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L’ oro nero rincalza e sfugge al controllo di ogni pianificazione
economica. In borsa si punta al rialzo
La
Crisi energetica è all’orizzonte, a pagarne il prezzo? Famiglie e
imprese
di Davide Murgano
(Ott. 2008)
Aumenta
il petrolio, il barile dopo aver toccato il 19 ottobre la cifra record
di 90 dollari, balla pericolosamente intorno a quel livello, generando
incertezza sulle sorti future dell’ economia mondiale, la speculazione
annusa l’ aria e si fionda sullo zucchero. I contratti future (quelli
che impegnano a comprare o vendere una merce a una certa data per un
prezzo stabilito oggi, perciò scommettono sull’ andamento del mercato),
nel caso del prodotto della canna sono ampiamente a rialzo, sulla base
del ragionamento che il caro- petrolio spingerà verso i bio-carburanti,
e quindi l’ etanolo fatto appunto con la canna da zucchero. L’ oro nero
resta comunque sempre il preferito dai giocatori d’azzardo delle Borse.
Secondo le ultime statistiche sulle opzioni, gli investitori disposti ad
acquistare sul Wti ( West Texas Intermediate, cioè il petrolio
americano) alla magica cifra di 100 dollari sono il triplo di quelli che
puntano viceversa a venderlo a 80 dollari. La tesi rialzista è sposata
anche da Thomas Petrie, vicepresidente di Merrill Lynch, che scommette
sul prossimo raggiungimento dei 120 dollari al barile.
Ancora più estrema la
posizione di Philip Verleger, economista indipendente specializzato nel
comparto energetico , stando al quale non vi sono le condizioni per un
calo dei prezzi, a meno che non si verifichi una forte recessione: <<In
assenza di questi fattori i prezzi potrebbero arrivare a 200 dollari al
barile>>.
E’ la finanza che
indicare la strada da seguire, sono i grandi manipolatori dei contratti
di carta sul petrolio a dimostrarsi più influenti degli stessi sceicchi
dell’ Opec, padroni del petrolio.
Ma a far la parte da
leone sul prezzo finale del prezioso liquido combustibile sono le
tensioni geopolitiche. Come se non bastassero i guerriglieri del delta
del Niger, il nazionalismo petrolifero in Venezuela, l’ incubo delle
tempeste nel Golfo del Messico, ora la minaccia di invasione turca nel
Kurdistan iracheno taglia il fiato all’ apparato produttivo di Baghdad
che si stava a stento riprendendo. E la partita sul nucleare in Iran
potrebbe mettere in pericolo le forniture di Teheran, un export di 2,5
milioni di barili al giorno. Poi c’è il fattore dollaro: ogni volta che
il biglietto verde perde quota, come sta accadendo ora, i prezzi delle
commodities salgono. Gli attuali livelli di prezzo dipendono in maniera
consistente dai timori di nuovi conflitti. In complesso, il rischio
geopolitica pesa, secondo alcuni esperti, per 15 – 20 dollari. Se però
si guardano i progetti di esplorazione in corso, che assumono un livello
di prezzo oltre al quale diventano convenienti, il “rincaro-rischio” è
anche di più. I costi fondamentali del mercato (che sommano i costi di
estrazione, gli stipendi dei dipendenti, il costo delle attrezzature e
via dicendo), indicherebbero infatti un livello del barile sui 40- 45
dollari. E’ così, per esempio, nei progetti di ricerca più costosi al
mondo, che sono quelli che si svolgono in Canada. Mentre compagnie
petrolifere e paesi produttori si riempiono le tasche, ci si potrebbe
aspettare che l’ economia barcolli e si afflosci sotto il peso della
bolletta petrolifera. Invece no. Come ricorda il “Financial Times”,
<<il mondo ha dimostrato che può vivere con un barile a 70 dollari e
oltre. Ora il prezzo e a livelli molto superiori, ma questo non ha
compromesso la locomotiva mondiale. Lo stesso Fondo monetario, d’altra
parte, in aprile aveva presentato un nuovo modello di crescita
economica, che accoppia petrolio salato e paesi emergenti.
Secondo questo modello,
se i paesi a rapido sviluppo come Cina e India tengono alta la domanda,
il pericolo di shock è scongiurato. E così è stato quest’ anno. Un
mondo, la cui crescita è dovuta per metà proprio a Cina e India.
Nel primo semestre 2007
la sete globale di petrolio è cresciuta dell’ 1 per cento. Ma mentre i
paesi industrializzati, sia l’ Europa che gli Usa, hanno “bevuto meno”,
la parte del leone l’ hanno fatta i cinesi, gli indiani e i
medio-orientali. Per di più, la discesa del dollaro ha reso meno
dispendioso il loro shopping.
