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“Do ut des”:
autoveicoli in cambio di vino
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Il parabrezza nelle autovetture
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Filtro antiparticolato e catalizzatori.
Funzionano davvero?
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Wrangler, americana ma non troppo
di Simone Pavarin
“Do ut des”:
autoveicoli in cambio di viNO
La frase latina “do ut des” che concettualmente significa “scambiamoci
queste cose in maniera ben definita” rievoca l’antico utilizzo del
baratto per le transazioni commerciali. La limitazione principale di
tale attività economica era rappresentata dal fatto che non si riusciva
a dare un valore preciso ed univoco ad una merce, a causa dell’assenza
di uno strumento di misurazione preciso, come la moneta, assenza questa
che impediva anche qualunque efficace forma di risparmio. E’ proprio con
l’avvento della moneta che il baratto scompare e si assiste ad uno
sviluppo prima economico poi sociale determinante per la collettività.
Questo tipo di transazione non è del tutto scomparsa anzi si ripropone
ciclicamente con alterni successi. Esistono, ad esempio, diversi siti
e-commerce che utilizzano il baratto come strategia di scambio primaria,
oppure molte imprese, penso principalmente a quelle edili, che
utilizzano il baratto, i giuristi lo chiamano “permuta”, per trasferire
la proprietà degli immobili costruiti in cambio di altri beni o servizi.
Forme più o meno ortodosse di baratto sono utilizzate anche dagli stati.
Un esempio tra i più recenti ed eclatanti è certamente quelle che ci
arriva dall’Argentina. Il grande paese sudamericano, strangolato da una
grave crisi economica determinata anche da una congiuntura
internazionale eccezionalmente negativa, ha pensato, attraverso il
governo, di imporre un tipo di baratto “avanzato” su certe strategiche
attività economiche. Il ministro dell’industria Debora Giorgi ha
individuato una tra le poche floride attività economiche, il settore
della vendita di auto e ha deciso di agire proprio su quella. I dati
sulle immatricolazioni auto in Argentina negli ultimi anni viaggiano ad
un regime elevato, toccando delle punte che arrivano al + 30%. Sulla
scorta di questi dati il ministro ha quindi deciso di imporre alle
multinazionali importatrici di autoveicoli di acquistare l’equivalente
in prodotti locali. Il tutto per raggiunger due obiettivi principali: il
primo riequilibrare la bilancia commerciale dell’Argentina in quanto
stato, il secondo obiettivo quello di stimolare la tipica produzione
locale, olio, vino e altri prodotti alimentari.
Una delle prime multinazionali dell’auto ad
accettare il progetto governativo è stata la giapponese Nissan. Il
ministro Debora Girogi ha siglato un accordo con il presidente della
Nissan Argentina, Manuel Antelo, che prevede l’importazione nel paese
sudamericano di autovetture per un valore totale di 54 milioni di
dollari e, come contropartita, la multinazionale s’impegna all’acquisto
di una quantità di vino locale pari allo stesso importo.
Un imposizione
di baratto per legge che non sembrerebbe andare nella direzione della
libera concorrenza. Una sorte simile è stata riservata alla Porsche che
si è vista imporre l’esportazione di olio alimentare per mantenere le
quote di mercato sul suolo argentino. La trattativa più estenuante è
stata effettuata probabilmente con la tedesca BMW che solo dopo 8 mesi
di trattative col governo Argentino è riuscita a riattivare le
esportazioni.
La BMW che vanta un’importante fetta di mercato ha dovuto
impegnarsi, attraverso il suo rappresentante locale Alejandro Echegaray,
all’acquisto di generi alimentari, pellami oltre che l’impegno di
insediarsi con una struttura produttiva nel confinante Brasile.
Il governo argentino ha quindi inferto un
duro colpo ad un settore che a livello globale è in forte crisi.
Strategia che certamente aiuterà l’economia locale ma che non favorirà i
rapporti internazionali.
Nonostante tutto alcune case automobilistiche
come la Volkswagen, che dispongono di stabilimenti locali, cercano di
superare il problema incrementando la produzione delle loro strutture,
in questo modo, formalmente, aumentando la produzione industriale
dell’Argentina finalizzata all’esportazione vorrebbero superare il
baratto tra prodotti industriali e prodotti agricoli. Ribadiamo i dubbi
sull’efficacia di lungo periodo dei provvedimenti implementati dal
governo sudamericano, forse però necessari per evitare la crisi del 2001
che ha portato lo stato argentino ad avviare le procedure di insolvenza
finanziaria, situazione in cui oggi molti paesi anche europei rischiano
di cadere.
