VALUTAZIONE DEI PROBLEMI AMBIENTALI LEGATI ALL’USO DEI
PESTICIDI
di Fabio La Corte
INTRODUZIONE
La difesa dalle avversità delle piante si è sviluppata
nel tempo in connessione con la tecnica agricola sin dai tempi remoti in
cui l’uomo cercava di ottenere gli alimenti attraverso la coltivazione
del terreno. Nel tempo siamo così passati da trattamenti con i più
disparati prodotti organici o inorganici, alla moderna fitoiatria.
Nel nostro secolo la lotta ai parassiti ha raggiunto un
grado di evoluzione tecnica elevata, non solo grazie alla sintesi e
produzione di nuovi principi attivi, ma anche e soprattutto con la messa
a punto di una serie di sistemi di monitoraggio dei parassiti animali e
vegetali, l’innovazione delle macchine per la distribuzione dei
fitofarmaci, l’applicazione dei nuovi concetti di lotta guidata e lotta
integrata.
Accanto alla risoluzione dei problemi di carattere
agronomico si è sviluppato lo studio del comportamento ambientale degli
erbicidi. Tale argomento ha ricevuto un notevole impulso negli ultimi
anni anche in Italia, soprattutto in seguito al rilevamento di alcuni
erbicidi, in concentrazioni superiori ai limiti normativi, in acque
potabili alla fine degli anni ‘80. Sono stati così istituiti diversi
gruppi di ricerca per poter conoscere e prevenire gli
effetti indesiderati sull’ambiente connessi all’impiego dei diserbanti.
Quest’ultimo aspetto ha assunto una importanza
particolare alla luce del regolamento CE 2078 del 30 giugno 1992 che
prevede l’intensificazione delle iniziative di formazione ed
informazione atte ad incoraggiare l’introduzione di metodi produttivi
agricoli e forestali compatibili con l’ambiente e, più particolarmente,
l’applicazione di un codice di comportamento in agricoltura.
Inoltre l’acquisizione di conoscenze sulla quota di
prodotto antiparassitario dispersa sul suolo e nell’aria risulta
essenziale per la previsione modellistica della contaminazione dei
comparti ambientali, terreno, acqua, aria, ovvero per la determinazione
della Predicted Environmental Concentration così come richiesto
nei Principi Uniformi CE (Direttiva CE 91-414) (Leandri A., 1995).
IL COMPORTAMENTO DEI PESTICIDI NELL’AMBIENTE
L’applicazione di un diserbante (o insetticida) a seconda
del bersaglio cui e
diretto può avere diverse destinazioni:
a) l’aria
b) le piante
c) il terreno
d) l’acqua
e, in via indiretta, la fauna terrestre ed acquatica,
l’uomo.
Bisogna poi inoltre considerare l’inquinamento diffuso
derivante dalla rideposizione di residui attraverso le precipitazioni
atmosferiche, generalmente nell’ordine di pochi grammi per ettaro; vi è
poi un inquinamento puntiforme derivante da eventuali perdite
accidentali di liquido diserbante durante i trattamenti.
Volatilizzazione e deriva
L’aria è semplicemente un mezzo di trasporto del
quale il diserbante ha bisogno per raggiungere il bersaglio. I tempi di
contatto con tale mezzo sono di solito piuttosto brevi, ma il passaggio
nell’atmosfera costituisce sempre un aspetto negativo nella
distribuzione dei diserbanti in quanto sono in gioco fattori di
stabilità all’aria e alla luce dei composti impiegati, di temperatura
(volatilizzazione) e di movimenti dell’aria (deriva). La
volatilizzazione consiste nel passaggio del diserbante alla forma di
vapore per sublimazione ed evaporazione. Questo fenomeno, che dipende
essenzialmente dalla natura del composto dalla temperatura ambiente, è
una forma di dispersione del prodotto alla quale è possibile ovviare. Ad
esso si può porre rimedio con l’incorporamento, dei diserbanti al
terreno.
La deriva consiste invece semplicemente nel
trasporto fisico del diserbante o di una parte di esso in un punto
lontano da quello dell’applicazione, causato soprattutto dalla presenza
di vento durante la distribuzione del prodotto.
Assorbimento delle piante
Le piante, a seconda dei casi, costituiscono
l’oggetto primario dei trattamenti, come avviene nei trattamenti di
emergenza, oppure l’oggetto indiretto, come avviene nel caso dei
trattamenti al terreno. Nell’uno e nell’altro caso l’assorbimento del
diserbante da parte delle piante può essere consistente.
Nelle applicazioni su vegetazione ben sviluppata, ad
esempio, può essere intercettata e successivamente assorbita fino al 50%
della dose di prodotto impiegata. Nelle applicazioni al suolo, invece,
ciò dipende molto dalla natura del terreno e dal suo potere di
adsorbimento.
Qualunque sia la frazione di diserbante captato dalle
infestanti essa non costituisce un problema per quanto riguarda i
riflessi ambientali. Nelle piante infestanti colpite, infatti,
intervengono i processi di metabolizzazione che degradano l’erbicida a
prodotti elementari non tossici. Per quanto riguarda le piante coltivate
invece il destino del diserbante assorbito può essere diverso.
Quello non metabolizzato dalla pianta può rimanere come
residuo e passare con la raccolta nei prodotti destinati
all’alimentazione umana oppure, sempre come residuo passare nel terreno
attraverso i residui vegetali (radici) .
