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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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La diossina: una calamità per la popolazione mondiale

di Claudia Giampietro

 

La diossina è uno dei più noti e pericolosi contaminanti ambientali.

Le diossine sono una classe di composti organici aromatici clorurati la cui struttura consiste di due anelli benzenici legati da due atomi di ossigeno e con legati uno o più atomi di cloro.

Nella terminologia corrente il termine diossina è spesso usato come sinonimo di TCDD (tetracloro-dibenzo-p-diossina). In realtà si conoscono 210 tipi diversi tra diossine strettamente correlati per caratteristiche e tossicità.

E’ chimicamente degradabile in pochi giorni dalla radiazione solare ultravioletta se  viene invece dilavata nel terreno, si lega al materiale organico ivi presente e viene degradata molto lentamente, nell’arco di parecchi mesi o anni.

Le diossine non esistono pure in natura ma vengono generate come sottoprodotti non voluti di numerosi processi di produzione, utilizzazione e smaltimento del cloro e dei suoi derivati. Le emissioni industriali di diossine possono essere trasportate per grandi distanze dalle correnti atmosferiche, e, in misura minore, dai fiumi e dalle correnti marine.

Essendo principalmente prodotti della combustione degli inceneritori, le diossine le possiamo trovare ovunque nell’ambiente e nell’uomo e quindi destano grosse preoccupazioni.

Anche l’ erba può essere contaminata dalla diossina. Se l’ erba contaminata è mangiata da erbivori, le diossine si trasferiscono dall’erba ai tessuti grassi di questi animali. In questo caso lo strato adiposo funziona come "serbatoio" di diossine, da cui tali sostanze sono "prelevate" durante l’allattamento, per passare nel latte.

Ovviamente questo fenomeno riguarda tutti i mammiferi.

Durante il pascolo dei ruminanti, può avvenire l'assunzione involontaria di terreno attraverso le particelle depositate sulle verdure o direttamente quando si nutrono di erba vicino alla superficie del terreno. I bovini, in genere, si nutrono di vegetazione che si trova da 5 a 10 cm sopra la superficie del terreno; gli ovini sono anatomicamente in grado di nutrirsi più vicino alla superficie del terreno. La quantità di suolo ingerita dipende dall’abbondanza e dalla qualità del pascolo, e dalla densità degli animali al pascolo.

Le diossine”bio-ingrandiscono”,nel senso che,  tramite la catena alimentare,  passano da preda a predatore, per raggiungere infine l’uomo.
La quantità di diossine nell’ uomo è maggiore di tutti gli altri mammiferi in quanto l’uomo è l’ ultimo tassello della catena alimentare, quindi concentra le diossine nei propri grassi a livelli maggiori di quelli che si trovano nel cibo con cui si alimenta, in particolare latticini, carne e pesce.

L'esposizione dell'uomo alle diossine ha luogo quasi esclusivamente attraverso l'assunzione di cibo.

In caso di esposizione di soggetti a concentrazioni particolarmente elevate di diossine (ad esempio per esposizione accidentale o sul lavoro), si è potuto constatare la capacità di questi composti a ridurre la fertilità, le capacità di sviluppo e quelle di immunodifesa oltre che l'insorgenza di tumori.

I risultati di recenti studi dimostrano che le concentrazioni di diossine nei tessuti umani nella popolazione,  in particolare dei paesi industrializzati,  hanno già raggiunto o quasi livelli ai quali si possono verificare effetti negativi sulla salute.

La diossina è cancerogena per l'uomo e per gli animali.

Nel corso degli anni l’Italia non ha adottato la giusta politica per la riduzione delle emissioni di diossine, infatti non è in regola con gli obiettivi della Comunità europea.

In Italia, ad esempio, desta preoccupazione l'emissione di diossina dell'impianto di agglomerazione dell'Ilva di Taranto, oggetto di numerose e protratte campagne di informazione dell'associazionismo locale basate sui dati del registro INES delle emissioni e delle loro sorgenti.

L’Ilva di Taranto, secondo i dati 2007-08, produce da 2,4 a 8,3 nanogrammi per metro cubo di diossina.

Il limite di 0,4 nanogrammi per diossine e furani è quello fissato a livello europeo dal Protocollo di Aarhus, approvato dal Consiglio dell’Ue nel 2004 e recepito da 16 Paesi dell’Unione ma non dall’Italia, che si avvale della possibilità di adeguarsi entro il 2012.

Resta fermo il punto di arrivo fissato dalla Regione Puglia di limitare le emissioni entro il limite di 0,4 nanogrammi per metro cubo, così come prevede il Protocollo di Aarhus.
A seguito delle incessanti cronache degli ultimi giorni sulla questione ambientale e delle emissioni inquinanti dell’ILVA sulla città di Taranto, è stato varato un documento da parte della ASL TA e dell’ARPA Puglia.