(S.P.)
Il parabrezza nelle autovetture
Un elemento essenziale nelle autovetture attuali è costituito dal
parabrezza ovvero la finestratura nella parte anteriore dell’abitacolo.
Il parabrezza è sempre davanti ai nostri nasi quando guidiamo ed il
fatto che sia trasparente rende la sua presenza discreta tanto da farci
dimenticare la sua stessa esistenza. La funzione principale del
parabrezza è quella di proteggere gli occupanti della vettura dall’aria,
dagli sbalzi termici esterni dalla polvere e dagli insetti. È parte
integrante della carrozzeria e rende la linea della vettura più
aerodinamica. Può essere addirittura dotato di pellicola anti UV per
schermare dai raggi ultravioletti potenzialmente dannosi per la salute.
I primi parabrezza erano costituiti da
semplice vetro da finestra. Questo tipo di materiale però rappresentava
un grave pericolo perché in caso di rottura si frantumava in pezzi
pericolosissimi per le persone nelle vicinanze. Si passò quindi ad
utilizzare il vetro temperato che in caso di rottura non generava
residui pericolosi, ma era estremamente debole nel contrastare l’impatto
anche con piccoli sassolini. Oggi si utilizza prevalentemente il vetro
laminato che associa durezza, longevità e resistenza alla frantumazione.
Alcune case costruttrici sul determinati veicoli in sostituzione al
vetro laminato utilizzano il “lexan” una resina plastica particolarmente
studiata nei laboratori proprio per garantire una maggior ulteriore
sicurezza. Una caratteristica produttiva che determina la qualità del
parabrezza è la durezza, questo perché il parabrezza stesso con il tetto
concorre a determinare la rigidità dell’auto e protegge gli occupanti
dai ribaltamenti.
A volte si sente parlare di “aeroscreen”, particolari
sottili parabrezza utilizzati per deviare solo il vento, senza funzioni
protettive, ma questi raramente sono utilizzati nelle automobili. Per
garantire la massima visibilità su strada il parabrezza deve essere
mantenuto in uno stato di trasparenza costante, a questo scopo sono
stati studiati dei dispositivi specifici, i ”tergicristallo”.
I nemici più insidiosi dei parabrezza sono rappresentati dai corpuscoli
più o meno grandi che giornalmente impattano contro l’intera carrozzeria
della macchina. Un solo sassolino scagliato involontariamente dal
pneumatico della vettura che ci precede può pregiudicare l’integrità
complessiva del parabrezza. Se il danno è limitato, oggi si può
intervenire tempestivamente con resine trasparenti speciali.
Se si
sottovaluta il danno o lo stesso è più esteso le vibrazioni dell’auto
col tempo creerebbero la classica ragnatela di crepe che renderebbe
l’intero parabrezza estremamente fragile.
Un parabrezza fragile oltre a
compromettere la sicurezza generale dell’auto, in combinazione con
un’eventuale esplosione del’airbag, in caso di urto, potrebbe provocare
gravissimi danni agli occupanti del veicolo. La sostituzione del
parabrezza non è difficoltosa e non richiede molto tempo, di contro
l’operazione necessità di un impegno economico non trascurabile.
Anche per questo esistono assicurazioni
studiate appositamente per risarcire questo tipo di danni.
La tecnologia
oggi offre agli automobilisti più esigenti anche parabrezza
intelligente. Si tratta di un display a cristalli liquidi che riflette
sul parabrezza alcune informazioni quali velocità, temperatura, numero
di giri del motore ecc. ecc. Di origine aeronautica, questo sistema
viene utilizzato sui velivoli da caccia per evitare che il pilota, per
cercare informazioni su dispositivi posizionati chissà dove, distolga lo
sguardo dal suo orizzonte. Come il pilota da caccia, anche
l’automobilista moderno deve concentrare la sua attenzione
esclusivamente su ciò che gli è di fronte. Alcune case automobilistiche
stanno progettando parabrezza ancor più evoluti nei quali uno strato di
fosfori illuminabili in associazione con rilevatore laser esterni
segnaleranno cartelli stradali, segnaletica orizzontale, pedoni e
veicoli, tutto ciò in caso di scarsa visibilità.
Fratello minore del parabrezza è il lunotto, ovvero, la parte finestrata
posteriore delle autovetture. Le funzionalità sono sostanzialmente le
stesse del parabrezza ma la peculiarità di questo dispositivo è proprio
il nome. Lunotto deriva da luna proprio perché fino agli anni ’50
quest’apertura posteriore era realizzata a forma di mezzaluna.