Permanenza nel terreno
Sul terreno, sia esso oggetto diretto o indiretto
del trattamento, confluisce la parte più consistente del pesticida
applicato. E nel terreno i pesticidi seguono strade diverse in
dipendenza delle complesse interazioni che si vengono a creare tra
erbicida, terreno, piante e condizioni climatiche. Sostanzialmente, una
volta giunto al terreno, il diserbante è soggetto a due processi
evolutivi: uno di
trasformazione o degradazione e l’altro di trasporto, che
in pratica ne determinano la persistenza. La degradazione è l’unico
processo di trasformazione ed il solo in grado di eliminare l’erbicida
dall’ambiente. Tutti i pesticidi, seppure in modi e tempi diversi, sono
destinati ad essere completamente degradati. Attraverso il processo
degradativo, la molecola erbicida viene trasformata in composti sempre
più semplici, fino alla formazione di acqua, anidride carbonica e sali
organici. I
meccanismi di degradazione possono essere di tipo
biologico, fotochimico e chimico. La degradazione biologica è operata
dai microrganismi presenti nel terreno e rappresenta la principale forma
di degradazione per la maggior parte dei principi attivi utilizzabili.
La degradazione fotochimica avviene mediante foto-ossidazioni indotte
dalla radiazione solare. La degradazione chimica avviene per idrolisi,
sia nel terreno e in acqua, sia nelle piante. Il parametro utilizzato
per
esprimere la velocità di degradazione è il tempo di
dimezzamento (o semivita o periodo di semitrasformazione) che indica il
tempo necessario per ridurre del 50% la quantità immessa in un dato
ambiente.
La determinazione della carica residua dei pesticidi nel
terreno o dei loro prodotti di trasformazione presenti nel terreno può
essere condotta con metodi di analisi chimici e biologici nonché con
l’implementazione di modelli matematici previsionali.
Con le analisi chimiche è possibile una valutazione
quantitativa del prodotto, mentre con i test biologici, oltre che
l’aspetto quantitativo, si forniscono elementi inerenti gli effetti dei
pesticidi sull’ambiente.
Problemi ambientali legati alla permanenza dei pesticidi
nel terreno
Gli effetti negativi dovuti alla persistenza dei
pesticidi nel terreno si possono esprimere in forma sintetica come
ecotossicologia. Durante o dopo l’applicazione dei diversi prodotti essi
possono venire a contatto con organismi diversi da quelli costituenti il
“bersaglio”, e quindi vi è la possibilità che essi interferiscano,
direttamente o indirettamente, sulla loro vita. I più pericolosi in
assoluto sono gli insetticidi, perché a più alta tossicità. Non sono da
riscontrare casi di avvelenamento diretto di bestiame, ma piuttosto
avvelenamenti causati indirettamente dall’applicazione di alcuni
pesticidi che aumenterebbero l’appetibilità di piante tossiche, che
generalmente non sono consumate dagli
animali. Per quanto riguarda gli animali selvatici
effetti di una certa gravità sarebbero stati osservati sulla schiusura
delle uova negli uccelli; alcune sostanze impedirebbero la schiusura
delle uova di fagiani e pernici o quanto meno causerebbe la nascita di
pulcini malformati. Tutti gli studiosi sono comunque concordi nel
ritenere che il problema principale posto dall’uso dei diserbanti, in
relazione alla vita degli animali selvatici, non è tanto
di natura tossicologica quanto ecologica; l’impiego sistematico ed
esteso dei diserbanti porterebbe infatti a delle modificazioni
dell’ambiente naturale, sia per la riduzione della flora e delle piante
fornitrici di cibo che per l’eliminazione dei rifugi.
Residui di pesticidi nell’acqua
Anche l’acqua, come il terreno può essere oggetto
diretto o indiretto del trattamento. E’ oggetto diretto nel caso del
diserbo acquatico e quando funge da mezzo di trasporto o da mezzo di
diffusione. E’ invece oggetto indiretto tutte le volte che i diserbanti
giungono ad essa attraverso eventi meteorici (ruscellamento) o per
infiltrazione nel profilo verticale del terreno (percolazione).
Come oggetto diretto non sono normalmente da temere
effetti negativi sull’ambiente in senso lato in quanto, nei casi
specifici, i diserbanti vengono impiegati a ragion veduta.
Come oggetto indiretto invece i riflessi sono quasi
sempre negativi in quanto si originano al di fuori di eventi
controllabili e si configurano come fenomeni di contaminazione sia di
corpi idrici superficiali che di quelli profondi.
Anche in questo caso il tasso di contaminazione dipende
dalla stabilità dei composti in acqua, dal grado di idrolisi, dalla
sensibilità alla luce e dalla costante di dissociazione ai diversi pH.
In Europa le direttive CE (recepite anche in Italia con
D.P.R. del 24 maggio 1989 n 236) impongono che nessun pesticida sia
presente nelle acque potabili in concentrazioni superiori a 0,1 ppb (0,1
g/l) per componente singolo, o 0,5 ppb come somma di più componenti.
Tuttavia questa strategia, insieme a molte altre formulate per la
protezione delle acque profonde, trascura completamente la tossicità del
prodotto. La presenza di frazioni infinitesimali di pesticidi nelle
acque non significa necessariamente che esse siano dannose alla salute.
Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha ritenuto
opportuno di fornire caso per caso valori soglia diversi da quelli
fissati dalla normativa CE.
