La diossina: una calamità per la popolazione mondiale
di Claudia Giampietro
La diossina è uno dei più noti e pericolosi contaminanti
ambientali.
Le diossine sono una classe di composti organici
aromatici
clorurati
la cui struttura consiste di due anelli
benzenici
legati da due atomi di
ossigeno
e con legati uno o più atomi di
cloro.
Nella terminologia corrente il termine diossina è spesso
usato come sinonimo di TCDD (tetracloro-dibenzo-p-diossina). In realtà
si conoscono 210 tipi diversi tra diossine strettamente correlati per
caratteristiche e tossicità.
E’ chimicamente degradabile in pochi giorni dalla
radiazione solare ultravioletta se viene invece dilavata nel terreno,
si lega al materiale organico ivi presente e viene degradata molto
lentamente, nell’arco di parecchi mesi o anni.
Le diossine non esistono pure in natura ma vengono
generate come sottoprodotti non voluti di numerosi processi di
produzione, utilizzazione e smaltimento del cloro e dei suoi derivati.
Le emissioni industriali di diossine possono essere trasportate per
grandi distanze dalle correnti atmosferiche, e, in misura minore, dai
fiumi e dalle correnti marine.
Essendo principalmente prodotti della combustione degli
inceneritori, le diossine le possiamo trovare ovunque nell’ambiente e
nell’uomo e quindi destano grosse preoccupazioni.
Anche l’ erba può essere contaminata dalla diossina.
Se l’ erba contaminata è mangiata da erbivori, le
diossine si trasferiscono dall’erba ai tessuti grassi di questi animali.
In questo caso lo strato adiposo funziona come "serbatoio" di diossine,
da cui tali sostanze sono "prelevate" durante l’allattamento, per
passare nel latte.
Ovviamente questo fenomeno riguarda tutti i mammiferi.
Durante il pascolo dei ruminanti, può avvenire
l'assunzione involontaria di terreno attraverso le particelle depositate
sulle verdure o direttamente quando si nutrono di erba vicino alla
superficie del terreno. I bovini, in genere, si nutrono di vegetazione
che si trova da 5 a 10 cm sopra la superficie del terreno; gli ovini
sono anatomicamente in grado di nutrirsi più vicino alla superficie del
terreno. La quantità di suolo ingerita dipende dall’abbondanza e dalla
qualità del pascolo, e dalla densità degli animali al pascolo.
Le diossine”bio-ingrandiscono”,nel senso che, tramite la
catena alimentare, passano da preda a predatore, per raggiungere infine
l’uomo.
La quantità di diossine nell’ uomo è maggiore di tutti gli altri
mammiferi in quanto l’uomo è l’ ultimo tassello della catena alimentare,
quindi concentra le diossine nei propri grassi a livelli maggiori di
quelli che si trovano nel cibo con cui si alimenta, in particolare
latticini, carne e pesce.
L'esposizione dell'uomo alle diossine ha luogo quasi
esclusivamente attraverso l'assunzione di cibo.
In caso di esposizione di soggetti a concentrazioni
particolarmente elevate di diossine (ad esempio per esposizione
accidentale o sul lavoro), si è potuto constatare la capacità di questi
composti a ridurre la fertilità, le capacità di sviluppo e quelle di
immunodifesa oltre che l'insorgenza di tumori.
I risultati di recenti studi dimostrano che le
concentrazioni di diossine nei tessuti umani nella popolazione, in
particolare dei paesi industrializzati, hanno già raggiunto o quasi
livelli ai quali si possono verificare effetti negativi sulla salute.
La diossina è cancerogena per l'uomo e per gli animali.
Nel corso degli anni l’Italia non ha adottato la giusta
politica per la riduzione delle emissioni di diossine, infatti non è in
regola con gli obiettivi della Comunità europea.
In Italia, ad esempio, desta preoccupazione l'emissione
di diossina dell'impianto di agglomerazione dell'Ilva
di
Taranto,
oggetto di numerose e protratte campagne di informazione
dell'associazionismo locale basate sui dati del registro INES delle
emissioni e delle loro sorgenti.
L’Ilva di Taranto, secondo i dati 2007-08,
produce da 2,4 a 8,3 nanogrammi per metro cubo di
diossina.
Il limite di 0,4 nanogrammi per diossine e furani è
quello
fissato a livello europeo dal Protocollo di Aarhus,
approvato dal Consiglio dell’Ue nel 2004 e recepito da 16 Paesi
dell’Unione ma non dall’Italia, che si avvale della possibilità di
adeguarsi entro il 2012.
Resta fermo il punto di arrivo fissato dalla Regione
Puglia di limitare le emissioni entro il limite di 0,4 nanogrammi
per metro cubo,
così
come prevede il Protocollo di Aarhus.
A seguito delle incessanti cronache degli ultimi giorni sulla
questione ambientale e delle emissioni inquinanti dell’ILVA sulla città
di Taranto, è stato varato un documento da parte della ASL TA e
dell’ARPA Puglia.