(S.P.)
Filtro antiparticolato e catalizzatori. Funzionano
davvero?
Il filtro antiparticolato è un dispositivo speciale, montato sulle
autovetture diesel, che permette di ridurre l’inquinamento atmosferico,
contrasta, nello specifico, il rilascio nell’aria del famigerato PM10.
Nel 2000, la prima casa automobilistica ad adottare questa tecnologia fu
la Peugeot ed ebbe un tale successo che, negli anni successivi, molte
altre importanti marche iniziarono a montare di serie sui veicoli loro
veicoli il filtro che, si sperava, dovesse risolvere il problema
dell’inquinamento da gas di scarico nel XXI secolo. Tale successo deriva
dal fatto che, praticamente tutte le amministrazioni locali,
principalmente i comuni delle grandi città, ritengono il filtro
antiparticolato un efficace strumento nel contrastare la diffusione
delle polveri sottili, per cui, le vetture dotate di questa tecnologia
sono autorizzate a circolare anche durante i gironi del tanto temuto
“blocco del traffico”.
Ma come funziona esattamente questo miracoloso dispositivo?
Semplicissimo: il particolato, ovvero un
nucleo di carbonio unito a quelle particelle di dimensioni inferiori a
10 millesimi di millimetro (da cui PM10), estremamente dannose per il
nostro organismo che rappresentano il residuo della combustione
incompleta del gasolio, vengono trattenute in modo efficace da questo
tecnologico filtro.
L’unica incombenza è quella, ogni 80-120
mila Km, di reintegrare il piccolo serbatoio contenente l’ossido di
cerio, la sostanza che si lega con le polveri sottili ed impedisce che
queste ultime vengano disperse nell’ambiente. Il problema ora è
rappresentato dal fatto di ripulire il filtro stesso.
La centralina
elettrica presente sulle vetture, dopo circa 600 Km, ordina al filtro di
“bruciare” tutte le sostanze di scarto che ha trattenuto, ed è qui che
nascono i problemi. Alcuni ricercatori hanno rilevato che, certamente il
filtro trattiene le polveri sottili tossiche ma nel momento di
rigenerazione del filtro, quando la temperatura è talmente alta da
permettere di “bruciare” gli scarti, in quell’esatto momento si
produrrebbe e quindi verrebbe disperso nell’ambiente acido solforico
che, come noto, può produrre gravi danni permanenti ai polmoni.
Il catalizzatore o marmitta catalitica non ha le pretese taumaturgiche
del il filtro antiparticolato ma più modestamente, essendo un vero e
proprio “laboratorio in miniatura” posto prima della parte finale dello
scarico, si occupa di accelerare alcune reazioni chimiche per rendere
gli scarti della combustione meno dannosi per le persone.
L’obiettivo è
quello di promuovere la trasformazione principalmente degli idrocarburi
incombusti in anidride carbonica, acqua sotto forma di vapore e azoto.
Il tutto grazie ad una complicata reazione chimica, che avviene ad
elevate temperature e in presenza di una quantità predefinita di
ossigeno. La marmitta catalitica non è un filtro ma si presenta come un
contenitore metallico suddiviso internamente in una miriade di canali
che hanno il preciso compito di trattenere il più possibili i fumi di
scarico del motore al suo interno. E’ necessario precisare che la
marmitta catalitica è efficiente sui motori diesel, a benzina e GPL.
Anche la marmitta catalitica però ha i suoi
punti deboli. Diverse indagini hanno evidenziato come la fase
dell’avviamento della vettura sia la più inquinante. In questo istante,
essendo la marmitta ancora fredda e quindi inefficace, permette il
passaggio di tutte le sostanze tossiche. Alcuni ricercatori sottolineano
quest’aspetto evidenziando come nelle grandi città i livelli di
inquinamento siano ormai inaccettabili. Il secondo punto è rappresentato
dal fatto che le marmitte al termine del loro utilizzo vanno smaltite. I
costi di smaltimento sono alti e le procedure attualmente utilizzate non
garantiscono la completa bonifica dai materiali inquinanti. Le
perplessità sulle strategie di abbattimento dell’inquinamento
soprattutto urbano sono note al gran pubblico, anche se va ricordato che
la principale fonte di emissioni nocive nell’atmosfera non è da
attribuire agli autoveicoli bensì al settore industriale. Rimando in
tema di autovetture si segnala una sempre maggior sensibilità da parte
della case costruttrici nei confronti dei temi ecologici, prova ne è una
sempre maggior diffusione delle autovetture elettriche.
(S.P.)
