di
Simone Pavarin
Fiat: un po’ di storia … forse dimenticata.
Un
argomento che mi sta molto a cuore in questo periodo di elezioni
greche, di euro traballante e di un’Unione Europea in bilico tra lo
sfaldamento totale e maggiore integrazione, è rappresentato
dall’attività umana nella quale nasce l’attuale instabilità, ovvero
l’economia, o meglio la messa in discussione delle teorie liberaliste
tradizionali. All’interno di questa crisi alcuni paesi sono più
resistenti contando su di una struttura socio economica solida, mentre
altri, come l’Italia, sono più vulnerabili alla pressione che deriva da
più parti : sindacati, imprenditori, partiti, gruppi d’interesse e così
via. In particolar modo sono stato colpito dallo scontro che si sta
consumando in questi mesi tra l’industria manifatturiera più importante
del Paese, la Fiat e numerosi lavoratori appoggiati da alcune sigle
sindacali.
La
notizia di questi giorni è proprio il fatto che ben 145 dipendenti Fiat
iscritti alla Fiom, licenziati dalla multinazionale Torinesi, per
decisione del tribunale di Roma devono essere riassunti e risarciti.
Questa è solo la punta dell’iceberg che però dimostra la tensione in cui
operano oggi sia i lavoratori che gli imprenditori. Non volendo
schierarmi, anche perché a mio avviso il problema principale è
costituito da una situazione congiunturale globale molto delicata,
vorrei però ricordare i tempi in cui proprio i lavoratori della Fiat in
sinergia con la direzione aziendale hanno realizzato quello che molti
chiamarono “il miracolo degli anni ‘80”.
Ci
troviamo nella fabbrica di Mirafiori, alla periferia sud di Torino, alla
fine del 1980. Il nuovo decennio si apre con grandi ed in parte
inaspettate novità soprattutto per ciò che riguarda i rapporti
industriali tra lavoratori e la direzione. L’assenteismo ormai è un
ricordo. In Fiat questa “piaga” raggiunse negli anni ’70, il periodo più
duro di contrapposizione tra i lavoratori i datori di lavoro, il picco
del 20% ora, i lavoratori assenti, sono in media il 5% per turno. Si
dice addirittura che sulle catene di montaggio abbiano fatto la loro
comparsa anche dei fiori, questo per sottolineare il nuovo clima che si
respira in fabbrica. Da un punto di vista sociologico potremmo dire che
con gli anni ’80 prevale il così detto “operaio borghese” sull’ ”operaio
di massa”. Quest’ultimo, tipico degli anni a cavallo tra il 1960 ed il
1970 rappresenta la normale reazione ad un uno sviluppo industriale
avvenuta in Italia in modo quasi forzato. Nel nostro Paese non c’è stato
il tempo, come invece avvenute in altre nazioni, di diluire
l’industrializzazione in un periodo più ampio. Con gli inizi degli anni
’80 il recalcitrante operaio di massa viene sostituito dal più moderato
operaio borghese.
Un
lavoratore più maturo sedotto dalle comodità offerte
dall’industrializzazione, ma che nel contempo è si disposto a lavorare
nelle alienanti catene di montaggio, in cambio però di un trattamento di
maggior attenzione verso le sue necessità da parte dei vertici
aziendali. Questa situazione, soprattutto in casa Fiat è foriera di un
clima nuovo, di maggior collaborazione e più disteso.
Risolte le problematiche interne, ora la Fiat può dedicarsi
completamente allo sviluppo di nuovi modelli d’auto, con l’ambizione di
affermarsi anche oltre i confini nazionali.
Gli
investimenti sono enormi per l’poca si parla di un miliardo di vecchie
lire. Automazione, ristrutturazioni, immagine, sono le coordinate su cui
lavora il management. L’apice di tutto ciò si avrà a gennaio del 1983,
lontanissimo da Torino, a Orlando, Florida. Proprio per dare quel
“tocco” di internazionalità si è deciso di presentare la vettura di
punta degli anni ’80 della Casa Torinese, la Fiat Uno, negli Stati
Uniti, patria di quel genio del settore auto che fu Henry Ford. A
differenza dell’imprenditore americano che, non avendo di fatto
concorrenza, auspicava sobrietà sia negli interni che negli esterni
delle vetture, la Uno rappresenta invece un gioiello di tecnologia
design ma soprattutto personalizzazione. Gli impianti Fiat sono in
grado di produrre decine di versioni diverse dell’auto appagando tutti i
palati. L’obiettivo dichiarato è quello di poter produrre con la stessa
flessibilità tipica delle “leggere” industrie d’abbigliamento. Inutile
dire che la Fiat Uno fu un enorme successo.
