IL CURVATORE DI VENTURA
La troppo breve storia di Ronnie Peterson
di Roberto Maurelli
Bengt Ronald Peterson, detto
Ronnie, nacque a Orebro, in Svezia, il 14 febbraio del 1944. Come tanti
virtuosi della pista, non riuscì mai a conquistare un Titolo mondiale in
Formula 1. La sua carriera iniziò sui " macinini ", ossia sui go-kart.
Nonostante la notevole altezza e, quindi, il considerevole peso corporeo
ottenne alcuni successi, che gli valsero il rispetto degli addetti ai
lavori. In quegli anni, il giovane Peterson apprese l'arte del
controsterzo, che caratterizzerà in modo marcato il suo stile di guida
da "curvatore di ventura" anche negli anni a venire. Dai kart, a
differenza di quanto avviene oggi, passò direttamente alla Formula 3,
dove ottenne risultati di primissimo livello, arrivando anche a vincere
il titolo mondiale nel 1968 e nel 1969 al volante di una vettura
italiana, la Tecno. Nel 1970 vinse, al primo colpo, il Titolo mondiale
di Formula 2, disputando contemporaneamente il Campionato Mondiale di
Formula 1.
Già nel 1971, al volante di una non eccelsa March, Ronnie
ebbe l'opportunità di farsi notare conquistando una serie di podi grazie
ai quali giunse secondo nella classifica generale; davanti a lui solo il
grandissimo Jackie Stewart. Gli scarsi risultati del 1972 lo spinsero ad
accettare, per l'anno seguente, un volante alla Lotus.
Nella scuderia inglese il suo talento offuscò perfino
quello del campione del mondo in carica, il suo compagno di squadra
Emerson Fittipaldi; il bilancio finale di quella stagione indicava un
bottino di nove pole position e di quattro gran premi vinti, sufficienti
per giungere nuovamente secondo nella classifica finale, sempre alle
spalle del solito Jackie Stewart.
Inspiegabilmente nel 1974 Peterson rientrò alla March,
dove riuscì a conquistare solo il gran premio d'Italia. L'anno dopo si
spostò alla Tyrrel, dove però ottenne pochi risultati utili. Furono anni
veramente difficili, in cui il pilota dovette lottare, prima che con i
suoi avversari, con l'inferiorità meccanica dei mezzi che guidava. Gli
anni passavano, ma non arrivavano quei successi che le sue gesta in
pista avrebbero fatto presagire. Neppure la Ferrari, che pure lo aveva
ingaggiato per guidare in alcune gare per vetture sport, lo contattò mai
per proporgli un contratto in Formula 1.
Finalmente, nel 1978, il ritorno alla Lotus, una vettura
che quell'anno era un gradino sopra tutte le altre; la sua principale
caratteristica era la capacità di sfruttare l'effetto che la rendeva
letteralmente "incollata alla pista". Il suo compagno di squadra, il
pilota americano Andretti, vantava però, sorretto anche dagli sponsor,
un contratto da prima guida e, quindi, Ronnie dovette accontentarsi
degli avanzi; nonostante le avversità, in più di un'occasione, mostrò
una abilità di guida cristallina ed un'attitudine per il sorpasso
davvero eccezionale. Memorabile rimane l'episodio della sua ribellione a
Colin Chapman: quando i meccanici gli montarono durante le prove
ufficiali di un Gran Premio delle gomme manifestamente inferiori a
quelle del suo compagno di scuderia, fece segnare con rabbia il miglior
tempo della sessione e, rientrato ai box, ancora nell'abitacolo, mostrò
senza timidezza il dito medio al Patron della scuderia inglese che aveva
provato ad umiliare il suo talento.
Purtroppo il 1978 fu l'ultimo anno in cui il pubblico
poté ammirare la spettacolarità del pilota svedese.
Al via del Gran Premio di Monza, infatti, Ronnie era
sempre più solo, penalizzato ancora una volta dalla sua squadra che gli
aveva assegnato una vettura dell'anno precedente per non metterlo in
competizione con Andretti. Dopo poco più di trecento metri dalla linea
di partenza della gara, un terribile incidente gli costò la vita. Venne
immediatamente trasportato in ospedale per essere operato, ma qualche
ora dopo sopraggiunse una crisi respiratoria che se lo portò via alle
10:10 del mattino seguente. Nell'incidente furono coinvolti anche
Riccardo Patrese, James Hunt, Clay Regazzoni e Vittorio Brambilla. Anni
dopo si scoprì che tutto era stato causato da un errore della direzione
di gara che aveva dato il via troppo in anticipo, quando le vetture
nelle ultime file non si erano ancora schierate sulla griglia di
partenza. Questa indagine scagionò definitivamente il nostro Riccardo
Patrese, che era stato ingiustamente accusato di aver dato il via alla
carambola.
Appena saputo del decesso, Colin Chapman ebbe a dire
semplicemente "Succede"; Andretti neppure scese dalla sua macchina
quando, nel cortile dell'ospedale, lo avvisarono dell'accaduto.
Probabilmente Ronnie si trova ora in qualche luogo
incantato, in una sorta di paradiso dei campioni morti troppo giovani,
nel quale può giocare con quei pesciolini colorati che gli piaceva tanto
collezionare ed osservare da ragazzo.
Roberto
Maurelli |
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