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Legami
di
Marco Palagi
Il dottor House è un
bastardo! Non uno che ci fa, lui c’è per davvero, ci si impegna, è una
spina in un fianco, dispotico, cinico, arrogante, maleducato, rifugge i
rapporto umani, giudica, pretende, offende... Totò direbbe che è un
uomo così antipatico che dopo la sua morte i parenti chiedono il bis.
È un uomo pieno di difetti nella sua genialità ma, fondamentalmente, è
un uomo solo e infelice. Un infarto a un muscolo della gamba destra lo
costringe a vivere quotidianamente nel dolore, a drogarsi di medicine
per rifuggirlo, a ‘inebriarsi’ dei casi clinici per schivarlo. E un uomo
solo, per quanto possa essere bastardo, vuole quello che vogliono tutti
prima o poi: un legame. E i legami vanno al di là delle definizioni di
etero o gay, i legami pretendono una connessione con un altro essere
umano, un contatto fisico e viscerale, qualcosa che possa portarci in
quel posto chiamato ‘casa’ ma che non è fatto di mattoni e cemento,
bensì di calore e condivisione.
In questo tempo di
vacanze un uomo solo si sente più solo e non c’è bisogno di utilizzare
come esempio il personaggio fittizio di una serie
tv per capirlo, un uomo
deve condividere la propria vita con un’altra persona. Punto.
La famiglia del 2011 è
molto distante da quella di cinquant’anni fa, non solo in termini
temporali. I matrimoni scarseggiano o non durano, le relazioni stentano
a maturare e si fa sempre più fatica ad accettare ciò che non è perfetto
per i nostri standard. Ma in fondo cos’è veramente perfetto?
Ecco una domanda alla
Marzullo. Una donna bionda con gli occhi azzurri e un bel corpo? Un uomo
palestrato e coraggioso? Probabilmente non solo questo. Cosa allontana
allora le persone? È una domanda a cui ognuno di noi potrebbe rispondere
da solo. Ciò che allontana il dottor Gregory House dai legami è la
terribile e sacrosanta paura del dolore.
House mette alla prova
il proprio team, lo spinge al limite professionalmente e personalmente,
contribuisce a mandare all’aria le loro vite affinché, nel riuscirci,
possa avere con loro un qualche perverso momento di condivisione, nella
sconfitta e nel dolore. Il suo proposito non è sbagliato, forse lo è il
modo, ma quel geniaccio di diagnosta sa che nella prova ci sta il
successo tanto quanto la sconfitta, è una lotta alla pari. Così come
arriva alla diagnosi giusta mettendo alla prova e in pericolo la vita
dei pazienti.
House è solo, questo lo
abbiamo detto. Il suo unico amico, badate bene non è un pediatra, è un
oncologo, un uomo che sa cos’è il dolore altrui ed è l’unico che può
sostenere la sua pazzia. E un istituto di salute mentale ha accolto
quella pazzia, un paio di stagioni fa, per ripulirlo dalle droghe
tentando di renderlo più umano.
I legami si possono
costruire anche a distanza. Adottare un bambino, così come la dottoressa
Cuddy fa nella sesta stagione del telefilm, è una benedizione e non solo
una donna sente il bisogno di avere un figlio e di sentirsi chiamare
mamma. Anche i maschietti, nella loro apparente imperturbabilità e
freddezza, spesso si addormentano la sera con la speranza che una donna
possa accoglierli nelle loro vite, questo è vero, ma in fondo ogni uomo,
prima o poi, vuol sentirsi chiamare papà.
Quello che la settima
serie di questo telefilm, da poco conclusa in America e in corso in
Italia, ci dirà è che tutti, prima o poi, ci abbandoniamo alla necessità
di un legame, sebbene ci terrorizzi e affascini e respinga e abbracci.
La dottoressa Cuddy è al di là di quello scoglio che arginava il mare,
come direbbe Battisti, e basta un leggero salto per raggiungerla, basta
un po’ di coraggio per non aver più bisogno del Vicodin.
A
volte sono i compagni a trovare noi. E per quanto proviamo a
respingerli, riescono sempre a entrare nelle nostre vite. Fino a quando
non capiamo quanto avevamo bisogno di loro.
Marco Palagi |