A partire da giugno del corrente anno è iniziata campagna
di monitoraggio randomizzato delle emissioni nocive dello stabilimento
ILVA di Taranto, avviato dall’Arpa Puglia e dalla ASL di Taranto.
L’iniziativa ha la finalità di stimare realmente
l’esposizione alle emissioni degli IPA (idrocarburi policiclici
aromatici) del personale in servizio presso la cokeria dello
stabilimento siderurgico in questione. Inoltre ha anche la finalità di
monitorare il rapporto di emissioni alla concentrazione di
benzo(a)pirene sull’area urbana di Taranto adiacente all’ILVA.
Fondamentalmente l’attività segue tre principali canovacci: i controlli
sanitari della filiera alimentare, i controlli ambientali e le indagini
con studi epidemiologici.
Facendo una carrellata su quelli che sono stati i percorsi che hanno
visto protagoniste la ASL TA e l’ARPA Puglia, in questi ultimi anni, a
favore della tutela ambientale, ricordiamo che già nel 2008 il
Dipartimento di Prevenzione della stessa ASL TA, nell’ambito del
progetto “Attivazione del Piano
Straordinario per il controllo della presenza di Diossina”, in
collaborazione con l’assessorato alle Politiche della Salute della
regione Puglia, aveva già allargato l’attività di controllo sulle
matrici alimentari, inglobando tutti gli alimentari di origine animale e
vegetale e i mangimi per animali (DGR n. 442/2009). Nell’ambito di
questi controlli coesiste la collaborazione dell’istituto Talassografico
di Taranto (che si dedica allo studio dei metalli pesanti e dei PCB),
dell’ARPA Puglia (che studia le matrici del suolo e dell’acqua).
Successivamente, nel 2010, a questo quadro si sono aggiunti controlli
specifici inerenti i campionamenti di mitili per il dosaggio di IPA,
metalli pesanti e PCB, in collaborazione con l’IZS di Portici.
Mentre, nel 2011, è stato approvato da parte dall’assessorato alle
Politiche della Salute della regione Puglia, il “Piano Straordinario di
monitoraggio di Diossina” nel primo e secondo seno del Mar Piccolo e nel
Mar Grande.Infine, nei giorni scorsi, SPESAL e ARPA Puglia hanno insieme
monitorato le emissioni nocive dello stabilimento ILVA, il rapporto di
emissioni degli IPA del personale che presta servizio presso la cokeria
e il monitoraggio delle emissioni in rapporto alla concentrazione di
benzo(a)pirene sull’area di Taranto adiacente allo stabilimento ILVA.
La Puglia è stata la prima regione a dotarsi di una legge
“anti-diossina”, poiché secondo gli ultimi dati forniti dal registro
INES del 2006, il 91,5% di tutta la diossina nazionale
(policlorodibenzodiossina e policlorodibenzofurani (PCDD-PCDF) è stata
prodotta nel territorio tarantino dall’Ilva di Taranto.
Dal 1 gennaio 2011 in vigore i nuovi limiti di emissione
n.
44/2008 del 19 dicembre.
Il
Registro INES
(Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) oggi sostituito
in sede europea dall’European Pollutant Release and Transfer Register
(E-PRTR),
redatto con l’intento di far esercitare al pubblico il proprio diritto
di accesso alle informazioni ambientali in maniera semplice e
trasparente, per ciò che concerne la produzione di diossine, considera
la Puglia come la Regione più inquinata di Italia. Tutta la diossina è
prodotta nella provincia di Taranto con il 91,5% di PCDD e PCDF (con un
valore pari a 91,96 g/anno). Seconda è la Lombardia con il 4,32 %, terzo
il Friuli Venezia Giulia con il 3,72%.
Con l’entrata in vigore della legge 44/2008, tutti gli
impianti di nuova realizzazione sono stati obbligati ad adeguarsi ai
valori limite, ottenibili con l’applicazione delle migliori tecnologie
disponibili (MTD), e a rientrare, dunque, nei limiti stabiliti dalla
legge regionale e europea:
0,4
nanogrammi per metro cubo di tossicità equivalente (0,4 ng TEQ/Nm3).
“L’ azione più utile che può essere presa per ridurre l’
esposizione a queste sostanze indesiderate è, per quanto possibile,
quella di identificare le maggiori fonti di diossine e prendere le
appropriate misure per diminuire le emissioni a lungo termine nell’
ambiente, con lo scopo di limitarne i livelli negli alimenti e nei
tessuti umani.”
Rimanendo sul tema occupazionale, occorre segnalare che
ogni intervento di miglioramento tecnologico e manutentivo che influisce
sulla qualità delle emissioni, comporta più posti di lavoro.
E' quindi un argomento interessante anche da un punto di
vista strettamente sindacale, perché mantenere una fabbrica più pulita
ed efficiente sotto il profilo ambientale significa offrire più spazi
occupazionali.
Un deterrente contro l'inquinamento: il controllo
continuo.
Claudia Giampietro |