A partire da giugno del corrente anno è iniziata campagna di monitoraggio randomizzato delle emissioni nocive dello stabilimento ILVA di Taranto, avviato dall’Arpa Puglia e dalla ASL di Taranto.

L’iniziativa ha la finalità di stimare realmente l’esposizione alle emissioni degli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) del personale in servizio presso la cokeria dello stabilimento siderurgico in questione. Inoltre ha anche la finalità di monitorare il rapporto di emissioni alla concentrazione di benzo(a)pirene sull’area urbana di Taranto adiacente all’ILVA.
Fondamentalmente l’attività segue tre principali canovacci: i controlli sanitari della filiera alimentare, i controlli ambientali e le indagini con studi epidemiologici.
Facendo una carrellata su quelli che sono stati i percorsi che hanno visto protagoniste la ASL TA e l’ARPA Puglia, in questi ultimi anni, a favore della tutela ambientale, ricordiamo che già nel 2008 il Dipartimento di Prevenzione della stessa ASL TA, nell’ambito del progetto “Attivazione del Piano
Straordinario per il controllo della presenza di Diossina”, in collaborazione con l’assessorato alle Politiche della Salute della regione Puglia, aveva già allargato l’attività di controllo sulle matrici alimentari, inglobando tutti gli alimentari di origine animale e vegetale e i mangimi per animali (DGR n. 442/2009). Nell’ambito di questi controlli coesiste la collaborazione dell’istituto Talassografico di Taranto (che si dedica allo studio dei metalli pesanti e dei PCB), dell’ARPA Puglia (che studia le matrici del suolo e dell’acqua).
Successivamente, nel 2010, a questo quadro si sono aggiunti controlli specifici inerenti i campionamenti di mitili per il dosaggio di IPA, metalli pesanti e PCB, in collaborazione con l’IZS di Portici.
Mentre, nel 2011, è stato approvato da parte dall’assessorato alle Politiche della Salute della regione Puglia, il “Piano Straordinario di monitoraggio di Diossina” nel primo e secondo seno del Mar Piccolo e nel Mar Grande.Infine, nei giorni scorsi, SPESAL e ARPA Puglia hanno insieme monitorato le emissioni nocive dello stabilimento ILVA, il rapporto di emissioni degli IPA del personale che presta servizio presso la cokeria e il monitoraggio delle emissioni in rapporto alla concentrazione di benzo(a)pirene sull’area di Taranto adiacente allo stabilimento ILVA.

La Puglia è stata la prima regione a dotarsi di una legge “anti-diossina”, poiché secondo gli ultimi dati forniti dal registro INES del 2006, il 91,5% di tutta la diossina nazionale (policlorodibenzodiossina e policlorodibenzofurani (PCDD-PCDF) è stata prodotta nel territorio tarantino dall’Ilva di Taranto.

Dal 1 gennaio 2011 in vigore i nuovi limiti di emissione n. 44/2008 del 19 dicembre.

Il Registro INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) oggi sostituito in sede europea dall’European Pollutant Release and Transfer Register (E-PRTR), redatto con l’intento di far esercitare al pubblico il proprio diritto di accesso alle informazioni ambientali in maniera semplice e trasparente, per ciò che concerne la produzione di diossine, considera la Puglia come la Regione più inquinata di Italia. Tutta la diossina è prodotta nella provincia di Taranto con il 91,5% di PCDD e PCDF (con un valore pari a 91,96 g/anno). Seconda è la Lombardia con il 4,32 %, terzo il Friuli Venezia Giulia con il 3,72%.

Con l’entrata in vigore della legge 44/2008, tutti gli impianti di nuova realizzazione sono stati obbligati ad adeguarsi ai valori limite, ottenibili con l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili (MTD), e a rientrare, dunque, nei limiti stabiliti dalla legge regionale e europea: 0,4 nanogrammi per metro cubo di tossicità equivalente (0,4 ng TEQ/Nm3).

“L’ azione più utile che può essere presa per ridurre l’ esposizione a queste sostanze indesiderate è,  per quanto possibile, quella di identificare le maggiori fonti di diossine e prendere le appropriate misure per diminuire le emissioni a lungo termine nell’ ambiente, con lo scopo di limitarne i livelli negli alimenti e nei tessuti umani.”

Rimanendo sul tema occupazionale, occorre segnalare che ogni intervento di miglioramento tecnologico e manutentivo che influisce sulla qualità delle emissioni, comporta più posti di lavoro.

E' quindi un argomento interessante anche da un punto di vista strettamente sindacale, perché mantenere una fabbrica più pulita ed efficiente sotto il profilo ambientale significa offrire più spazi occupazionali.

Un deterrente contro l'inquinamento: il controllo continuo.

Claudia Giampietro

 


 

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