Ma di certo il futuro
del mercato petrolifero mondiale non è roseo.
Dal lato dell’ offerta,
infatti non ci sarà spazio per grossi aumenti delle disponibilità, sia a
causa di ritardi nello sviluppo di nuovi progetti, sia per la fine
anticipata per la produzione di alcuni di alcuni grandi giacimenti (per
esempio, in Norvegia,Gran Bretagna e Messico). L’Opec non dovrebbe
aprire troppo i rubinetti. Come ha spiegato recentemente lo sceicco Zaki
Yamani, ex ministro del petrolio saudita, i paesi produttori si stanno
riempiendo le tasche, e non sono disposti a rinunciarci. Anche perché
guardano con fastidio all’ abitudine di governi occidentali di caricare
di tasse il petrolio, facendo di fatto pagare tre volte tanto il barile
ai loro cittadini-consumatori.
L’ Arabia Saudita, che
essendo il maggior produttore potrebbe influire sulla situazione, per
ora si è allineata alla maggioranza. A questo si aggiunge un fattore
cruciale: la “spare capacity”, cioè la capacità produttiva non
utilizzata di un giacimento è diventata molto bassa a livello globale.
Più o meno è pari a 3 milioni di barili al giorno (era di 5-6 negli anni
Novanta). Insomma, il fronte dell’ offerta tiene la cinghia stretta.
Sul versante della
domanda, invece, le economie emergenti continueranno a tirare, senza
guardare troppo i prezzi. In tutto questo, però, resta il fatto che il
petrolio non manca. Tanto che i raffinatori si possono permettere di
scegliere le qualità migliori. I sauditi, per esempio, si lamentano che
alcuni carichi restano invenduti. Come mai ? Perché si tratta di
greggio pesante (con più piombo e altri componenti di scarto), che
quindi ha una resa inferiore. Inoltre l’effetto euro aiuta i raffinatori
europei. Doppiamente fortunati. Da un lato acquistano la materia prima e
in minor quantità, dall’ altro, vendono la
benzina (e gli altri prodotti finali) ai consumatori che non rinunciano
ad andare in auto, qualsiasi sia prezzo alla pompa.
Ma per fortuna,
ultimamente, L’ euro sopra quota 1,44 sul dollaro riesce a contenere
l’ aumento del prezzo del petrolio e di tutti gli altri combustibili:
incluso il gasolio da riscaldamento. Non è certo una cattiva notizia per
un paese come il nostro che importa l’85 per cento del suo fabbisogno
energetico.
Ma questo non vuol dire
che le bollette della luce e del gas, come pure quelle del
riscaldamento, non aumenteranno.
Anzi, l’ Authority per
l’ energia e il gas ha già decretato un aumentato del 2,4 per cento per
l’ energia elettrica e del 2,8 per cento per il gas. Un aumento lieve,
di appena 10 euro l’ anno per la corrente e di 26 euro per il gas.
Anche se, secondo i
consumatori, gli aumenti potrebbero arrivare a 41 euro per la famiglia a
cui si aggiungono i rincari dei carburanti e del gasolio per il
riscaldamento.
A risentire di più del
caro petrolio, però non saranno le famiglie, ma le piccole imprese.
La Confartigianato ha
infatti calcolato che l’ aumento delle tariffe elettriche si tradurrà
per tutte le piccole e medie imprese italiane in un incremento dei costi
pari al 249 milioni di euro, arrivando così a superare nel suo complesso
una fattura di 9 miliardi di euro.
<<Se le quotazioni dell’
euro fossero uguali a quelle del dollaro>>, spiega Davide Tabarelli,
presidente di Nomisma Energia, <<gli aumenti della bolletta per le
famiglie e le imprese italiane sarebbero il doppio rispetto agli aumenti
stabiliti dall’ Authority>>.
I numeri parlano chiaro:
con un prezzo del petrolio a 90 euro a barile e del carbone a 120 euro
per tonnellata e con l’ euro alla pari con il dollaro, gli aumenti si
aggirerebbero intorno al 5 per cento per la corrente elettrica e per il
gas. In termini assoluti significa 80 euro in più per la famiglia tra
luce e gas.
Lo stesso vale per la
bolletta energetica nazionale. <<Se avessimo avuto la parità sul
dollaro i conti sarebbero stati molto più salati>>, dice Tabarelli.
La bolletta energetica
si sarebbe chiusa infatti nel 2007 con un aumento di 4,5 miliardi di
euro, arrivando a quasi 55 miliardi.
Davide Murgano |