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OGM: sicurezza o dipendenza alimentare?
di Mirco Gigliotti
“Possibilità
di garantire in modo costante e generalizzato acqua e alimenti per
soddisfare il fabbisogno energetico di cui l’organismo necessita per la
sopravvivenza e la vita, in condizioni igieniche”.
Con queste
parole è generalmente definito il concetto di sicurezza alimentare,
l’altra risorsa fondamentale, oltre ad aria e acqua, senza la quale non
può esserci vita. Il cibo, il prodotto della biodiversità agraria
che abbraccia tutte le componenti proprie dell’agricoltura. La
biodiversità agraria fornisce il materiale grezzo con cui scienziati e
agricoltori sono in grado di sviluppare colture ad alte rese, con alto
valore nutrizionale, capaci di resistere a malattie, parassiti, e
adattarsi al cambiamento climatico. La diversità, infatti, è uno
strumento fondamentale per contrastare l’effetto che i mutamenti
climatici hanno sull’agricoltura, dato che le varie specie esistenti
possono più facilmente adattarsi alle nuove situazioni.
Purtroppo la biodiversità agraria è minacciata da vari fenomeni che
stanno contribuendo alla scomparsa di un numero sorprendente di varietà
coltivate, come la diffusione delle monoculture, la corsa alla
produzione di biocarburanti, l’abbandono delle aree rurali.
In risposta
alle crescenti problematiche e insicurezze alimentari mondiali, gli
OGM (organismi geneticamente modificati) sono stati indicati
da molti come la soluzione ottimale. Per OGM si intende “un organismo
diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato
in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la
ricombinazione genetica naturale”.
Per alcuni scienziati il termine OGM è comunque sbagliato, ad esempio
per il professor Gianni Tamino, docente di biologia generale e dal 2001
di Fondamenti di Diritto Ambientale al dipartimento di Biologia
dell’Università di Padova, il termine corretto è organismo
transgenico, cioè un organismo in cui è stato innestato un gene
estraneo all’interno del proprio DNA, tramite tecniche di ricombinazione
o di ingegneria genetica. Ma è proprio qui che sorgono i problemi,
perché ancora oggi non è possibile controllare in maniera efficace
questa tecnica, e non conoscendo le caratteristiche e le regole di
composizione che mettono in relazione i diversi geni, se ne altera il
funzionamento. Renato Dulbecco ha affermato: “ogni volta che
inseriamo in una cellula un gene estraneo, molti altri geni vengono
alterati nel loro funzionamento. Solo che noi non sappiamo né quali, né
quando, né come saranno alterati”.
La
modificazione del genoma degli esseri viventi da parte dell'uomo, in
ogni caso, è una pratica antichissima che può essere fatta risalire a
circa 14.000 anni fa con l'addomesticamento del cane, ma l'uomo ha preso
coscienza dell'effetto, a livello genetico, causato dai propri programmi
di selezione solo dalla prima metà del 1900, inizialmente queste
tecniche erano indotte in larga parte inconsapevolmente. Il primo OGM
moderno fu ottenuto nel
1973
da
Stanley Cohen
(Stanford University School of Medicine) e Herbert Boyer (University
of California, San Francisco), che dimostrarono la possibilità di
trasferire materiale genetico da un organismo a un altro.
Furono i primi che riuscirono a clonare un gene di rana all'interno del
batterio Escherichia coli. Mentre, la prima grande applicazione della
biotecnologia alla produzione alimentare è stato l’ormone della crescita
bovina, RBGH, meglio conosciuto come Posilac, prodotto
dalla Monsanto nel 1994. Oltre al contributo derivato dalla ricerca, in
vari casi le multinazionali “rubano” la conoscenza delle
popolazioni locali (specie nei Paesi in via di Sviluppo), che per
secoli, grazie a un’attenta opera di osservazione, selezione e
sperimentazione svolta dai contadini hanno creato varietà diverse per
meglio adattarsi alle mutevoli condizioni ambientali, alle esigenze
alimentari e ai gusti. Il merito dei contadini viene succhiato dai
brevetti delle Multinazionali, che fanno proprie queste conoscenze
impedendo, di fatto, ai contadini la possibilità di coltivare quello che
per secoli era stata per loro la normalità. Uno degli esempi più famosi
ci viene dall’India, il caso del Neem
(Azadirachta indica), un albero conosciuto da vari secoli e utilizzato
per diversi scopi, dal campo medico a quello agricolo, ma nessuno mai si
era sognato di brevettare i prodotti di questo albero, era un sapere
libero che poteva essere scambiato (tanto che l’albero viene chiamato
anche albero gratuito). Da quando i paesi occidentali hanno
manifestato avversione contro i pesticidi chimici, scoprendo le
proprietà di quest’albero, hanno spostato la loro attenzione sui suoi
prodotti, tanto che nel 1985 la multinazionale W.R. Grace
acquistò il brevetto, attrezzandosi da subito per produrre e commerciare
le sementi di Neem. La domanda di sementi da parte della multinazionale
ne fece aumentare il prezzo, che salì sopra la portata della gente
comune, quasi tutte le sementi raccolte, un tempo libere, erano
acquistate dalla Grace che faceva valere il suo peso economico, mentre
la povera gente non aveva più accesso a una risorsa vitale per la
sopravvivenza. Aveva espropriato il frutto di secoli di sperimentazioni
e ricerche scientifiche locali la proprio vantaggio. Il Neem non era
più un albero gratuito. Ma l’8 Marzo 2005, l’Ufficio brevetti
europeo ha revocato il brevetto detenuto congiuntamente dalla W.R Grace
e dagli Stati Uniti
in quanto basato sull’appropriazione indebita di conoscenze persistenti
e privo del carattere di novità e creatività.