Percolazione dei pesticidi nelle acque di falda
Il fenomeno della percolazione avviene per effetto
principalmente di una precipitazione dopo l’applicazione del prodotto,
sia che ci sia o meno vegetazione.
La parte di pesticida non assorbita dalle piante viene
infatti rimossa dalla loro superficie. Stime dell’ammontare di pesticidi
che finiscono sul terreno variano tra 50% dove la vegetazione è ben
sviluppata e 100% dove la vegetazione è scarsa (Streibig J.C., 1993).
Generalmente è una precipitazione la causa del movimento
dei pesticidi negli strati più profondi del suolo.
I pesticidi si muovono nel terreno in 4 modi:
1. Come particelle insolute della sostanza
2. In soluzione nell’acqua presente nel terreno
3. Adsorbiti nelle particelle del terreno o dei colloidi
4. Per i composti instabili in fase vapore
Di questi, il trasporto in soluzione è generalmente il
più importante ed avviene per flusso di massa (convettivo) di acqua,
sebbene la diffusione nell’acqua del terreno sia dovuta soprattutto ai
movimenti della sostanza nei micropori (Streibig J.C., 1993; Vercesi B.,
1995). L’importanza relativa di ogni meccanismo dipende dalle proprietà
dei pesticidi, dall’ammontare delle precipitazioni e dalle
caratteristiche chimico-fisiche del terreno. Analogamente la velocità e
la profondità di penetrazione dipende dagli stessi fattori, così come
essi determinano l’ammontare di adsorbimento e desorbimento in ogni
strato del terreno e l’ammontare che entra nei micropori e che da
origine al flusso di acqua.
Come risultato di questo flusso una parte dei pesticidi
può raggiungere il sottosuolo, le acque di falda ed infine le acque di
fiumi e pozzi. Le prove per calcolare i movimenti verso il basso dei
pesticidi adsorbiti dalle particelle del terreno vengono dallo studio
dei movimenti di prodotti marcati radioisotopicamente.
Scorrimento superficiale dei pesticidi
Nei corpi idrici esterni al terreno agrario la
contaminazione delle acque è legata prevalentemente al fenomeno del
ruscellamento. Tale fenomeno si ha quando una frazione del pesticida è
asportata e dissolta nelle acque di scorrimento superficiale e adsorbita
su particelle di materiale eroso. L’entità di tale frazione dipende
dalla pendenza, dal tipo di terreno, dalla quantità e all’intensità
delle precipitazioni. Infatti se l’intensità di precipitazione supera la
capacità di infiltrazione del terreno si ha scorrimento superficiale.
Confronto tra sistema produttivo naturale e industriale
Se analizziamo le caratteristiche della vita sul nostro
pianeta, ci accorgiamo che l’energia è di origine solare ed i processi
sono ciclici, cioè i materiali vengono continuamente riciclati, senza
produzione di rifiuti, come nel caso della fotosintesi e della
respirazione.
Nella fotosintesi si utilizza l’energia solare per far
reagire l’acqua e l’anidride carbonica, ottenendo zuccheri e come scarto
ossigeno; nella respirazione si ottiene energia ossidando gli zuccheri
con l’ossigeno, ottenendo come sottoprodotti acqua e anidride carbonica.
Dunque la logica produttiva dei sistemi naturali si basa su una fonte di
energia esterna al sistema Terra, il Sole, e su un continuo riciclo
della materia, senza utilizzo di processi di combustione e senza
produzione di rifiuti.
Con la rivoluzione industriale l’energia viene invece
ricavata per la maggior parte da reazioni di combustione, utilizzando
materia (combustibili fossili presenti sulla Terra). Il calore prodotto
o viene trasformato in energia elettrica o utilizzato in macchine
termiche, come nel motore a scoppio. La combustione è un processo
complesso che inevitabilmente trasforma i combustibili in un gran numero
di nuovi composti, alcuni aeriformi, alcuni solidi, che determinano
rifiuti e inquinamento: questi nuovi composti non sono riciclabili e
quindi il processo è lineare. Le fonti fossili sono una risorsa
esauribile e la loro combustione re-immette nell’atmosfera il carbonio
sottratto dai vegetali milioni di anni fa, insieme a varie sostanze
tossiche e nocive per la salute degli esseri viventi.
Anche l’agricoltura, dal dopoguerra, ha imboccato la via
dell’industrializzazione, diventando lineare, esaurendo le risorse della
terra coltivata e producendo inquinamento e rifiuti
La “rivoluzione verde”
Dopo la rivoluzione industriale, si è cercato sia di
aumentare la superficie coltivata, conquistando nuove terre, sia di
aumentarne la resa produttiva per ettaro, impiegando altre fonti di
energia, soprattutto fossile, oltre quella solare (fotosintesi) e
animale (trazione). La “rivoluzione verde”, come è stata chiamata
l’industrializzazione dell’agricoltura avvenuta il secolo scorso, ha
comportato oltre ad un incremento di produttività anche un notevole
aumento dei consumi di acqua e di energia. Secondo alcune stime la
“rivoluzione verde” ha aumentato in media di 50 volte il flusso di
energia rispetto all’agricoltura tradizionale. Ma i maggiori consumi di
energia e acqua .riguardano la produzione di prodotti animali,
soprattutto negli allevamenti intensivi, dove gli .animali sono
alimentati con mangimi a base di soia e mais, spesso. I mangimi
impiegati per ottenere una porzione di carne corrispondono ad una
quantità di cereali e legumi sufficienti per alimentare 8-10 persone. L’
agricoltura industrializzata pone dunque rilevanti problemi ambientali e
sanitari: inquinamento delle falde (a causa sia dell’impiego di
fertilizzanti che di fitofarmaci), accumulo di residui tossici
nell’intera catena alimentare, incremento del tasso di emissioni gassose
connesse all’effetto serra, riduzione della fertilità del suolo. Ad
esempio la Pianura Padana, secondo le analisi dell’Arpa Emilia Romagna,
è soggetta all’impoverimento dei suoli: ben il 22% del territorio ha una
percentuale così bassa di sostanza organica (inferiore all’1%) da essere
soggetto alla desertificazione.