Wrangler, americana ma non troppo
Qualche giorno fa ho avuto il piacere di effettuare un breve viaggio con
un vecchio amico sulla sua vettura, o meglio sul suo fuoristrada. Si
tratta di una Wrangler del famoso marchio Jeep. Quando si pensa a questo
tipo di veicoli si viene catapultati in rocambolesche e fangose gare al
limite della sopravvivenza tipo Camel Trophy. In realtà sono rimasto
favorevolmente sorpreso costatando come un veicolo destinato ad utilizzi
estremi sia anche così comodo sul più tranquillo e per alcuni “noioso”
asfalto delle nostre strade cittadine.
Ma facciamo un passo indietro. La Wrangler, prodotta dal marchio Jeep,
ha fatto la sua comparsa negli anni ’80, prima negli Usa e poi un po’ ne
resto del globo. Certamente un veicolo di grande successo commerciale.
L’antenato più antico di questo “fuoristrada” è certamente la MB della
Willys, (il vecchio nome del marchio Jeep), che ebbe una grande
diffusione nelle forze armate americane durante la Seconda Guerra
Mondiale. In quel periodo infatti la US Army ricercava un veicolo da
ricognizione e collegamento, leggero ma affidabile e la scelta cadde
proprio sulla MB. Un tale successo non era previsto neppure dalla stessa
Willys che accettò di cedere le licenze costruttive alla Ford per far
fronte all’enorme richiesta di MB. Una nota di curiosità: la US Army
rinominò la MB in “General Purpose Vehicle”, (pronunciato dagli
americani in “Jeep” proprio il nome che assunse successivamente la Willys. Nel ’97 la Jeep venne acquisita dalla Chrysler che, a sua volta,
come tutti sanno, recentemente è passata al Gruppo Fiat, per cui
qualcosa di italiano è presente anche sui fuoristrada d’oltre oceano.
Tornando alla passeggiata col mio vecchio amico sulla sua Wrangler, ho
notato immediatamente la robustezza del veicolo che però non si
accompagna, come spesso accade, con lentezza o pesantezza per esempio
nel aprire o chiudere le portiere. Rimanendo all’esterno è da
evidenziare come la copertura posteriore rimovibile rigida ammorbidisca
le forme essenziali e tratti spigolose della carrozzeria. L’unica nota
dolente è rappresentata dallo sbalzo col terreno che rende la salita in
abitacolo lievemente difficoltosa. Internamente la Wrangler mi ha
piacevolmente sorpreso. Le forme a volte ruvide esterne lasciano il
posto ad un abitacolo accogliente anche se essenziale. Il tachimetro
contachilometri è chiaro, retroilluminato e la numerazione è ben
visibile nelle ore notturne. Gli optional sono degni delle più classiche
berline, aria condizionata, servosterzo, autoradio vetri elettrici.
Ruote ed ammortizzatori formano un connubio che garantisce la massima
stabilità e confort per i passeggeri, le deformità stradali praticamente
non vengono neppure percepite.
Un punto debole è senz’altro rappresentato dalla questione consumi. Il
modello in questione monta originariamente un motore benzina da 2.500
c.c., ma grazie agli incentivi statali, con poche centinaia di euro, il
proprietario del veicolo, quasi prevedendo gli ultimi aumenti dei prezzi
dei carburante, ha utilizzato i contributi statali per convertire il
veicolo in GPL. Questa scelta è stata particolarmente lungimirante oltre
che per questione di consumi, anche per evitare le restrizioni delle
zone a traffico limitato presente in molte delle nostre città.
Il Wrangler ha avuto un tale successo che sono stati prodotti più
modelli, ma purtroppo per gli amanti del fuoristrada “puro”, tali
modelli hanno sempre più rispecchiato le più tradizionali monovolume,
certamente più commerciabili. Anche per quanto riguarda il motore ci
sono state delle innovazioni importanti in particolare nella versione JK
in produzione dal 2007.
Un motore da 3.800c.c. garantisce delle
strabilianti performance ma anche dei consumi importanti, un motore
forse più adatto al mercato americano, dove la benzina ha un costo
nettamente inferiore rispetto al mercato europeo. Considerando tutto ciò
che è stato detto, un giudizio finale su questo veicolo non può essere
che positivo tenendo conto anche del fatto che l’efficienza della
trazione integrale lo rende adatto su tutti i terreni molto scivolosi
come nel caso di improvvise nevicate. Quest’ultimo un punto dolente per
noi italiani visto che in molte città in caso di neve vi è l’obbligo di
munirsi di catene.
Simone Pavarin |