Le
controversie maggiori sull'uso degli OGM in ambito agroalimentare
riguardano: 1) i potenziali rischi per l'ambiente e per la salute umana
e animale (famoso il caso del dott. Arpad Pusztai,
scienziato-ricercatore dal 1968-1998 presso il
Rowett Research
Institute di
Aberdeen
che, nel 1998, fu allontanato dal suo posto di lavoro per aver
annunciato, tramite le sue ricerche sulla patata geneticamente
modificata[8],
l’insorgenza di alterazioni fisiologiche e anatomiche nelle cavie usate
in laboratorio); 2) l’impoverimento della biodiversità perché queste
colture utilizzano grandi superfici per un sistema a monocoltura,
riducendo le specie, i sapori e i saperi; 3) la possibilità di
coesistenza tra colture OGM e non-OGM, perché l’agricoltura fa parte di
un sistema vivente e comunicante, dove le barriere naturali non sono
sufficienti a proteggere le coltivazioni biologiche e convenzionali
dagli OGM (rappresentativo è il caso del Mais Messicano contaminato da
OGM studiato da Ignacio Chapela, ricercatore presso l’Università
di Berkeley in California. I suoi risultati sono stati pubblicati nel
2001 su Nature: “Transgenic DNA introgressed into traditional maize
landraces in Oaxaca, Mexico”);
4) inoltre, la loro introduzione in aree rurali ha un forte impatto
socio-economico, soprattutto in paesi in via di sviluppo, dove i
contadini vedono limitata la propria libertà per la presenza di sementi
di proprietà delle multinazionali, alle quali devono rivolgersi per ogni
nuova semina, così come per i prodotti che affiancano le sementi.
Mentre
dentro il palazzo dell’ONU, si afferma che l’agricoltura familiare, la
tanto bistrattata agricoltura di sussistenza, difendeva la popolazione a
rischio malnutrizione, le multinazionali sostengono che solo gli OGM
salveranno il mondo dalla fame, eppure, come afferma, Carlo Petrini
di Slow Food “da quando è iniziata la commercializzazione (circa 15
anni fa) il numero degli affamati non ha fatto che crescere, proprio
come i fatturati delle aziende che li producono”.
Gli OGM rischiano di essere l’ennesimo tassello di un tipo di
agricoltura che risponde in primis a requisiti commerciali,
spingendo verso prodotti poco costosi, che necessitano per essere
competitivi, di aumentare la produttività del terreno attraverso un
ampio uso di erbicidi e concimi. Una visione estremamente limitata del
progresso che relega l’agricoltura a semplice elemento di mercato. Oggi,
la quasi totalità degli organismi transgenici in commercio nel mondo
sono riconducibili a quattro specie: mais, soia, cotone e colza. In
questi OGM vengono generalmente effettuate due modifiche, una diretta
alla resistenza agli erbicidi e l’altra alla resistenza agli insetti e
ai parassiti. Questi prodotti, attraverso varie modalità, si infiltrano
nella nostra vita, protetti dalle concentrazioni minime (0,9%) che non
obbligano a dichiararli sull’etichetta, sapientemente occultati fra
bevande di soia e farine (le stesse che vengono servite quotidianamente
nelle stalle). Secondo Greenpeace oltre il 90 per cento degli Ogm
importati in Europa consiste in soia e mais destinati agli animali come
mangimi.
Con questi stessi animali, nutriti con prodotti modificati, vengono
realizzati prodotti alimentari che spesso si fregiano del marchio DOP
(il famoso made in Italy), senza nessuna informazione e/o
etichetta per il consumatore. E’ in questo modo che l’OGM si presenta
nella nostra tavola e si confonde nella nostra dieta, giunge invisibile,
nascosto.
Al
momento l’unico modo per contrastare l’avanzata di queste politiche, è
di utilizzare l’informazione e il coinvolgimento attivo dei produttori e
dei cittadini.
(Giu.2010)
Altro Magazine, marzo 2008: “2010, un anno per la biodiversità”.
Documentario: “Il mondo secondo Monsanto. Storia di una
multinazionale che vi vuole molto bene” - Autore: Marie-Monique
Robin – Coproduzione Franco-Canadese 2010.
Mirco Gigliotti |