Le tecniche intensive di lavorazione hanno avuto effetti
deleteri sia sui complessi micro-ecosistemi che regolano la biologia del
suolo, sia sui macro-ecosistemi (prati, boschi e altri ecosistemi
naturali) con un elevato impatto sul paesaggio e sulla biodiversità, a
causa della riduzione degli habitat e il loro inquinamento e, non
ultimo, sulle calamità naturali (come alluvioni, frane e deterioramento
dei sistemi idrici di distribuzione).
Di fronte a questi limiti e a questi rischi
dell’agricoltura nata con la rivoluzione verde si è spesso proposta
l’agricoltura transgenica, che impiega gli OGM, ma tale metodo di
trasformazione delle piante non è esente da rischi, come spiega il
premio Nobel Renato Dulbecco: “introducendo un nuovo gene in una
cellula, la funzione di un gran numero di altri geni viene
alterata: non è sufficiente introdurre un gene nell'organismo per
determinarne l'effetto, che invece dipende da quali altri geni sono già
presenti.”
Anche l’agricoltura transgenica dipende dal petrolio e
impiega massicciamente pesticidi: oltre l’80% delle piante transgeniche
sono rese infatti resistenti ad un diserbante. Il più comune è il
Roundup della Monsanto o glifosate, che è stato pubblicizzato come
“quasi innocuo” perché rapidamente metabolizzato.
Ma Hardell e. Eriksson, nel 1999, hanno evidenziato un
aumento di linfomi non Hodgkin correlati
all’uso di glifosate e soprattutto agli effetti dei suoi
metaboliti.
Agricoltura e pesticidi
L'uso dei composti agrochimici (pesticidi e fertilizzanti
di sintesi) ha alterato gli ecosistemi sia relativamente alla fauna che
alla flora; le conseguenze più rilevanti sono state: la riduzione della
variabilità genetica dei sistemi viventi, processi di eutrofizzazione
delle acque dolci e di quelle marine, l'alterazione chimico-fisica e
biologica dei suoli.
L'uso dei pesticidi ha innescato un ulteriore grave
meccanismo: quello della resistenza degli insetti agli agenti tossici
(evento che, induce ad aumentare le quantità del prodotto irrorato e ad
introdurre nel mercato nuovi prodotti incrementando così l’inquinamento
ambientale).
L'impatto dei pesticidi sull'ambiente è determinato,
oltre che dal dosaggio utilizzato e dal numero di trattamenti, dal modo
e dai tempi in cui essi si degradano dopo l'applicazione, dato che
possono produrre metaboliti pericolosi, come nel caso già citato del
glifosate. Valutare i costi sociali e ambientali dovuti ai composti
agrochimici non è semplice: soprattutto appare difficile esprimere in
cifre i danni alla flora e alla fauna naturale.
L'uso dei pesticidi determina cambiamenti nei rapporti
delle popolazioni lungo la catena alimentare, alterando gli equilibri
ambientali.
Questa perturbazione è spesso sconvolgente per la
stabilità degli ecosistemi. Molti predatori naturali dei parassiti delle
colture vengono soppressi a causa dei trattamenti con pesticidi. Molto
spesso l'uso dei pesticidi diventa inefficace perché i parassiti
riorganizzando i loro sistemi di difesa diventano resistenti al prodotto
chimico. La distruzione dei nemici naturali e lo sviluppo di resistenze
concorrono ad aumentare i costi, sia per la maggiore intensità dei
trattamenti, che per l'uso di pesticidi più costosi.
Verso un’agricoltura sostenibile
Se l’agricoltura chimicizzata e transgenica non può
essere considerata sostenibile, occorre individuare altre forme di
coltivazione, rispettose dell’ambiente e in grado di produrre cibo per
il futuro: un esempio viene dall’agricoltura biologica.
Gli obiettivi primari dell’agricoltura biologica sono la
produzione di alimenti di qualità, non inquinati e di alto valore
nutritivo e in secondo luogo la salvaguardia dell’ambiente, astenendosi
dall’impiego dei prodotti chimici inquinanti e favorendo le colture
diversificate, la cui esistenza è indispensabile all’armonia e
all’equilibrio dei paesaggi rurali.
Un altro aspetto che caratterizza l’agricoltura biologica
è mantenere e migliorare la fertilità del suolo. Se un suolo perde la
sua fertilità, vuol dire che la tecnica agricola è insostenibile.
Dunque per mantenere gli equilibri ambientali e per
evitare gli effetti negativi dei pesticidi o i rischi degli OGM,
l’agricoltura biologica rappresenta una soluzione praticabile di
agricoltura sostenibile, in grado di soddisfare le esigenze alimentari e
la sostenibilità del pianeta, rispettando la salute dei
consumatori.
