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PANNELLI SOLARI AL MIRTILLO

di Virginia Pavoni

 

Che la frutta e la verdura fossero un buon carburante per l’organismo lo sapevamo già, ma che ne direste se lo fossero anche per alimentare pannelli fotovoltaici? E’ proprio quello che sta succedendo in Italia, grazie al Polo Solare Organico della Regione Lazio, (“C.H.O.S.E.”, acronimo di “Center for Hybrid and Organic Solar Energy), Centro di Ricerca integrato all’Università Tor Vergata di Roma, dove la sperimentazione, è proprio il caso di dirlo, non si è risparmiata dallo scendere in campo…o meglio nell’orto! Ormai da cinque anni dall’inaugurazione del Chose, infatti, arance, frutti di bosco e spinaci sono i nuovi protagonisti dell’avanguardia tecnologica in materia di produzione di energia elettrica.

Con l’intenzione di essere solidali agli obiettivi del protocollo di Kyoto e soddisfare le relative esigenze per la riduzione dell’effetto serra, l’idea dei nostri ricercatori della Facoltà d’Ingegneria  Elettronica è stata quella di incrementare lo sfruttamento di energie rinnovabili e pulite, come la solare, e introdurre l’organico come fattore d’innovazione.

Quest’ultimo, infatti, permetterebbe di ridurre drasticamente l’impatto ambientale rispetto al silicio dei classici pannelli fotovoltaici e inoltre anche ricavare energia a costi meglio contenuti. Molecole naturali, riprodotte in laboratorio o estratte direttamente dai frutti della terra, saranno adoperate per convertire energia solare in elettrica, stabilendo un nuovo target di eco-compatibilità nella produzione del fotovoltaico.

La tecnologia di questi bio-pannelli sfrutta le proprietà della fotosintesi clorofilliana: un pigmento fotosensibile assorbe la radiazione solare e altri elementi foto attivi estraggono la carica per produrre l’elettricità.

 

La struttura  del pannello è approssimativamente quella di un sandwich: un piccolo sostegno, vetro o plastica flessibile, sta alla base di uno o più strati di sottilissime pellicole trasparenti sostenute tra due elettrodi. Queste contengono le bio-molecole di origine vegetale: le antocianine derivate dai frutti di bosco che sono attualmente le più funzionali e sperimentate; i polimeri e altri pigmenti di sintesi che  massimizzano l’assorbimento dello spettro solare.

La flessibilità di questi pannelli e la loro notevole qualità estetica, ne consente l’utilizzo e l’applicazione su vari sostegni, come le facciate degli edifici, la carrozzeria delle auto, i computer portatili e non da ultimi i tessuti. La particolare duttilità e gradevolezza ne determinano un più ampio utilizzo rispetto alla tradizionale tecnologia al silicio, più rigida, meno adattabile e attraente, anche se ancora per il momento più produttiva a livello di resa energetica. Infatti, il tornaconto elettrico per il fotovoltaico in silicio è approssimativamente tre volte tanto quello dell’organico.

In ogni modo, dallo stanziamento dei fondi di ricerca nel 2006 per l’avvio del progetto Chose, un totale di 15 milioni di euro concessi dalla Regione Lazio (10,5 milioni) e da privati (4,5 milioni), l’efficienza delle celle al mirtillo è passata dall’1% all’11%, sostenendo buone speranze per un definitivo viraggio della tecnologia solare in favore dell’organico. Considerati quindi i risultati, nel 2010 il sostegno economico è stato rinnovato in favore del progetto con altri 10.5 milioni di euro. Attualmente è stata commercializzata una gamma pilota di pannelli fotovoltaici al mirtillo, di un valore complessivo di 5 milioni di euro, per stimolare l’economia della produzione industriale e l’interesse del mercato nazionale, e perché no, internazionale.

Virginia Pavoni

 

 

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