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L’ascesa e la caduta di François Cevert

di Roberto Maurelli 

 

Quando il piccolo François venne al mondo, in una Parigi dilaniata dall’occupazione nazista, i genitori scelsero di comune accordo di dargli il cognome della madre, di origine francese, piuttosto che quello del padre, dichiaratamente ebraico. Fu così che venne registrato: François Cevert, un nome destinato ad entrare negli annali della Formula 1 oltre che nel cuore di tutti noi.

La sua famiglia era piuttosto benestante, con iul padre che gestiva una gioielleria nella quale vedeva già impegnato il giovane François. In effetti le premesse c’erano tutte: il ragazzo aveva frequentato le migliori scuole del paese, parlava fluentemente l’inglese ed il tedesco ed era dotato del giusto savoir faire. Nulla faceva presagire che un giorno avrebbe sfidato i più grandi campioni del volante. Soprattutto, quando era ancora a scuola, non sembrava per nulla interessato al mondo dei motori che tanto appassionava, invece, i suoi coetanei.

Qualcosa cambiò dopo il servizio militare perché, al suo ritorno, François si decise ad intraprendere un corso di guida sportiva a Magny Cours. Dimostratosi di gran lunga il migliore dei partecipanti, gli venne offerta una Alpine da Formula 3, con la quale, tuttavia, vide la bandiera a scacchi solo in sei occasioni su ventidue partecipazioni.

Ormai esaltato dal brivido della velocità, il neopilota acquisto una Techno, al volante della quale riuscì a vincere, al primo tentativo, il Campionato Nazionale Francese.

 

L’anno dopo, in Formula 2, diede ottime impressioni, mostrando tutto il suo talento in una mitica vittoria sul circuito francese di Reims.

Complice anche il ritiro di un altro pilota francese, Servoz-Gavin, le porte della Formula 1 si spalancarono per Cevert. La Elf, compagnia petrolifera francese, lo volle alla Tyrrel per rimpiazzare la partenza del suo pupillo con una nuova promessa tutta made in France.

Nonostante le enormi aspettative, l’entrata in Formula 1 fu molto graduale e consentì a Cevert di affinare le sue tecniche di guida. D’altra parte nessuno si aspettava da lui che vincesse immediatamente un Campionato del Mondo, soprattutto con uno scomodissimo compagno di squadra come Jackie Stewart, già incoronato nel 1969.

Nei primi anni di gare ottenne una serie di ottimi piazzamenti, che contribuirono in modo determinante ai successi del team in quel periodo. Inoltre tutti erano coscienti che, quando il “vecchio” Stewart si fosse ritirato, la piccola stella francese avrebbe potuto far esplodere tutto il suo talento, garantendo un futuro radioso alla scuderia di Ken Tyrrel. Nel frattempo le soddisfazioni sportive arrivavano anche in altri tipi di competizioni, fra tutte la 24 ore di Le Mans dove ottenne un secondo posto nel 1972.

Purtroppo arrivò quel tremendo 6 ottobre 1973. Il circus della Formula 1 si era spostato negli USA per il Gran Premio di Watkins Glen. Cevert era prossimo a prendere le redini del suo team da cui Stewart, conquistato il suo terzo ed ultimo titolo, voleva slegarsi per prendere la via del ritiro. Caricato dalla sensazione di poter finalmente scrivere la pagina più bella della sua storia, prima di affrontare le ultime prove di qualificazione, Cevert disse al suo meccanico:«Oggi è il 6, piloto la Tyrrell 006, con il numero 6, il motore Cosworth porta il numero 66. Oggi faccio la pole position».

Uscì dai box, era quarto. Iniziò il suo tentativo di conquistare il miglior tempo. Si gettò alla ricerca della massima prestazione, sfidando ad ogni curva la resistenza della sua vettura alle forze della fisica. Ma la Tyrrel aveva un comportamento molto nervoso nelle curve. Cevert affrontò una curva in una marcia inferiore a quella che utilizzava il più esperto compagno di squadra. Perse il controllo della vettura, si schiantò contro le barriere e non ritornò mai più ai box.

“Aveva la stoffa per diventare Campione del Mondo”. Jackie Stewart ne è sempre stato convinto. Ma più di tutto François era una bella persona. Sembrava un divo del cinema. Aveva un fisico definito, gli occhi blu, i capelli fluenti, un sorriso spontaneo e coinvolgente. Era intelligente ed educato. Caratteristiche che si ritrovavano nel suo stile di guida, efficace ma elegante.

La sua scomparsa ha lasciato un vuoto incredibile. Nella sua famiglia, da sempre contraria alla sua professione di pilota, nella Francia, orfana di un suo figlio che riteneva predestinato ai più alti traguardi, nei suoi colleghi di lavoro. Fra tutti vale la pena ricordare proprio Stewart che ebbe a dire di non amare più questo sport, che gli aveva tolto un amico prima ancora che un compagno di squadra ed un degno rivale in pista.

Neppure la Tyrrel si sarebbe più ripresa dallo shock, ma di questo ne parleremo un’altra volta…  

 

Roberto Maurelli

 


 

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