Pesticidi ed impatto su organismi animali e biodiversità
Una caratteristica unica di questi prodotti della
chimica-industriale è che tra le numerose sostanze a cui l’uomo e gli
altri esseri viventi sono esposti, i pesticidi sono sicuramente i più
singolari. Essi infatti non sono i sottoprodotti indesiderati di
processi industriali o di scorie tossiche rilasciate da altre attività
produttive, ma di composti deliberatamente “progettati” e immessi
nell’ambiente con l’obiettivo di “eradicare” le popolazioni di alcune
specie biologiche.
Il pesticida “giusto” dovrebbe essere tossico per il
parassita da eradicare, detto anche “specie target”, e al tempo stesso
dovrebbe essere innocuo per l’uomo e per tutte le altre specie
non-target. Il problema è che pochissimi composti tossici, anche quelli
studiati e messi a punto in modo così mirato, sono selettivi al punto da
poter garantire una ragionevole azione specie-specifica.
Per tale ragione è bene partire dall’assunto che ogni
ragionamento sui pesticidi deve mirare a fare chiarezza sui loro effetti
reali e potenziali, senza ricorrere a rassicuranti semplificazioni.
Pesticidi e organismo animale/umano
Un primo elemento fondamentale su cui è necessario fare
chiarezza è che, allo stato delle cose, non esistono strumenti precisi e
garantiti per studiare l’impatto dei pesticidi sulla salute della
popolazione umana e su quella degli animali. Gli effetti biologici di
queste sostanze sono alquanto variabili e non tutti facilmente
prevedibili; inoltre possono essere di breve e di lungo periodo.
Si deve anche tenere in considerazione il fatto che, tra
organoclorurati, organofosforici, carbammati, ditio-carbammati,
piretroidi, N-metilcarbammati, triazolici, neonicotinoidi,
benzimidazolici (ecc.), i
pesticidi sintetizzati a livello mondiale per usi
agricoli sono innumerevoli. Oggi vengono venduti sul mercato
internazionale circa 1.500 principi attivi in un numero incalcolabile di
prodotti commerciali: basti pensare che soltanto in Italia vengono
impiegate circa 700 molecole in 8.000 formulazioni commerciali diverse.
Quello dei pesticidi, insomma, è un mercato massiccio,
dinamico e non facilmente controllabile.
Anche i metodi analitici per verificare la presenza dei
residui di tali composti negli alimenti commerciali raramente sono
disponibili e efficaci.
Dopo la loro applicazione nelle aree coltivate (prima
della semina, in campo, dopo la raccolta, ecc.), i pesticidi possono
essere rilevati nelle colture trattate a concentrazioni relativamente
modeste (residui) sia per ciò che concerne i loro principi attivi, sia
per ciò che concerne i loro metaboliti (prodotti dovuti a trasformazione
biochimico) i quali entrano a contatto con l’uomo e gli animali
attraverso il consumo di cibi e bevande, che a loro volta possono
includere altri prodotti trasformati di origine vegetale e animale.
Tutto ciò contribuisce a rendere difficile se non
impossibile l’elaborazione di valutazioni del rischio ambientale e
sanitario connesso all’uso di tali sostanze, anche nei casi in cui ciò
sarebbe necessario per motivi di sanità pubblica. Spesso, tra l’altro,
le pratiche agricole prevedono di usare in combinazione diverse molecole
ad azione biocida. Per tali miscele non si possiedono sufficienti
informazioni in merito alle interazioni tra i loro principi attivi e ai
loro possibili effetti sinergici una volta che essi penetrano
nell’organismo umano e animale.
Un ulteriore aspetto importante da rilevare è che per
molti pesticidi potenzialmente cancerogeni, i periodi di latenza delle
malattie che essi possono provocare vanno da qualche anno a molti anni,
ossia tempi imprevedibilmente lunghi.
Nell’indagine scientifica un punto cruciale è quello di
capire da che cosa dipende la “tossicità” di una sostanza, e quali
relazioni esistono tra la tossicità di una sostanza in un certo
organismo e la tossicità della stessa sostanza in un altro organismo. Un
altro punto è quello di comprendere se il dosaggio di una sostanza è
sempre decisivo nel determinare l’effetto tossico.
Un modo per raccogliere utili informazioni sulla
tossicità di un composto tossico come un pesticida è quello di usare la
letteratura già esistente, senza dover produrre nuove e costose ricerche
o sperimentazioni.
Pesticidi e riduzione della biodiversità
Il processo di estinzione delle specie animali e vegetali
sta accelerando in modo preoccupante per la ricaduta ecologica
complessiva delle tecnologie umane; ricaduta all’interno della quale un
ruolo primario spetta certamente alla contaminazione chimica.
Secondo le stime degli ecologi, infatti, l’estinzione
delle specie biologiche ossia quella dovuta a cause naturali, dovrebbe
procedere alla velocità media di un caso di estinzione (una specie) per
ogni milione di specie per anno.
Tuttavia, nel corso del Ventesimo secolo, l’impatto delle
attività umane sul pianeta è stato così intenso da indurre a ritenere
che il tasso di estinzione sia aumentato di un valore compreso tra 1.000
e 10.000 volte.
Qualche semplice esempio di ciò che si verifica
nell’ambiente naturale per effetto delle sostanze tossiche disseminate
dall’uomo può aiutare a comprendere meglio la questione.
