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Lug./Ago. 2015

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VALUTAZIONE DEI PROBLEMI AMBIENTALI LEGATI ALL’USO DEI PESTICIDI

 di Fabio La Corte

INTRODUZIONE

La difesa dalle avversità delle piante si è sviluppata nel tempo in connessione con la tecnica agricola sin dai tempi remoti in cui l’uomo cercava di ottenere gli alimenti attraverso la coltivazione del terreno. Nel tempo siamo così passati da trattamenti con i più disparati prodotti organici o inorganici, alla moderna fitoiatria.

Nel nostro secolo la lotta ai parassiti ha raggiunto un grado di evoluzione tecnica elevata, non solo grazie alla sintesi e produzione di nuovi principi attivi, ma anche e soprattutto con la messa a punto di una serie di sistemi di monitoraggio dei parassiti animali e vegetali, l’innovazione delle macchine per la distribuzione dei fitofarmaci, l’applicazione dei nuovi concetti di lotta guidata e lotta integrata.

Accanto alla risoluzione dei problemi di carattere agronomico si è sviluppato lo studio del comportamento ambientale degli erbicidi. Tale argomento ha ricevuto un notevole impulso negli ultimi anni anche in Italia, soprattutto in seguito al rilevamento di alcuni erbicidi, in concentrazioni superiori ai limiti normativi, in acque potabili alla fine degli anni ‘80. Sono stati così istituiti diversi

gruppi di ricerca per poter conoscere e prevenire gli effetti indesiderati sull’ambiente connessi all’impiego dei diserbanti.

Quest’ultimo aspetto ha assunto una importanza particolare alla luce del regolamento CE 2078 del 30 giugno 1992 che prevede l’intensificazione delle iniziative di formazione ed informazione atte ad incoraggiare l’introduzione di metodi produttivi agricoli e forestali compatibili con l’ambiente e, più particolarmente, l’applicazione di un codice di comportamento in agricoltura.

Inoltre l’acquisizione di conoscenze sulla quota di prodotto antiparassitario dispersa sul suolo e nell’aria risulta essenziale per la previsione modellistica della contaminazione dei comparti ambientali, terreno, acqua, aria, ovvero per la determinazione della Predicted Environmental Concentration così come richiesto nei Principi Uniformi CE (Direttiva CE 91-414) (Leandri A., 1995).

 

IL COMPORTAMENTO DEI PESTICIDI NELL’AMBIENTE

L’applicazione di un diserbante (o insetticida) a seconda del bersaglio cui e

diretto può avere diverse destinazioni:

 

a) l’aria

b) le piante

c) il terreno

d) l’acqua

e, in via indiretta, la fauna terrestre ed acquatica, l’uomo.

 

Bisogna poi inoltre considerare l’inquinamento diffuso derivante dalla rideposizione di residui attraverso le precipitazioni atmosferiche, generalmente nell’ordine di pochi grammi per ettaro; vi è poi un inquinamento puntiforme derivante da eventuali perdite accidentali di liquido diserbante durante i trattamenti.

 

Volatilizzazione e deriva

L’aria è semplicemente un mezzo di trasporto del quale il diserbante ha bisogno per raggiungere il bersaglio. I tempi di contatto con tale mezzo sono di solito piuttosto brevi, ma il passaggio nell’atmosfera costituisce sempre un aspetto negativo nella distribuzione dei diserbanti in quanto sono in gioco fattori di stabilità all’aria e alla luce dei composti impiegati, di temperatura (volatilizzazione) e di movimenti dell’aria (deriva). La volatilizzazione consiste nel passaggio del diserbante alla forma di vapore per sublimazione ed evaporazione. Questo fenomeno, che dipende essenzialmente dalla natura del composto dalla temperatura ambiente, è una forma di dispersione del prodotto alla quale è possibile ovviare. Ad esso si può porre rimedio con l’incorporamento, dei diserbanti al terreno.

La deriva consiste invece semplicemente nel trasporto fisico del diserbante o di una parte di esso in un punto lontano da quello dell’applicazione, causato soprattutto dalla presenza di vento durante la distribuzione del prodotto.

 

Assorbimento delle piante

Le piante, a seconda dei casi, costituiscono l’oggetto primario dei trattamenti, come avviene nei trattamenti di emergenza, oppure l’oggetto indiretto, come avviene nel caso dei trattamenti al terreno. Nell’uno e nell’altro caso l’assorbimento del diserbante da parte delle piante può essere consistente.

Nelle applicazioni su vegetazione ben sviluppata, ad esempio, può essere intercettata e successivamente assorbita fino al 50% della dose di prodotto impiegata. Nelle applicazioni al suolo, invece, ciò dipende molto dalla natura del terreno e dal suo potere di adsorbimento.

