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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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  • FIAT: UN PO' DI STORIA...FORSE DIMENTICATA

  • TAKE A BREATH

  • AUTO ELETTRICA: PANACEA DI TUTTI I MALI O SEMPLICE FETICCIO?

  • AUTO "DA CANI"

di Simone Pavarin

Fiat: un po’ di storia … forse dimenticata.

Un argomento  che mi sta molto a cuore in questo periodo di elezioni greche, di euro traballante e di un’Unione Europea in bilico tra lo sfaldamento totale e maggiore integrazione, è rappresentato dall’attività umana nella quale nasce l’attuale instabilità, ovvero l’economia, o meglio la messa in discussione delle teorie liberaliste tradizionali.  All’interno di questa crisi alcuni paesi sono più resistenti contando su di una struttura socio economica solida, mentre altri, come l’Italia, sono più  vulnerabili alla pressione che deriva da più parti : sindacati, imprenditori, partiti, gruppi d’interesse e così via. In particolar modo sono stato colpito dallo scontro che si sta consumando in questi mesi tra l’industria manifatturiera più importante del Paese, la Fiat e  numerosi lavoratori appoggiati da alcune sigle sindacali.

La notizia di questi giorni è proprio il fatto che ben 145 dipendenti Fiat iscritti alla Fiom, licenziati dalla multinazionale Torinesi, per decisione del tribunale di Roma devono essere riassunti e risarciti. Questa è solo la punta dell’iceberg che però dimostra la tensione in cui operano oggi sia i lavoratori  che gli imprenditori. Non volendo schierarmi, anche perché a mio avviso il problema principale è costituito da una situazione congiunturale globale molto delicata, vorrei però ricordare i tempi in cui proprio i lavoratori della Fiat in sinergia con la direzione aziendale hanno realizzato quello che molti chiamarono “il miracolo degli anni ‘80”.

Ci troviamo nella fabbrica di Mirafiori, alla periferia sud di Torino, alla fine del 1980. Il nuovo decennio si apre con grandi ed in parte inaspettate novità soprattutto per ciò che riguarda i rapporti industriali tra lavoratori e la direzione. L’assenteismo ormai è un ricordo. In Fiat questa “piaga” raggiunse negli anni ’70, il periodo più duro di contrapposizione tra i lavoratori  i datori di lavoro, il picco del 20% ora, i lavoratori assenti,  sono in media il 5% per turno. Si dice addirittura che sulle catene di montaggio abbiano fatto la loro comparsa anche dei fiori, questo per sottolineare il nuovo clima che si respira in fabbrica. Da un punto di vista sociologico potremmo dire che con gli anni ’80 prevale il così detto “operaio borghese” sull’ ”operaio di massa”. Quest’ultimo, tipico degli anni a cavallo  tra il 1960 ed il 1970 rappresenta la normale reazione ad un uno sviluppo industriale avvenuta in Italia in modo quasi forzato. Nel nostro Paese non c’è stato il tempo, come invece avvenute in altre nazioni, di diluire l’industrializzazione in un periodo più ampio. Con  gli inizi degli anni ’80 il recalcitrante operaio di massa viene sostituito dal più moderato operaio borghese.

Un lavoratore più maturo sedotto  dalle  comodità offerte dall’industrializzazione, ma che nel contempo è si disposto a lavorare nelle alienanti catene di montaggio, in cambio però di un trattamento di maggior attenzione verso le sue necessità da parte dei vertici aziendali. Questa situazione, soprattutto in casa Fiat è foriera di un clima nuovo, di maggior collaborazione e più disteso.

Risolte le problematiche interne, ora la Fiat può dedicarsi completamente allo sviluppo di nuovi modelli d’auto, con l’ambizione di affermarsi anche oltre i confini nazionali.

Gli investimenti sono enormi per l’poca si parla di un miliardo di vecchie lire. Automazione, ristrutturazioni, immagine, sono le coordinate su cui lavora il management.  L’apice di tutto ciò si avrà a gennaio del 1983, lontanissimo da Torino, a Orlando, Florida. Proprio per dare quel “tocco” di internazionalità si è deciso di presentare la vettura di punta degli anni ’80 della Casa Torinese, la Fiat Uno, negli Stati Uniti, patria di quel genio del settore auto che fu Henry Ford. A differenza dell’imprenditore americano che, non avendo di fatto concorrenza, auspicava sobrietà sia negli interni che negli esterni delle vetture, la Uno rappresenta invece un gioiello di tecnologia  design ma soprattutto personalizzazione. Gli impianti Fiat sono in grado di produrre decine di versioni diverse dell’auto appagando tutti i palati. L’obiettivo dichiarato è quello di poter produrre con la stessa flessibilità tipica delle “leggere” industrie d’abbigliamento. Inutile dire che la Fiat Uno fu un enorme successo.