L’erbicida atrazina, composto di riconosciuta
tossicità e da molti studiosi ritenuto cancerogeno, nonché distruttore
endocrino sia per l’uomo sia per altre specie di vertebrati, a causa
della sua pericolosità ecologica e sanitaria è stato vietato nella
maggior parte dei paesi occidentali, ma viene tuttora ampiamente usato
laddove il suo impiego è ancora ammesso, compresi quindi molti paesi in
via di sviluppo. Malgrado in Italia sia stato bandito da circa
vent’anni, l’erbicida atrazina viene ancora rilevato nelle acque
superficiali e di falda, oltre che nel latte materno e nel liquido
amniotico di donne gravide, per l’abuso che se ne è fatto negli anni
passati (per esempio nelle monocolture della pianura padana). Molte
indagini zoologiche e tossicologhiche internazionali hanno permesso di
associare l’atrazina a svariati problemi sanitari a carico della fauna
selvatica, rilevando in particolare una riduzione anomala delle
popolazioni di anfibi.
Il glifosate è un altro erbicida accusato di
destabilizzare il sistema endocrino nelle specie animali (mammiferi) e
nell’uomo, e di essere un fattore di rischio nella comparsa di tumori e
nell’insorgenza di alcune alterazioni cellulari ed enzimatiche
placentari di varie specie.
Anche il famigerato DDT, come molte altre molecole
della stessa famiglia (organoclorurati), bandito in gran parte del mondo
quasi 40 anni fa per la sua neurotossicità e per il sospetto di
cancerogenicità ma tuttora intrappolato nelle reti trofiche degli
ecosistemi e nei ghiacciai (montani e polari), è stato inserito nel
gruppo dei pesticidi che alterano la normale funzionalità del sistema
endocrino, causando anzitutto femminilizzazione dei maschi,
indebolimento nella sperm count (il numero degli spermatozoi) nei maschi
di molte specie, abbassamento della fertilità (fino all’infertilità) e
anomalie dello sviluppo in molte specie di vertebrati, dagli storioni
agli alligatori, fino ai felini e agli esseri umani.
Un aspetto che andrebbe tenuto nella massima
considerazione riguarda il fatto che l’uso di pesticidi ad effetto
endocrino nelle pratiche agricole può sempre provocare una ricaduta
sulla qualità del prodotto agricolo finito, perché l’effetto tossico di
queste sostanze è spesso indipendente dalla dose.
Molti distruttori endocrini, infatti, possono avere
un’azione biologica non dose dipendente, ma agire secondo variazioni di
concentrazione non monotoniche; in altre parole, possono essere attivi a
dosi infinitesime, non esserlo a concentrazioni medie, e tornare a
esserlo a concentrazioni superiori. Poiché sappiamo ancora troppo poco
sugli effetti da esposizione cronica a tali composti (o di miscele di
tali composti), abbiamo a che fare con un caso tipico in cui è
necessario fare appello alla cautela e alla responsabilità, sia per i
rischi a carico della biodiversità, sia per i rischi a carico della
salute umana.
Un distruttore endocrino è una sostanza capace di causare
danni biologici in un organismo sano e nella sua progenie, non in modo
diretto, ma come conseguenza di modificazioni della funzione ormonale.
Queste sostanze vengono definite anche “ormono-simili”, e
sono coinvolte in patologie e malformazioni di varia natura, soprattutto
quelle per cui la finestra temporale di esposizione all’agente chimico
può essere cruciale (per esempio, durante lo sviluppo embrionale, la
pubertà, la
gravidanza, ecc.).
Si deve infine osservare che oggi viene individuato un
nesso molto stretto tra l’effetto endocrino e l’effetto cancerogeno e
che tra gli esiti più significativi rilevati nelle popolazioni animali
sono emersi, insieme con la riduzione della fertilità dei maschi anche
processi degenerativi specialmente a carico dell’apparato riproduttivo,
endocrino e nervoso. Non deve sorprendere, allora, il sospetto
scientifico che, nell’ambito degli organismi animali e certamente tra i
mammiferi, gli uccelli, i rettili e gli anfibi, ma anche in una quantità
imprecisabile di pesci e di invertebrati una fondamentale causa di
sofferenza demografica ed ecologica sia legata proprio agli effetti
collaterali delle sostanze impiegate nelle pratiche agricole.
Una stima realistica del fenomeno estinzione è un’impresa
molto critica, dal momento che le misure si basano su dinamiche che
nessuno è in grado di osservare direttamente ma delle quali, se va bene,
si può percepire solo l’esito finale (la completa scomparsa di una
specie).
Alcuni dati attendibili, comunque, ci dicono che negli
ultimi quattro secoli si sono estinte per cause antropiche 300-350
specie di vertebrati, circa 400 specie di invertebrati e un numero non
determinabile di piante.
Risultati più recenti del monitoraggio biologico
effettuato dall’International Union for Conservation of Nature (IUCN)
evidenziano che nell’ultimo mezzo secolo, per un congruo numero di
specie animali e vegetali, si è avuto un consistente incremento del
rischio di estinzione per cause antropiche.
Attualmente una specie di mammiferi su quattro, una
specie di uccelli su otto, una specie di anfibi su tre, una specie di
conifere su quattro e una specie di cicadi su due risultano minacciate
di estinzione.