Qualunque sia la frazione di diserbante captato dalle infestanti essa non costituisce un problema per quanto riguarda i riflessi ambientali. Nelle piante infestanti colpite, infatti, intervengono i processi di metabolizzazione che degradano l’erbicida a prodotti elementari non tossici. Per quanto riguarda le piante coltivate invece il destino del diserbante assorbito può essere diverso.

Quello non metabolizzato dalla pianta può rimanere come residuo e passare con la raccolta nei prodotti destinati all’alimentazione umana oppure, sempre come residuo passare nel terreno attraverso i residui vegetali (radici) .

 

Permanenza nel terreno

Sul terreno, sia esso oggetto diretto o indiretto del trattamento, confluisce la parte più consistente del pesticida applicato. E nel terreno i pesticidi seguono strade diverse in dipendenza delle complesse interazioni che si vengono a creare tra erbicida, terreno, piante e condizioni climatiche. Sostanzialmente, una volta giunto al terreno, il diserbante è soggetto a due processi evolutivi: uno di

trasformazione o degradazione e l’altro di trasporto, che in pratica ne determinano la persistenza. La degradazione è l’unico processo di trasformazione ed il solo in grado di eliminare l’erbicida dall’ambiente. Tutti i pesticidi, seppure in modi e tempi diversi, sono destinati ad essere completamente degradati. Attraverso il processo degradativo, la molecola erbicida viene trasformata in composti sempre più semplici, fino alla formazione di acqua, anidride carbonica e sali organici. I

meccanismi di degradazione possono essere di tipo biologico, fotochimico e chimico. La degradazione biologica è operata dai microrganismi presenti nel terreno e rappresenta la principale forma di degradazione per la maggior parte dei principi attivi utilizzabili. La degradazione fotochimica avviene mediante foto-ossidazioni indotte dalla radiazione solare. La degradazione chimica avviene per idrolisi, sia nel terreno e in acqua, sia nelle piante. Il parametro utilizzato per

esprimere la velocità di degradazione è il tempo di dimezzamento (o semivita o periodo di semitrasformazione) che indica il tempo necessario per ridurre del 50% la quantità immessa in un dato ambiente.

La determinazione della carica residua dei pesticidi nel terreno o dei loro prodotti di trasformazione presenti nel terreno può essere condotta con metodi di analisi chimici e biologici nonché con l’implementazione di modelli matematici previsionali.

Con le analisi chimiche è possibile una valutazione quantitativa del prodotto, mentre con i test biologici, oltre che l’aspetto quantitativo, si forniscono elementi inerenti gli effetti dei pesticidi sull’ambiente.

 

Problemi ambientali legati alla permanenza dei pesticidi nel terreno

Gli effetti negativi dovuti alla persistenza dei pesticidi nel terreno si possono esprimere in forma sintetica come ecotossicologia. Durante o dopo l’applicazione dei diversi prodotti essi possono venire a contatto con organismi diversi da quelli costituenti il “bersaglio”, e quindi vi è la possibilità che essi interferiscano, direttamente o indirettamente, sulla loro vita. I più pericolosi in assoluto sono gli insetticidi, perché a più alta tossicità. Non sono da riscontrare casi di avvelenamento diretto di bestiame, ma piuttosto avvelenamenti causati indirettamente dall’applicazione di alcuni pesticidi che aumenterebbero l’appetibilità di piante tossiche, che generalmente non sono consumate dagli

animali. Per quanto riguarda gli animali selvatici effetti di una certa gravità sarebbero stati osservati sulla schiusura delle uova negli uccelli; alcune sostanze impedirebbero la schiusura delle uova di fagiani e pernici o quanto meno causerebbe la nascita di pulcini malformati. Tutti gli studiosi sono comunque concordi nel ritenere che il problema principale posto dall’uso dei diserbanti, in

relazione alla vita degli animali selvatici, non è tanto di natura tossicologica quanto ecologica; l’impiego sistematico ed esteso dei diserbanti porterebbe infatti a delle modificazioni dell’ambiente naturale, sia per la riduzione della flora e delle piante fornitrici di cibo che per l’eliminazione dei rifugi.

 

Residui di pesticidi nell’acqua

Anche l’acqua, come il terreno può essere oggetto diretto o indiretto del trattamento. E’ oggetto diretto nel caso del diserbo acquatico e quando funge da mezzo di trasporto o da mezzo di diffusione. E’ invece oggetto indiretto tutte le volte che i diserbanti giungono ad essa attraverso eventi meteorici (ruscellamento) o per infiltrazione nel profilo verticale del terreno (percolazione).

Come oggetto diretto non sono normalmente da temere effetti negativi sull’ambiente in senso lato in quanto, nei casi specifici, i diserbanti vengono impiegati a ragion veduta.

Come oggetto indiretto invece i riflessi sono quasi sempre negativi in quanto si originano al di fuori di eventi controllabili e si configurano come fenomeni di contaminazione sia di corpi idrici superficiali che di quelli profondi.