Management lungimirante, rapporti industriali basati su comprensione e lealtà, orientamento al cliente sono gli ingredienti che hanno portato Fiat ad essere uno dei protagonisti indiscussi dell’industria automobilistica Europea. L’auspicio oggi è quello di ritornare a quelle condizioni favorevoli non solo per il rilancio della Fiat ma per tutto il “Sistema Italia”.

 

Take a Breath

Letteralmente “prendi un respiro”, Take a Breath è il titolo assegnato ad un work shop che si è tenuto lo scorso 28 e 29 giugno nella deliziosa cornice paesaggistica di Angeli di Rosora, in provincia di Ancona. L’incontro, che ormai è giunto alla sua terza edizione è stato, come di consuetudine, organizzato dal Gruppo Loccioni, che proprio nel borgo medioevale ha stabilito il suo quartier generale. Prima di descrivere l’importanza dell’evento è bene spendere qualche considerazione sulla struttura ospitante, la Loccioni. Si tratta di un’impresa familiare nata nel 1986 e che, sin da subito, si è posta come obiettivo l’innovazione, sia da un punto di vista manifatturiero che di offerta di servizi. Si definiscono una “Play Factory”, una realtà orizzontale, impegnata nella ricerca e sviluppo di soluzioni innovative per i settori dell’energia, della sanità e dei trasporti. Ed è proprio il settore trasporto, che nel sito internet Loccioni viene definito come “mobility”, il perno del work shop estivo.

L’evento ha visto la partecipazione di importanti aziende come Volksvagen, Daimler, General Motors, Ferrari, Denso, Magneti Marelli, Continental, Delphi, Bosch, IAV, Cummins, Fev, Ricardo. Per quanto riguarda il settore della ricerca scientifica è da segnalare la partecipazione di rappresentanti del  Politecnico di Torino e della svedese Chalmers University of technology, due tra i più importanti poli scientifici a livello europeo.

Questi importanti players internazionali del mondo dell’auto che provengono da un po’ tutta la filiera produttiva  si sono incontrati per parlare di futuro, in particolare dell’evoluzione dei propulsori.

La premessa fondamentale dell’evento, sottolineata dagli stessi organizzatori, è rappresentata dal fatto che attualmente l’utilizzo dei combustibili fossili per trazione è ancora estremamente diffuso. Si calcola che il 90% del parco auto circolante nel globo sia alimentato a benzina o gasolio, quindi l’utilizzo delle energie alternative, principalmente quella elettrica, è di fatto residuale e limitato nel territorio delle nazioni economicamente avanzate. Questa situazione si stima che perdurerà per i prossimi vent’anni. Una notizia che non farà piacere agli ecologisti e a coloro che vedono un futuro “elettrico”.  

L’innovazione probabilmente risiede nella ricerca di  motori alimentati a benzina e gasolio il più efficienti e meno inquinanti possibile per avere un impatto sull’ambente in qualche modo accettabile.

L’incontro avvenuto ad Angeli di Rosora vuol proprio cercare di capire come i motori alimentati con combustibili fossili possano essere migliorati. Questo alla luce in particolare delle sempre più restrittive norme ambientali non solo europee ma anche americane e persino cinesi. Il tutto con un occhio attento all’evoluzione dei motori ad energie alternative ed alla trazione ibrida. I partecipanti al work shop sono all’unanimità convinti che l’avvento di nuovi strumenti di misura e diagnostica permetteranno un affinamento, da un lato dei processi di produzione del carburante, dall’altro l’implementazione di un’efficienza maggiore del processo di combustione. Sono convinti in definitiva che sia i motori diesel che quelli a benzina abbiano importanti margini di miglioramento.

Il bilancio finale di Take a Breath in relazione agli obiettivi fissati è molto positivo. Vi è però un’altra faccia della medaglia meno incoraggiante. La legge di mercato ci dice che  più una risorsa è scarsa più il suo prezzo è destinato a salire. In base a questa considerazione negli anni ’80 dello  scorso secolo si prevedeva una riduzione progressiva e inesorabile della disponibilità di petrolio. Qualcuno profetizzava che il 2008 fosse l’anno dell’astrazione massima e negli anni a seguire ci sarebbe stata una riduzione via via più sensibile fino all’esaurimento totale del combustibile fossile. In realtà il grado sempre maggiore d’efficienza estrattiva e d’utilizzo porta la data “di non ritorno” più avanti nel tempo. A favorire ulteriormente le considerazione fuoriuscite da Take a Breath è il fatto che le ricerche di giacimenti petroliferi stanno dando insperati risultati sia in Africa che in Sud America. Un esempio su tutti: il Brasile entro i prossimi vent’anni diverrà il quinto produttore di greggio del pianeta, oggi è l’undicesimo. Nonostante tutto quindi il petrolio ci accompagnerà sicuramente sino alla fine della prima metà del XXI secolo.