Management lungimirante, rapporti industriali basati su comprensione e
lealtà, orientamento al cliente sono gli ingredienti che hanno portato
Fiat ad essere uno dei protagonisti indiscussi dell’industria
automobilistica Europea. L’auspicio oggi è quello di ritornare a quelle
condizioni favorevoli non solo per il rilancio della Fiat ma per tutto
il “Sistema Italia”.
Take a Breath
Letteralmente “prendi un respiro”, Take a Breath è il titolo assegnato
ad un work shop che si è tenuto lo scorso 28 e 29 giugno nella deliziosa
cornice paesaggistica di Angeli di Rosora, in provincia di Ancona.
L’incontro, che ormai è giunto alla sua terza edizione è stato, come di
consuetudine, organizzato dal Gruppo Loccioni, che proprio nel borgo
medioevale ha stabilito il suo quartier generale. Prima di descrivere
l’importanza dell’evento è bene spendere qualche considerazione sulla
struttura ospitante, la Loccioni. Si tratta di un’impresa familiare nata
nel 1986 e che, sin da subito, si è posta come obiettivo l’innovazione,
sia da un punto di vista manifatturiero che di offerta di servizi. Si
definiscono una “Play Factory”, una realtà orizzontale, impegnata nella
ricerca e sviluppo di soluzioni innovative per i settori dell’energia,
della sanità e dei trasporti. Ed è proprio il settore trasporto, che nel
sito internet Loccioni viene definito come “mobility”, il perno del work
shop estivo.
L’evento ha visto la partecipazione di importanti aziende come
Volksvagen, Daimler, General Motors, Ferrari, Denso, Magneti Marelli,
Continental, Delphi, Bosch, IAV, Cummins, Fev, Ricardo. Per quanto
riguarda il settore della ricerca scientifica è da segnalare la
partecipazione di rappresentanti del Politecnico di Torino e della
svedese Chalmers University of technology, due tra i più importanti poli
scientifici a livello europeo.
Questi importanti players internazionali del mondo dell’auto che
provengono da un po’ tutta la filiera produttiva si sono incontrati per
parlare di futuro, in particolare dell’evoluzione dei propulsori.
La
premessa fondamentale dell’evento, sottolineata dagli stessi
organizzatori, è rappresentata dal fatto che attualmente l’utilizzo dei
combustibili fossili per trazione è ancora estremamente diffuso. Si
calcola che il 90% del parco auto circolante nel globo sia alimentato a
benzina o gasolio, quindi l’utilizzo delle energie alternative,
principalmente quella elettrica, è di fatto residuale e limitato nel
territorio delle nazioni economicamente avanzate. Questa situazione si
stima che perdurerà per i prossimi vent’anni. Una notizia che non farà
piacere agli ecologisti e a coloro che vedono un futuro “elettrico”.
L’innovazione probabilmente risiede nella ricerca di motori alimentati
a benzina e gasolio il più efficienti e meno inquinanti possibile per
avere un impatto sull’ambente in qualche modo accettabile.
L’incontro avvenuto ad Angeli di Rosora vuol proprio cercare di capire
come i motori alimentati con combustibili fossili possano essere
migliorati. Questo alla luce in particolare delle sempre più restrittive
norme ambientali non solo europee ma anche americane e persino cinesi.
Il tutto con un occhio attento all’evoluzione dei motori ad energie
alternative ed alla trazione ibrida. I partecipanti al work shop sono
all’unanimità convinti che l’avvento di nuovi strumenti di misura e
diagnostica permetteranno un affinamento, da un lato dei processi di
produzione del carburante, dall’altro l’implementazione di un’efficienza
maggiore del processo di combustione. Sono convinti in definitiva che
sia i motori diesel che quelli a benzina abbiano importanti margini di
miglioramento.
Il
bilancio finale di Take a Breath in relazione agli obiettivi fissati è
molto positivo. Vi è però un’altra faccia della medaglia meno
incoraggiante. La legge di mercato ci dice che più una risorsa è scarsa
più il suo prezzo è destinato a salire. In base a questa considerazione
negli anni ’80 dello scorso secolo si prevedeva una riduzione
progressiva e inesorabile della disponibilità di petrolio. Qualcuno
profetizzava che il 2008 fosse l’anno dell’astrazione massima e negli
anni a seguire ci sarebbe stata una riduzione via via più sensibile fino
all’esaurimento totale del combustibile fossile. In realtà il grado
sempre maggiore d’efficienza estrattiva e d’utilizzo porta la data “di
non ritorno” più avanti nel tempo. A favorire ulteriormente le
considerazione fuoriuscite da
Take a Breath è il fatto che le ricerche di giacimenti
petroliferi stanno dando insperati risultati sia in Africa che in Sud
America. Un esempio su tutti: il Brasile entro i prossimi vent’anni
diverrà il quinto produttore di greggio del pianeta, oggi è
l’undicesimo. Nonostante tutto quindi il petrolio ci accompagnerà
sicuramente sino alla fine della prima metà del XXI secolo.