Anche in questo caso il tasso di contaminazione dipende dalla stabilità dei composti in acqua, dal grado di idrolisi, dalla sensibilità alla luce e dalla costante di dissociazione ai diversi pH.

In Europa le direttive CE (recepite anche in Italia con D.P.R. del 24 maggio 1989 n 236) impongono che nessun pesticida sia presente nelle acque potabili in concentrazioni superiori a 0,1 ppb (0,1 g/l) per componente singolo, o 0,5 ppb come somma di più componenti. Tuttavia questa strategia, insieme a molte altre formulate per la protezione delle acque profonde, trascura completamente la tossicità del prodotto. La presenza di frazioni infinitesimali di pesticidi nelle acque non significa necessariamente che esse siano dannose alla salute. Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha ritenuto opportuno di fornire caso per caso valori soglia diversi da quelli fissati dalla normativa CE.

 

Percolazione dei pesticidi nelle acque di falda

Il fenomeno della percolazione avviene per effetto principalmente di una precipitazione dopo l’applicazione del prodotto, sia che ci sia o meno vegetazione.

La parte di pesticida non assorbita dalle piante viene infatti rimossa dalla loro superficie. Stime dell’ammontare di pesticidi che finiscono sul terreno variano tra 50% dove la vegetazione è ben sviluppata e 100% dove la vegetazione è scarsa (Streibig J.C., 1993).

Generalmente è una precipitazione la causa del movimento dei pesticidi negli strati più profondi del suolo.

 

I pesticidi si muovono nel terreno in 4 modi:

1. Come particelle insolute della sostanza

2. In soluzione nell’acqua presente nel terreno

3. Adsorbiti nelle particelle del terreno o dei colloidi

4. Per i composti instabili in fase vapore

 

Di questi, il trasporto in soluzione è generalmente il più importante ed avviene per flusso di massa (convettivo) di acqua, sebbene la diffusione nell’acqua del terreno sia dovuta soprattutto ai movimenti della sostanza nei micropori (Streibig J.C., 1993; Vercesi B., 1995). L’importanza relativa di ogni meccanismo dipende dalle proprietà dei pesticidi, dall’ammontare delle precipitazioni e dalle caratteristiche chimico-fisiche del terreno. Analogamente la velocità e la profondità di penetrazione dipende dagli stessi fattori, così come essi determinano l’ammontare di adsorbimento e desorbimento in ogni strato del terreno e l’ammontare che entra nei micropori e che da origine al flusso di acqua.

Come risultato di questo flusso una parte dei pesticidi può raggiungere il sottosuolo, le acque di falda ed infine le acque di fiumi e pozzi. Le prove per calcolare i movimenti verso il basso dei pesticidi adsorbiti dalle particelle del terreno vengono dallo studio dei movimenti di prodotti marcati radioisotopicamente.

 

Scorrimento superficiale dei pesticidi

Nei corpi idrici esterni al terreno agrario la contaminazione delle acque è legata prevalentemente al fenomeno del ruscellamento. Tale fenomeno si ha quando una frazione del pesticida è asportata e dissolta nelle acque di scorrimento superficiale e adsorbita su particelle di materiale eroso. L’entità di tale frazione dipende dalla pendenza, dal tipo di terreno, dalla quantità e all’intensità delle precipitazioni. Infatti se l’intensità di precipitazione supera la capacità di infiltrazione del terreno si ha scorrimento superficiale.

 

Confronto tra sistema produttivo naturale e industriale

Se analizziamo le caratteristiche della vita sul nostro pianeta, ci accorgiamo che l’energia è di origine solare ed i processi sono ciclici, cioè i materiali vengono continuamente riciclati, senza produzione di rifiuti, come nel caso della fotosintesi e della respirazione.

Nella fotosintesi si utilizza l’energia solare per far reagire l’acqua e l’anidride carbonica, ottenendo zuccheri e come scarto ossigeno; nella respirazione si ottiene energia ossidando gli zuccheri con l’ossigeno, ottenendo come sottoprodotti acqua e anidride carbonica. Dunque la logica produttiva dei sistemi naturali si basa su una fonte di energia esterna al sistema Terra, il Sole, e su un continuo riciclo della materia, senza utilizzo di processi di combustione e senza produzione di rifiuti.

Con la rivoluzione industriale l’energia viene invece ricavata per la maggior parte da reazioni di combustione, utilizzando materia (combustibili fossili presenti sulla Terra). Il calore prodotto o viene trasformato in energia elettrica o utilizzato in macchine termiche, come nel motore a scoppio. La combustione è un processo complesso che inevitabilmente trasforma i combustibili in un gran numero di nuovi composti, alcuni aeriformi, alcuni solidi, che determinano rifiuti e inquinamento: questi nuovi composti non sono riciclabili e quindi il processo è lineare. Le fonti fossili sono una risorsa esauribile e la loro combustione re-immette nell’atmosfera il carbonio sottratto dai vegetali milioni di anni fa, insieme a varie sostanze tossiche e nocive per la salute degli esseri viventi.