 

Auto elettrica: panacea di tutti i mali o semplice feticcio

Le fonti energetiche rappresentano oggi una risorsa strategica per, la semplice sopravvivenza delle società moderne complesse, in primis quelle europee e nord americane. L’attuale dipendenza dal petrolio è cosa sotto gli occhi di tutti, purtroppo però sta creando seri problemi all’ecosistema terrestre quindi si rende necessario l’utilizzo di fonti “pulite”. Il primo decennio del XXI secolo si è aperto con l’esaltazione dell’energia elettrica come efficace sostituto dei combustibili fossili per il trasporto di cose e persone.

Utilizzare un combustibile non inquinante per le nostre auto significherebbe ridurre sensibilmente le sostanze nocive presenti nell’atmosfera., con tutte le problematiche che esse portano sia a livello di salute che di cambiamenti climatici. Quindi per molti l’auto elettrica rappresenta la panacea finalmente individuata. Dopo i primi entusiasmi, negli ultimi anni sono presenti, in modo sempre più insistente nella comunità scientifica voci dissonanti che ritengono l’auto elettrica, come viene intesa oggi, non la soluzione definitiva al problema inquinamento. Mi sono premesso di riprendere il termine “feticcio” utilizzato da uno degli autori dell’  Energy Bulletin,  testata americana on line che si occupa di prospettive energetiche, per analizzare la correlazione tra auto elettrica e sostenibilità ambientale.

Nell’articolo, il cuti titolo originale “The electric car fetish” scritto da Kurt Kobb nel 2010, si evidenziano proprio le problematiche per le quali l’auto elettrica probabilmente non sostituirà almeno a breve l’auto a combustione interna. La lungimiranza delle argomentazioni di Kobb rappresentano una risposta efficace all’articolo apparso qualche giorno fa, il 28 giugno, sul quotidiano La Repubblica. In quest’articolo un concessionario d’auto si lamentava per il non utilizzo dell’auto elettrica, in particolare da coloro che invece nei dibattiti pubblici ne incoraggiano l’acquisto. Il concessionario si chiede perché, almeno nelle fasce più agiate della società, non sia scattata quella molla che una ventina d’anni fa determinò la corsa al cellulare, un dispositivo allora sproporzionalmente costoso e poco affidabile. La risposta, a mio avviso la può fornire Kobb.

Innanzitutto parliamo di prestazioni. Quando si ininiziò a parlare di auto elettriche ci si immaginava una vettura che replicava sotto tutti i punti di vista le attuali auto a combustibile fossile. Oggi viviamo una grande disillusione.

Con l’auto elettrica non è possibile mantenere una velocità sostenuta per molti chilometri. In pratica, se con una vettura attuale possiamo mantenere una media ipotetica da Milano a Roma di oltre 150Km/h in sicurezza con l’auto elettrica forse arriveremmo a 100. Quando abbiamo la necessità di rifornirci di carburante, con la vettura tradizionale in pochi minuti abbiamo fatto il pieno, per far il pieno alle batterie di una vettura elettrica occorrono  anche ore. Per non parlare poi del prezzo. Oggi i pochi fortunati ad avere un’auto elettrica con prestazioni minimamente accettabile mediamente hanno dovuto sborsare 35.000 Euro. Non considerando per un attimo queste problematiche, migliorabili con il progresso tecnologico, la nostra attenzione deve spostarsi sull’impatto ambientale. In questo caso ci sono due ordini di problemi.

L’acquisizione delle materie prime per produrre gli accumulatori, il cuore delle auto elettriche e la fonte ultima di produzione dell’energia. Per quanto riguarda il primo punto, già oggi assistiamo ad un’impennata del prezzo di alcuni materiali per la produzione di batterie tra cui il piombo, il litio e lo zinco. Se non bastasse non sono stati previsti dei seri piani di smaltimento degli accumulatori esausti che, hanno si esaurito la loro efficienza, ma contengono ancora sostanze tossiche. Per quanto concerne il secondo punto la domanda è: da dove proviene l’elettricità che immettiamo negli accumulatori nelle vetture elettriche? Qualcuno potrebbe rispondere da fonti rinnovabili.

Ci si chiede allora quanti Kmq di celle fotovoltaiche e quante migliaia di pale eoliche sarebbero necessari per coprire il fabbisogno mondiale? Quale sarebbe l’impatto sull’ambiente? Quindi la soluzione per alimentare le auto elettriche è sempre la stessa: le centrali nucleari o a carbone. Sotto questo aspetto non si fa altro che spostare il problema inquinamento, non risolverlo.  Bisogna affermare con coraggio e realismo che la diffusione dell’auto elettrica è limitata perché almeno oggi questo tipo di veicolo non è la soluzione al problema.