Auto elettrica: panacea di tutti i mali o semplice feticcio
Le
fonti energetiche rappresentano oggi una risorsa strategica per, la
semplice sopravvivenza delle società moderne complesse, in primis quelle
europee e nord americane. L’attuale dipendenza dal petrolio è cosa sotto
gli occhi di tutti, purtroppo però sta creando seri problemi
all’ecosistema terrestre quindi si rende necessario l’utilizzo di fonti
“pulite”. Il primo decennio del XXI secolo si è aperto con l’esaltazione
dell’energia elettrica come efficace sostituto dei combustibili fossili
per il trasporto di cose e persone.
Utilizzare un combustibile non inquinante per le nostre auto
significherebbe ridurre sensibilmente le sostanze nocive presenti
nell’atmosfera., con tutte le problematiche che esse portano sia a
livello di salute che di cambiamenti climatici. Quindi per molti l’auto
elettrica rappresenta la panacea finalmente individuata. Dopo i primi
entusiasmi, negli ultimi anni sono presenti, in modo sempre più
insistente nella comunità scientifica voci dissonanti che ritengono
l’auto elettrica, come viene intesa oggi, non la soluzione definitiva al
problema inquinamento. Mi sono premesso di riprendere il termine
“feticcio” utilizzato da uno degli autori dell’ Energy Bulletin,
testata americana on line che si occupa di prospettive energetiche, per
analizzare la correlazione tra auto elettrica e sostenibilità
ambientale.
Nell’articolo, il cuti titolo originale “The electric car fetish”
scritto da Kurt Kobb nel 2010, si evidenziano proprio le problematiche
per le quali l’auto elettrica probabilmente non sostituirà almeno a
breve l’auto a combustione interna. La lungimiranza delle argomentazioni
di Kobb rappresentano una risposta efficace all’articolo apparso qualche
giorno fa, il 28 giugno, sul quotidiano La Repubblica. In quest’articolo
un concessionario d’auto si lamentava per il non utilizzo dell’auto
elettrica, in particolare da coloro che invece nei dibattiti pubblici ne
incoraggiano l’acquisto. Il concessionario si chiede perché, almeno
nelle fasce più agiate della società, non sia scattata quella molla che
una ventina d’anni fa determinò la corsa al cellulare, un dispositivo
allora sproporzionalmente costoso e poco affidabile. La risposta, a mio
avviso la può fornire Kobb.
Innanzitutto parliamo di prestazioni. Quando si ininiziò a parlare di
auto elettriche ci si immaginava una vettura che replicava sotto tutti i
punti di vista le attuali auto a combustibile fossile. Oggi viviamo una
grande disillusione.
Con
l’auto elettrica non è possibile mantenere una velocità sostenuta per
molti chilometri. In pratica, se con una vettura attuale possiamo
mantenere una media ipotetica da Milano a Roma di oltre 150Km/h in
sicurezza con l’auto elettrica forse arriveremmo a 100. Quando abbiamo
la necessità di rifornirci di carburante, con la vettura tradizionale in
pochi minuti abbiamo fatto il pieno, per far il pieno alle batterie di
una vettura elettrica occorrono anche ore. Per non parlare poi del
prezzo. Oggi i pochi fortunati ad avere un’auto elettrica con
prestazioni minimamente accettabile mediamente hanno dovuto sborsare
35.000 Euro. Non considerando per un attimo queste problematiche,
migliorabili con il progresso tecnologico, la nostra attenzione deve
spostarsi sull’impatto ambientale. In questo caso ci sono due ordini di
problemi.
L’acquisizione delle materie prime per produrre gli accumulatori, il
cuore delle auto elettriche e la fonte ultima di produzione
dell’energia. Per quanto riguarda il primo punto, già oggi assistiamo ad
un’impennata del prezzo di alcuni materiali per la produzione di
batterie tra cui il piombo, il litio e lo zinco. Se non bastasse non
sono stati previsti dei seri piani di smaltimento degli accumulatori
esausti che, hanno si esaurito la loro efficienza, ma contengono ancora
sostanze tossiche. Per quanto concerne il secondo punto la domanda è: da
dove proviene l’elettricità che immettiamo negli accumulatori nelle
vetture elettriche? Qualcuno potrebbe rispondere da fonti rinnovabili.
Ci si
chiede allora quanti Kmq di celle fotovoltaiche e quante migliaia di
pale eoliche sarebbero necessari per coprire il fabbisogno mondiale?