Anche l’agricoltura, dal dopoguerra, ha imboccato la via dell’industrializzazione, diventando lineare, esaurendo le risorse della terra coltivata e producendo inquinamento e rifiuti

 

La  “rivoluzione verde”

Dopo la rivoluzione industriale, si è cercato sia di aumentare la superficie coltivata, conquistando nuove terre, sia di aumentarne la resa produttiva per ettaro, impiegando altre fonti di energia, soprattutto fossile, oltre quella solare (fotosintesi) e animale (trazione). La “rivoluzione verde”, come è stata chiamata l’industrializzazione dell’agricoltura avvenuta il secolo scorso, ha comportato oltre ad un incremento di produttività anche un notevole aumento dei consumi di acqua e di energia. Secondo alcune stime la “rivoluzione verde” ha aumentato in media di 50 volte il flusso di energia rispetto all’agricoltura tradizionale. Ma i maggiori consumi di energia e acqua .riguardano la produzione di prodotti animali, soprattutto negli allevamenti intensivi, dove gli .animali sono alimentati con mangimi a base di soia e mais, spesso. I mangimi impiegati per ottenere una porzione di carne corrispondono ad una quantità di cereali e legumi sufficienti per alimentare 8-10 persone. L’ agricoltura industrializzata pone dunque rilevanti problemi ambientali e sanitari: inquinamento delle falde (a causa sia dell’impiego di fertilizzanti che di fitofarmaci), accumulo di residui tossici nell’intera catena alimentare, incremento del tasso di emissioni gassose connesse all’effetto serra, riduzione della fertilità del suolo. Ad esempio la Pianura Padana, secondo le analisi dell’Arpa Emilia Romagna, è soggetta all’impoverimento dei suoli: ben il 22% del territorio ha una percentuale così bassa di sostanza organica (inferiore all’1%) da essere soggetto alla desertificazione.

Le tecniche intensive di lavorazione hanno avuto effetti deleteri sia sui complessi micro-ecosistemi che regolano la biologia del suolo, sia sui macro-ecosistemi (prati, boschi e altri ecosistemi naturali) con un elevato impatto sul paesaggio e sulla biodiversità, a causa della riduzione degli habitat e il loro inquinamento e, non ultimo, sulle calamità naturali (come alluvioni, frane e deterioramento dei sistemi idrici di distribuzione).

Di fronte a questi limiti e a questi rischi dell’agricoltura nata con la rivoluzione verde si è spesso proposta l’agricoltura transgenica, che impiega gli OGM, ma tale metodo di trasformazione delle piante non è esente da rischi, come spiega il premio Nobel Renato Dulbecco: “introducendo un nuovo gene in una cellula, la funzione di un gran numero di altri geni viene alterata: non è sufficiente introdurre un gene nell'organismo per determinarne l'effetto, che invece dipende da quali altri geni sono già presenti.”

Anche l’agricoltura transgenica dipende dal petrolio e impiega massicciamente pesticidi: oltre l’80% delle piante transgeniche sono rese infatti resistenti ad un diserbante. Il più comune è il Roundup della Monsanto o glifosate, che è stato pubblicizzato come “quasi innocuo” perché rapidamente metabolizzato.

Ma Hardell e. Eriksson, nel 1999, hanno evidenziato un aumento di linfomi non Hodgkin correlati

all’uso di glifosate e soprattutto agli effetti dei suoi metaboliti.

 

Agricoltura e pesticidi

L'uso dei composti agrochimici (pesticidi e fertilizzanti di sintesi) ha alterato gli ecosistemi sia relativamente alla fauna che alla flora; le conseguenze più rilevanti sono state: la riduzione della variabilità genetica dei sistemi viventi, processi di eutrofizzazione delle acque dolci e di quelle marine, l'alterazione chimico-fisica e biologica dei suoli.

L'uso dei pesticidi ha innescato un ulteriore grave meccanismo: quello della resistenza degli insetti agli agenti tossici (evento che, induce ad aumentare le quantità del prodotto irrorato e ad introdurre nel mercato nuovi prodotti incrementando così l’inquinamento ambientale).

L'impatto dei pesticidi sull'ambiente è determinato, oltre che dal dosaggio utilizzato e dal numero di trattamenti, dal modo e dai tempi in cui essi si degradano dopo l'applicazione, dato che possono produrre metaboliti pericolosi, come nel caso già citato del glifosate. Valutare i costi sociali e ambientali dovuti ai composti agrochimici non è semplice: soprattutto appare difficile esprimere in cifre i danni alla flora e alla fauna naturale.

L'uso dei pesticidi determina cambiamenti nei rapporti delle popolazioni lungo la catena alimentare, alterando gli equilibri ambientali.

