimangono legati a doppio filo. Una volta l’automobilismo era uno sport
molto più “casereccio”, mentre oggi l’enorme apparato organizzativo,
mediatico, commerciale ed economico sta avendo la meglio sulle
individualità. A farne le spese, come sempre, lo spettacolo, la lealtà
sportiva e il romanticismo delle corse d’auto. Peccato.
Roberto Maurelli |