Quale sarebbe l’impatto sull’ambiente? Quindi la soluzione per
alimentare le auto elettriche è sempre la stessa: le centrali nucleari o
a carbone. Sotto questo aspetto non si fa altro che spostare il problema
inquinamento, non risolverlo. Bisogna affermare con coraggio e realismo
che la diffusione dell’auto elettrica è limitata perché almeno oggi
questo tipo di veicolo non è la soluzione al problema.
Auto da “cani”
Auto
ed animali una relazione nata con la comparsa delle prime vetture. Chi
ha la fortuna di possedere un animale, dal cane o gatto alle più
esotiche bestiole come furetti, criceti, maialini si deve porre, ancor
prima di ospitarlo in casa, il problema del trasporto. Ogni animaletto,
per sua natura, dimensioni, peso, agilità, esuberanza, è caratterizzato
da un tipo differente di strategia di trasporto. Ricordo per esempio che
da bambino possedevo un gatto ed il problema del trasporto non ha mai
sfiorato i pensieri dei miei genitori né tantomeno i miei. Purtroppo
però quando si trattò di portare il micio dal veterinario per una
visita, il problema esplose in tutta la sua gravità. Vi assicuro che è
stata una tra le esperienze più dolorose della mia vita.
Tenni
il gattino in braccio per tutta la durata del viaggio, circa 10
interminabili minuti. Il povero animaletto agitatissimo per i sobbalzi
della vettura cominciò a graffiare e morsicare nel vano tentativo di
uscire dall’abitacolo.
Questa brutta esperienza mi ha insegnato l’importanza di essere
attrezzati anche per operazioni semplici come appunto il trasporto del
micio di casa. Attrezzarsi significa garantire l’incolumità sia delle
persone attorno, sia della bestiola stessa. Immaginiamo per un attimo la
fine che potrebbe fare un piccolo criceto che sfugga alle amorevoli
braccia del proprietario all’interno di una vettura in movimento.
La
legislazione vigente d’altro canto è piuttosto severa per quanto
concerne la presenza di animali all’interno delle vetture. Innanzitutto
le bestiole piccole o grandi che siano devono essere ben separate dal
conducente attraverso l’utilizzo di gabbie, reti, cinture di sicurezza,
o altro mezzo idoneo a garantire una guida senza distrazioni o
impedimenti.
Il
non rispetto di queste basilari norme implica una sanzione
amministrativa oltre la decurtazione di diversi punti della patente. Non
una sanzione amministrativa, bensì penale è prevista per quegli
sciagurati che tengono un animaletto in condizioni di supplizio
all’interno dell’auto. In clima agostano si pensi ad esempio a coloro
che, anche solo per distrazione, abbandonano Fido all’interno della
vettura sotto il sole e con i finestrini chiusi.
Tornando al trasporto si consiglia di educare la bestiola ai viaggi in
auto, soprattutto per i cani e i gatti. Educare significa per esempio
far salire il micio più volte nell’abitacolo delle vettura a motore
spento per “prepararlo” al viaggio vero e proprio, fin quando penserà
che l’abitacolo è confortevole come la cuccia di casa.
E’
importante far viaggiare gli animali a digiuno per evitare fastidiose e
maleodoranti sorprese durante il viaggio. Un’abitudine che spesso
vediamo sulla strada è far sporgere Fido con il muso fuori dal
finestrino ritenendo che in tal modo l’amico quadrupede si rinfreschi.
Sbagliatissimo, questo comportamento può provocargli dolorose otiti.
Anche
le case automobilistiche hanno pensato a soluzioni mirate per venire
incontro alle esigenze di confort dei cani e gatti e di praticità per i
padroni automobilisti. Un esempio fra tutti è la “Combo Pet Lovers
Edition” una specie di monovolume prodotta dalla Opel in collaborazione
con l’ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali).
Alcune caratteristiche essenziali che rendono questa vettura unica sono:
la rete di protezione, per far viaggiare i nostri amici a quattro zampe
nel pieno rispetto del Codice della Strada, il coprivano lavabile, che
assicura un'agevole pulizia del vano posteriore, e lo speciale
accessorio FlexFloor che, dividendo il vano posteriore, assicura la
disponibilità di spazio sia per il cane sia per i bagagli. Un gioiellino
che ha un costo abbordabilissimo, poco più di €. 13.000.
La
Opel rappresenta solo uno, forse il più significativo esempio
dell’interesse delle case costruttrici d’auto verso il mondo animale.
Anche
la Honda con la sua “Element” ha voluto creare una vettura più vicina
alle esigenze dei cani e gatti.
Un’ultima nota per così dire di costume e quella per cui da sempre le
case automobilistiche sono state attirate dal mondo animale. Prova ne è
il fatto che spesso, soprattutto negli ultimi anni, alle vetture vengono
dati nomi come Lupo per la Volkswagen, Bison per la Chevrolet, Mustang
per la Ford, l’elenco potrebbe continuare con altre decine di esempi.
Simone Pavarin |