Questa perturbazione è spesso sconvolgente per la stabilità degli ecosistemi. Molti predatori naturali dei parassiti delle colture vengono soppressi a causa dei trattamenti con pesticidi. Molto spesso l'uso dei pesticidi diventa inefficace perché i parassiti riorganizzando i loro sistemi di difesa diventano resistenti al prodotto chimico. La distruzione dei nemici naturali e lo sviluppo di resistenze concorrono ad aumentare i costi, sia per la maggiore intensità dei trattamenti, che per l'uso di pesticidi più costosi.

 

Verso un’agricoltura sostenibile

Se l’agricoltura chimicizzata e transgenica non può essere considerata sostenibile, occorre individuare altre forme di coltivazione, rispettose dell’ambiente e in grado di produrre cibo per il futuro: un esempio viene dall’agricoltura biologica.

Gli obiettivi primari dell’agricoltura biologica sono la produzione di alimenti di qualità, non inquinati e di alto valore nutritivo e in secondo luogo la salvaguardia dell’ambiente, astenendosi dall’impiego dei prodotti chimici inquinanti e favorendo le colture diversificate, la cui esistenza è indispensabile all’armonia e all’equilibrio dei paesaggi rurali.

Un altro aspetto che caratterizza l’agricoltura biologica è mantenere e migliorare la fertilità del suolo. Se un suolo perde la sua fertilità, vuol dire che la tecnica agricola è insostenibile.

Dunque per mantenere gli equilibri ambientali e per evitare gli effetti negativi dei pesticidi o i rischi degli OGM, l’agricoltura biologica rappresenta una soluzione praticabile di agricoltura sostenibile, in grado di soddisfare le esigenze alimentari e la sostenibilità del pianeta, rispettando la salute dei

consumatori.

 

Pesticidi ed impatto su organismi animali e biodiversità 

Una caratteristica unica di questi prodotti della chimica-industriale è che tra le numerose sostanze a cui l’uomo e gli altri esseri viventi sono esposti, i pesticidi sono sicuramente i più singolari. Essi infatti non sono i sottoprodotti indesiderati di processi industriali o di scorie tossiche rilasciate da altre attività produttive, ma di composti deliberatamente “progettati” e immessi nell’ambiente con l’obiettivo di “eradicare” le popolazioni di alcune specie biologiche.

 Il pesticida “giusto” dovrebbe essere tossico per il parassita da eradicare, detto anche “specie target”, e al tempo stesso dovrebbe essere innocuo per l’uomo e per tutte le altre specie non-target. Il problema è che pochissimi composti tossici, anche quelli studiati e messi a punto in modo così mirato, sono selettivi al punto da poter garantire una ragionevole azione specie-specifica.

Per tale ragione è bene partire dall’assunto che ogni ragionamento sui pesticidi deve mirare a fare chiarezza sui loro effetti reali e potenziali, senza ricorrere a rassicuranti semplificazioni.

 

Pesticidi e organismo animale/umano

Un primo elemento fondamentale su cui è necessario fare chiarezza è che, allo stato delle cose, non esistono strumenti precisi e garantiti per studiare l’impatto dei pesticidi sulla salute della popolazione umana e su quella degli animali. Gli effetti biologici di queste sostanze sono alquanto variabili e non tutti facilmente prevedibili; inoltre possono essere di breve e di lungo periodo.

Si deve anche tenere in considerazione il fatto che, tra organoclorurati, organofosforici, carbammati, ditio-carbammati, piretroidi, N-metilcarbammati, triazolici, neonicotinoidi, benzimidazolici (ecc.), i

pesticidi sintetizzati a livello mondiale per usi agricoli sono innumerevoli. Oggi vengono venduti sul mercato internazionale circa 1.500 principi attivi in un numero incalcolabile di prodotti commerciali: basti pensare che soltanto in Italia vengono impiegate circa 700 molecole in 8.000 formulazioni commerciali diverse.

Quello dei pesticidi, insomma, è un mercato massiccio, dinamico e non facilmente controllabile.

Anche i metodi analitici per verificare la presenza dei residui di tali composti negli alimenti commerciali raramente sono disponibili e efficaci.

Dopo la loro applicazione nelle aree coltivate (prima della semina, in campo, dopo la raccolta, ecc.), i pesticidi possono essere rilevati nelle colture trattate a concentrazioni relativamente modeste (residui) sia per ciò che concerne i loro principi attivi, sia per ciò che concerne i loro metaboliti (prodotti dovuti a trasformazione biochimico) i quali entrano a contatto con l’uomo e gli animali attraverso il consumo di cibi e bevande, che a loro volta possono includere altri prodotti trasformati di origine vegetale e animale.