 

Auto da “cani”

Auto ed animali una relazione nata con la comparsa delle prime vetture. Chi ha la fortuna di possedere un animale, dal cane o gatto alle più esotiche bestiole come furetti, criceti, maialini si deve porre, ancor prima di ospitarlo in casa, il problema del trasporto. Ogni animaletto, per sua natura, dimensioni, peso, agilità, esuberanza, è caratterizzato da un tipo differente di strategia di trasporto. Ricordo per esempio che da bambino possedevo un gatto ed il problema del trasporto non ha mai sfiorato i pensieri dei miei genitori né tantomeno i miei. Purtroppo però quando si trattò di portare il micio dal veterinario per una visita, il problema esplose in tutta la sua gravità. Vi assicuro che è stata una tra le esperienze più dolorose della mia vita.

Tenni il gattino in braccio per tutta la durata del viaggio, circa 10 interminabili minuti. Il povero animaletto agitatissimo per i sobbalzi della vettura cominciò a graffiare e morsicare nel vano tentativo di uscire dall’abitacolo.

Questa brutta esperienza mi ha insegnato l’importanza di essere attrezzati anche per operazioni semplici come appunto il trasporto del micio di casa. Attrezzarsi significa garantire l’incolumità sia delle persone attorno, sia della bestiola stessa. Immaginiamo per un attimo la fine che potrebbe fare un piccolo criceto che sfugga alle amorevoli braccia del proprietario all’interno di una vettura in movimento.

La legislazione vigente d’altro canto è piuttosto severa per quanto concerne la presenza di animali all’interno delle vetture. Innanzitutto le bestiole piccole o grandi che siano devono essere ben separate dal conducente attraverso l’utilizzo di gabbie, reti, cinture di sicurezza, o altro mezzo idoneo a garantire una guida senza distrazioni o impedimenti.

Il non rispetto di queste basilari norme implica una sanzione amministrativa oltre la decurtazione di diversi punti della patente. Non una sanzione amministrativa, bensì penale è prevista per quegli sciagurati che tengono un animaletto in condizioni di supplizio all’interno dell’auto. In clima agostano si pensi ad esempio a coloro che, anche solo per distrazione, abbandonano Fido all’interno della vettura sotto il sole e con i finestrini chiusi.

Tornando al trasporto si consiglia di educare la bestiola ai viaggi in auto, soprattutto per i cani e i gatti. Educare significa per esempio far salire il micio più volte nell’abitacolo delle vettura a motore spento per “prepararlo” al viaggio vero e proprio, fin quando penserà che l’abitacolo è confortevole come la cuccia di casa.

 E’ importante far viaggiare gli animali a digiuno per evitare fastidiose e maleodoranti sorprese durante il viaggio. Un’abitudine che spesso vediamo sulla strada è far sporgere Fido con il muso fuori dal finestrino ritenendo che in tal modo l’amico quadrupede si rinfreschi. Sbagliatissimo, questo comportamento può provocargli dolorose otiti.

Anche le case automobilistiche hanno pensato a soluzioni mirate per venire incontro alle esigenze di confort dei cani e gatti e di praticità per i padroni automobilisti. Un esempio fra tutti è la “Combo Pet Lovers Edition” una specie di monovolume prodotta dalla Opel in collaborazione con l’ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali).

Alcune caratteristiche essenziali che rendono questa vettura unica sono: la rete di protezione, per far viaggiare i nostri amici a quattro zampe nel pieno rispetto del Codice della Strada, il coprivano lavabile, che assicura un'agevole pulizia del vano posteriore, e lo speciale accessorio FlexFloor che, dividendo il vano posteriore, assicura la disponibilità di spazio sia per il cane sia per i bagagli. Un gioiellino che ha un costo abbordabilissimo, poco più di €. 13.000.

La Opel rappresenta solo uno, forse il più significativo esempio dell’interesse delle case costruttrici d’auto verso il mondo animale.

Anche la Honda con la sua “Element” ha voluto creare una vettura più vicina alle esigenze dei cani e gatti.

Un’ultima nota per così dire di costume e quella per cui da sempre le case automobilistiche sono state attirate dal mondo animale. Prova ne è il fatto che spesso, soprattutto negli ultimi anni, alle vetture vengono dati nomi come Lupo per la Volkswagen, Bison per la Chevrolet, Mustang per la Ford, l’elenco potrebbe continuare con altre decine di esempi.

 

Simone Pavarin

 


 

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