Le stime disponibili del resto fanno ipotizzare che, in
assenza di provvedimenti efficaci e tempestivi in grado di invertire il
trend di un sistema economico ecologicamente devastante, entro i
prossimi 20-30 anni i tassi di estinzione cresceranno di 10 volte
rispetto ai ritmi odierni.
Deve essere chiarito, inoltre, che questa perdita di
biodiversità non si verifica soltanto attraverso un incremento della
mortalità delle popolazioni animali e vegetali, ma anche attraverso la
riduzione della loro natalità. Non va dimenticato infine che molti
pesticidi sono xenobiotici e dopo la loro immissione nell’ambiente si
mantengono sostanzialmente inalterati per lunghi periodi di tempo,
arrivando a contaminare grazie alle loro caratteristiche di volatilità,
persistenza e bioaccumulo organismi non-target e reti alimentari su cui
si basa l’organizzazione delle comunità biologiche naturali, anche a
notevoli distanze dal punto iniziale di contaminazione.
Tuttavia, una cosa deve essere molto chiara: le
alternative scientifiche, tecnologiche ed economiche per un’inversione
di rotta sono già disponibili.
Pesticidi ed effetti sulla salute umana
I pesticidi occupano una posizione molto particolare fra
le numerose sostanze chimiche cui l’uomo è esposto, poiché essi vengono
deliberatamente sparsi nell’ambiente con l’intento di eliminare alcune
forme di vita. Il pesticida ideale dovrebbe essere estremamente tossico
per la specie che si desidera eliminare e innocuo per l’uomo e per gli
altri organismi.
Purtroppo pochissimi pesticidi sono così selettivi.
Questo fatto fa sì che essi divengano un rischio per la salute umana e
per l’ambiente soprattutto in quei paesi dove i controlli e le attività
di sorveglianza non sono molto sviluppati.
Inoltre molti di questi composti sono biopersistenti: 10
dei 12 sostanze indicate nella convenzione di Stoccolma sui POPS (Persistent
Organic Pollutants) sono pesticidi e nel 2009 ne sono stati aggiunti
altri 14.
Emblematico il caso del DDT, negli Stati Uniti bandito
dal 1972 ma che si ritrova ancora nel latte materno o anche nei
sedimenti di laghi sub alpini ove le concertazioni tendono ad aumentare
per effetto dello scioglimento dei ghiacciai.
Nel mondo l’impiego di prodotti fitosanitari per uso
agricolo é massiccio: nel 2007 ne sono stati usate 153,4 mila tonnellate
(148,9 mila tonnellate nel 2006). In Italia si distribuisce il 33% della
quantità totale di insetticidi utilizzati nell’intero territorio
comunitario e sono 800 i prodotti presenti sul mercato. Il quantitativo
medio distribuito è di 5,64 chilogrammi per ettaro e l’uso interessa
circa il 70% della superficie agricola utilizzata, pari a circa
13.000.000 ettari.
L’esposizione ai pesticidi interessa non soltanto gli
agricoltori che sono il gruppo di lavoratori esposti ma coinvolge tutta
la popolazione poiché si possono trovare sia nell’acqua che nel cibo. Di
fatto contaminano la catena alimentare sia attraverso i prodotti
dell’agricoltura sia attraverso l’acqua contaminata o per esposizione
residenziale di prossimità dei luoghi dove vengono impiegati.
L'EFSA (l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare Europea)
nel 2008 ha riscontrato che il 2,2% dei campioni hanno concentrazioni di
alcuni dei 78 pesticidi ricercati superiore al massimo livello
consentito (MRL). A livello europeo nel 28% di campioni analizzati viene
rilevata la presenza di più di un pesticida e questa quota aumenta negli
anni. Anche in 76 casi di prodotti alimentari per bambini sui 2.063
analizzati è stata riscontrata presenza di pesticidi e in 4 casi la
concentrazione era
superiore alla MRL.
Per quanto riguarda le acque, l'ISPRA (Istituto superiore
protezione ambientale) nel
Monitoraggio nazionale dei pesticidi
nelle acque dati 2007 – 2008 nei 19.201
campioni raccolti in 19 regioni, sono state
ricercate 300 sostanze contaminati.
Nelle acque superficiali sono stati trovati residui di
pesticidi in 518 punti di monitoraggio, che rappresentano il 47,9% del
totale, nel 31,7% dei casi con concentrazioni superiori ai limiti di
legge previsti per le acque potabili.
Nelle acque sotterranee sono risultati contaminati 556
punti di monitoraggio, che rappresentano il 27,0% del totale, nel 15,5%
dei casi con concentrazioni superiori ai limiti di legge. Le sostanze
rilevate complessivamente sono 118, con una presenza maggiore nelle
acque superficiali dove ne sono state trovate 95, mentre in quelle
sotterranee ne sono state rinvenute 70.
Segnalata ancora la presenza diffusa in tutta l’area
padano-veneta di atrazina, sostanza fuori commercio da circa due
decenni.
E' evidente da qui l'impatto sanitario che l'agricoltura
ha sull'ambiente e quindi sulla salute.
Effetti sulla salute umana
In questa sede ci soffermiamo sugli effetti sulla salute
che si manifestano a lungo termine.
Ricordiamo che la valutazione degli effetti a lungo
termine sull’uomo con studi epidemiologici presenta numerosi problemi in
quanto risulta particolarmente difficile caratterizzare l’esposizione
che in genere è multipla, a più composti fitosanitari o anche a composti
cancerogeni di altra natura e variabile per intensità e natura dei
composti in gioco.