Tutto ciò contribuisce a rendere difficile se non impossibile l’elaborazione di valutazioni del rischio ambientale e sanitario connesso all’uso di tali sostanze, anche nei casi in cui ciò sarebbe necessario per motivi di sanità pubblica. Spesso, tra l’altro, le pratiche agricole prevedono di usare in combinazione diverse molecole ad azione biocida. Per tali miscele non si possiedono sufficienti informazioni in merito alle interazioni tra i loro principi attivi e ai loro possibili effetti sinergici una volta che essi penetrano nell’organismo umano e animale.

Un ulteriore aspetto importante da rilevare è che per molti pesticidi potenzialmente cancerogeni, i periodi di latenza delle malattie che essi possono provocare vanno da qualche anno a molti anni, ossia tempi imprevedibilmente lunghi.

Nell’indagine scientifica un punto cruciale è quello di capire da che cosa dipende la “tossicità” di una sostanza, e quali relazioni esistono tra la tossicità di una sostanza in un certo organismo e la tossicità della stessa sostanza in un altro organismo. Un altro punto è quello di comprendere se il dosaggio di una sostanza è sempre decisivo nel determinare l’effetto tossico.

Un modo per raccogliere utili informazioni sulla tossicità di un composto tossico come un pesticida è quello di usare la letteratura già esistente, senza dover produrre nuove e costose ricerche o sperimentazioni.

 

Pesticidi e riduzione della biodiversità

Il processo di estinzione delle specie animali e vegetali sta accelerando in modo preoccupante per la ricaduta ecologica complessiva delle tecnologie umane; ricaduta all’interno della quale un ruolo primario spetta certamente alla contaminazione chimica.

Secondo le stime degli ecologi, infatti, l’estinzione delle specie biologiche ossia quella dovuta a cause naturali, dovrebbe procedere alla velocità media di un caso di estinzione (una specie) per ogni milione di specie per anno.

Tuttavia, nel corso del Ventesimo secolo, l’impatto delle attività umane sul pianeta è stato così intenso da indurre a ritenere che il tasso di estinzione sia aumentato di un valore compreso tra 1.000 e 10.000 volte.

Qualche semplice esempio di ciò che si verifica nell’ambiente naturale per effetto delle sostanze tossiche disseminate dall’uomo può aiutare a comprendere meglio la questione.

L’erbicida atrazina, composto di riconosciuta tossicità e da molti studiosi ritenuto cancerogeno, nonché distruttore endocrino sia per l’uomo sia per altre specie di vertebrati, a causa della sua pericolosità ecologica e sanitaria è stato vietato nella maggior parte dei paesi occidentali, ma viene tuttora ampiamente usato laddove il suo impiego è ancora ammesso, compresi quindi molti paesi in via di sviluppo. Malgrado in Italia sia stato bandito da circa vent’anni, l’erbicida atrazina viene ancora rilevato nelle acque superficiali e di falda, oltre che nel latte materno e nel liquido amniotico di donne gravide, per l’abuso che se ne è fatto negli anni passati (per esempio nelle monocolture della pianura padana). Molte indagini zoologiche e tossicologhiche internazionali hanno permesso di associare l’atrazina a svariati problemi sanitari a carico della fauna selvatica, rilevando in particolare una riduzione anomala delle popolazioni di anfibi.

Il glifosate è un altro erbicida accusato di destabilizzare il sistema endocrino nelle specie animali (mammiferi) e nell’uomo, e di essere un fattore di rischio nella comparsa di tumori e nell’insorgenza di alcune alterazioni cellulari ed enzimatiche placentari di varie specie.

Anche il famigerato DDT, come molte altre molecole della stessa famiglia (organoclorurati), bandito in gran parte del mondo quasi 40 anni fa per la sua neurotossicità e per il sospetto di cancerogenicità ma tuttora intrappolato nelle reti trofiche degli ecosistemi e nei ghiacciai (montani e polari), è stato inserito nel gruppo dei pesticidi che alterano la normale funzionalità del sistema endocrino, causando anzitutto femminilizzazione dei maschi, indebolimento nella sperm count (il numero degli spermatozoi) nei maschi di molte specie, abbassamento della fertilità (fino all’infertilità) e anomalie dello sviluppo in molte specie di vertebrati, dagli storioni agli alligatori, fino ai felini e agli esseri umani.

Un aspetto che andrebbe tenuto nella massima considerazione riguarda il fatto che l’uso di pesticidi ad effetto endocrino nelle pratiche agricole può sempre provocare una ricaduta sulla qualità del prodotto agricolo finito, perché l’effetto tossico di queste sostanze è spesso indipendente dalla dose.

Molti distruttori endocrini, infatti, possono avere un’azione biologica non dose dipendente, ma agire secondo variazioni di concentrazione non monotoniche; in altre parole, possono essere attivi a dosi infinitesime, non esserlo a concentrazioni medie, e tornare a esserlo a concentrazioni superiori. Poiché sappiamo ancora troppo poco sugli effetti da esposizione cronica a tali composti (o di miscele di tali composti), abbiamo a che fare con un caso tipico in cui è necessario fare appello alla cautela e alla responsabilità, sia per i rischi a carico della biodiversità, sia per i rischi a carico della salute umana.

Un distruttore endocrino è una sostanza capace di causare danni biologici in un organismo sano e nella sua progenie, non in modo diretto, ma come conseguenza di modificazioni della funzione ormonale.

Queste sostanze vengono definite anche “ormono-simili”, e sono coinvolte in patologie e malformazioni di varia natura, soprattutto quelle per cui la finestra temporale di esposizione all’agente chimico può essere cruciale (per esempio, durante lo sviluppo embrionale, la pubertà, la

gravidanza, ecc.).

Si deve infine osservare che oggi viene individuato un nesso molto stretto tra l’effetto endocrino e l’effetto cancerogeno e che tra gli esiti più significativi rilevati nelle popolazioni animali sono emersi, insieme con la riduzione della fertilità dei maschi anche processi degenerativi specialmente a carico dell’apparato riproduttivo, endocrino e nervoso. Non deve sorprendere, allora, il sospetto scientifico che, nell’ambito degli organismi animali e certamente tra i mammiferi, gli uccelli, i rettili e gli anfibi, ma anche in una quantità imprecisabile di pesci e di invertebrati una fondamentale causa di sofferenza demografica ed ecologica sia legata proprio agli effetti collaterali delle sostanze impiegate nelle pratiche agricole.

Una stima realistica del fenomeno estinzione è un’impresa molto critica, dal momento che le misure si basano su dinamiche che nessuno è in grado di osservare direttamente ma delle quali, se va bene, si può percepire solo l’esito finale (la completa scomparsa di una specie).

Alcuni dati attendibili, comunque, ci dicono che negli ultimi quattro secoli si sono estinte per cause antropiche 300-350 specie di vertebrati, circa 400 specie di invertebrati e un numero non determinabile di piante.

Risultati più recenti del monitoraggio biologico effettuato dall’International Union for Conservation of Nature (IUCN) evidenziano che nell’ultimo mezzo secolo, per un congruo numero di specie animali e vegetali, si è avuto un consistente incremento del rischio di estinzione per cause antropiche.

Attualmente una specie di mammiferi su quattro, una specie di uccelli su otto, una specie di anfibi su tre, una specie di conifere su quattro e una specie di cicadi su due risultano minacciate di estinzione.

Le stime disponibili del resto fanno ipotizzare che, in assenza di provvedimenti efficaci e tempestivi in grado di invertire il trend di un sistema economico ecologicamente devastante, entro i prossimi 20-30 anni i tassi di estinzione cresceranno di 10 volte rispetto ai ritmi odierni.

Deve essere chiarito, inoltre, che questa perdita di biodiversità non si verifica soltanto attraverso un incremento della mortalità delle popolazioni animali e vegetali, ma anche attraverso la riduzione della loro natalità. Non va dimenticato infine che molti pesticidi sono xenobiotici e dopo la loro immissione nell’ambiente si mantengono sostanzialmente inalterati per lunghi periodi di tempo, arrivando a contaminare grazie alle loro caratteristiche di volatilità, persistenza e bioaccumulo  organismi non-target e reti alimentari su cui si basa l’organizzazione delle comunità biologiche naturali, anche a notevoli distanze dal punto iniziale di contaminazione.

Tuttavia, una cosa deve essere molto chiara: le alternative scientifiche, tecnologiche ed economiche per un’inversione di rotta sono già disponibili.

 

Pesticidi ed effetti sulla salute umana

I pesticidi occupano una posizione molto particolare fra le numerose sostanze chimiche cui l’uomo è esposto, poiché essi vengono deliberatamente sparsi nell’ambiente con l’intento di eliminare alcune forme di vita. Il pesticida ideale dovrebbe essere estremamente tossico per la specie che si desidera eliminare e innocuo per l’uomo e per gli altri organismi.

Purtroppo pochissimi pesticidi sono così selettivi. Questo fatto fa sì che essi divengano un rischio per la salute umana e per l’ambiente soprattutto in quei paesi dove i controlli e le attività di sorveglianza non sono molto sviluppati.

Inoltre molti di questi composti sono biopersistenti: 10 dei 12 sostanze indicate nella convenzione di Stoccolma sui POPS (Persistent Organic Pollutants) sono pesticidi e nel 2009 ne sono stati aggiunti altri 14.

Emblematico il caso del DDT, negli Stati Uniti bandito dal 1972 ma che si ritrova ancora nel latte materno o anche nei sedimenti di laghi sub alpini ove le concertazioni tendono ad aumentare per effetto dello scioglimento dei ghiacciai.