Pesticidi e cancro
Sono state condotte numerose revisioni di studi condotti
sui lavoratori agricoli.
La conoscenza del rischio cancerogeno negli agricoltori è
un importante punto di partenza per comprendere la rilevanza del
problema nella popolazione. In generale gli agricoltori presentano un
rischio di tumori più basso rispetto alla popolazione generale.
E’ stato osservato che bambini i cui genitori avevano
usato pesticidi in giardino o su piante di appartamento avevano un
rischio di leucemie più elevato. Il periodo critico di esposizione era
durante la gravidanza. E' stato riscontrato un aumento di tumori
cerebrali, al rene nei figli di genitori esposti ad antiparassitari
durante il lavoro.
Una recente analisi combinata di 40 studi di tumori
infantili riporta che l'esposizione a pesticidi è
fortemente associata a aumento di rischio di leucemia,
linfoma e tumore cerebrale. Il rischio è alto quando la madre è stata
esposta nel periodo prenatale all'uso di pesticidi in giardino. Il
rischio di tumore cerebrale è risultato associato all’uso di pesticidi
nel periodo prenatale da parte del padre.
In un recente studio il rischio di leucemie connesso ai
livelli urinari più elevati di metaboliti di pesticidi piretroidi nei
bambini è circa doppio rispetto al gruppo con i livelli più bassi.
Anche nello studio americano Agicolture Helth Study
condotto su 17.357 figli di agricoltori di 0-19 anni, il rischio per
tutti i tumori era di +36% con eccessi riscontrati per linfomi, risulta
significativamente aumentato, mentre per altre sedi tumorali il rischio
non raggiunge la significatività statistica (cervello, rene, tumore
delle ossa, tessuti molli e cellule germinali).
Uno studio di tipo ecologico condotto negli Stati Uniti
ha indagato la correlazione
tra incidenza di tumori infantili (<15 anni) e
l'intensità dell'uso agricolo del suolo.
Il rischio
di tumori infantili era positivamente
correlato alla moderata o elevata intensità
dell'uso agricolo con una consistente relazione
dose-risposta.
Sistema endocrino
Come ricordato 26 composti indicati nella convenzione di
Stoccolma sui POPS sono pesticidi ed numerosi hanno capacità di
interferire con il sistema endocrino. Questa capacità si manifesta anche
a bassissime dosi.
In generale gli effetti sulla salute sono ridotta
fertilità e fecondità, aborto spontaneo, modificazioni del rapporto
maschi/femmine alla nascita, anormalità del sistema riproduttivo
maschile e femminile, pubertà precoce, sindrome dell’ovaio policistico,
alterazioni della funzione tiroidea, danno alle ghiandole surrenali e
disfunzione del metabolismo,degli ormoni steroidei, aumentata sintesi di
melatonina, disordini neuro comportamentali, alterazioni delle funzioni
del sistema immunitario, cancerogenesi a carico delle ghiandole
endocrine.
Effetti neurodegenerativi
Una revisione di 39 studi sulla relazione tra
pesticidi e morbo di Parkinson
conclude per
una associazione positiva con insetticidi ed
erbicidi.
Anche una relazione tra pesticidi e SLA (Sclerosi
Laterale Amiotrofica) è stata riscontrata in numerose ricerche.
Sviluppo cerebrale
Nel 2006 la prestigiosa rivista Lancet pubblicò un
articolo nel quale si richiamava l’attenzione agli effetti tossici per
lo sviluppo cerebrale dei composti chimici e, sotto questo aspetto,
l’insufficienza della valutazione di tossicità e della regolamentazione
dei composti chimici. Un elenco di 202 sostanze note per essere tossiche
per il cervello umano, ben 90 delle quali erano pesticidi.
Nello sviluppo prenatale il sistema nervoso è
particolarmente vulnerabile agli insulti neurotossici. Lavori
sperimentali su roditori suggeriscono che inibitori della colinesterasi
usati come insetticidi come i composti organo clorurati possano
interferire con lo sviluppo cerebrale e causare danni permanenti.
Una ricerca condotta in Ecuador che coinvolgeva donne
occupate in attività di floricoltura intensiva aveva rilevato che
bambini di 6-8 anni di età la cui madre era stata direttamente esposta a
pesticidi in gravidanza, presentavano deficit neuro comportamentali che
corrispondeva ad un ritardo di 1.5-2 anni nello sviluppo cognitivo.
Vi sono crescenti evidenze che l’esposizione in epoca
gestazionale a pesticidi sia associata all’insorgenza di disturbi
autistici.
In uno studio condotto su 415 bambini autistici i figli
di madri che durante la gestazione, avevano abitato entro 500 metri da
campi trattati con pesticidi organoclorurati, avevano un rischio molto
elevato di sviluppare disturbi di tipo autistico.
La letteratura scientifica fornisce numerose evidenze che
i pesticidi provocano svariati e gravi effetti negativi sulla salute
umana e che riguarda non solo gli agricoltori ma anche la popolazione
generale non professionalmente esposta, come le donne in gravidanza e
bambini che rapprendano i target più sensibili.
La consapevolezza e l’azione delle istituzioni al
problema sembra ancora lontana dall’affrontare il rischio sulla salute
umana dei pesticidi e mettere in campo concrete azioni di prevenzione.
Fabio La Corte |