Nel mondo l’impiego di prodotti fitosanitari per uso agricolo é massiccio: nel 2007 ne sono stati usate 153,4 mila tonnellate (148,9 mila tonnellate nel 2006). In Italia si distribuisce il 33% della quantità totale di insetticidi utilizzati nell’intero territorio comunitario e sono 800 i prodotti presenti sul mercato. Il quantitativo medio distribuito è di 5,64 chilogrammi per ettaro e l’uso interessa circa il 70% della superficie agricola utilizzata, pari a circa 13.000.000 ettari.

L’esposizione ai pesticidi interessa non soltanto gli agricoltori che sono il gruppo di lavoratori esposti ma coinvolge tutta la popolazione poiché si possono trovare sia nell’acqua che nel cibo. Di fatto contaminano la catena alimentare sia attraverso i prodotti dell’agricoltura sia attraverso l’acqua contaminata o per esposizione residenziale di prossimità dei luoghi dove vengono impiegati.

L'EFSA (l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare Europea) nel 2008 ha riscontrato che il 2,2% dei campioni hanno concentrazioni di alcuni dei 78 pesticidi ricercati superiore al massimo livello consentito (MRL). A livello europeo nel 28% di campioni analizzati viene rilevata la presenza di più di un pesticida e questa quota aumenta negli anni. Anche in 76 casi di prodotti alimentari per bambini sui 2.063 analizzati è stata riscontrata presenza di pesticidi e in 4 casi la concentrazione era

superiore alla MRL.

Per quanto riguarda le acque, l'ISPRA (Istituto superiore protezione ambientale) nel Monitoraggio nazionale dei pesticidi nelle acque dati 2007 – 2008 nei 19.201 campioni raccolti in 19 regioni, sono state ricercate 300 sostanze contaminati.

Nelle acque superficiali sono stati trovati residui di pesticidi in 518 punti di monitoraggio, che rappresentano il 47,9% del totale, nel 31,7% dei casi con concentrazioni superiori ai limiti di legge previsti per le acque potabili.

Nelle acque sotterranee sono risultati contaminati 556 punti di monitoraggio, che rappresentano il 27,0% del totale, nel 15,5% dei casi con concentrazioni superiori ai limiti di legge. Le sostanze rilevate complessivamente sono 118, con una presenza maggiore nelle acque superficiali dove ne sono state trovate 95, mentre in quelle sotterranee ne sono state rinvenute 70.

Segnalata ancora la presenza diffusa in tutta l’area padano-veneta di atrazina, sostanza fuori commercio da circa due decenni.

E' evidente da qui l'impatto sanitario che l'agricoltura ha sull'ambiente e quindi sulla salute.

 

Effetti sulla salute umana

In questa sede ci soffermiamo sugli effetti sulla salute che si manifestano a lungo termine.

Ricordiamo che la valutazione degli effetti a lungo termine sull’uomo con studi epidemiologici presenta numerosi problemi in quanto risulta particolarmente difficile caratterizzare l’esposizione che in genere è multipla, a più composti fitosanitari o anche a composti cancerogeni di altra natura e variabile per intensità e natura dei composti in gioco.

 

Pesticidi e cancro

Sono state condotte numerose revisioni di studi condotti sui lavoratori agricoli.

La conoscenza del rischio cancerogeno negli agricoltori è un importante punto di partenza per comprendere la rilevanza del problema nella popolazione. In generale gli agricoltori presentano un rischio di tumori più basso rispetto alla popolazione generale.

E’ stato osservato che bambini i cui genitori avevano usato pesticidi in giardino o su piante di appartamento avevano un rischio di leucemie più elevato. Il periodo critico di esposizione era durante la gravidanza. E' stato riscontrato un aumento di tumori cerebrali, al rene nei figli di genitori esposti ad antiparassitari durante il lavoro.

Una recente analisi combinata di 40 studi di tumori infantili riporta che l'esposizione a pesticidi è

fortemente associata a aumento di rischio di leucemia, linfoma e tumore cerebrale. Il rischio è alto quando la madre è stata esposta nel periodo prenatale all'uso di pesticidi in giardino. Il rischio di tumore cerebrale è risultato associato all’uso di pesticidi nel periodo prenatale da parte del padre.

In un recente studio il rischio di leucemie connesso ai livelli urinari più elevati di metaboliti di pesticidi piretroidi nei bambini è circa doppio rispetto al gruppo con i livelli più bassi.

Anche nello studio americano Agicolture Helth Study condotto su 17.357 figli di agricoltori di 0-19 anni, il rischio per tutti i tumori era di +36% con eccessi riscontrati per linfomi, risulta significativamente aumentato, mentre per altre sedi tumorali il rischio non raggiunge la significatività statistica (cervello, rene, tumore delle ossa, tessuti molli e cellule germinali).

Uno studio di tipo ecologico condotto negli Stati Uniti ha indagato la correlazione tra incidenza di tumori infantili (<15 anni) e l'intensità dell'uso agricolo del suolo.

Il rischio di tumori infantili era positivamente correlato alla moderata o elevata intensità dell'uso agricolo con una consistente relazione dose-risposta.

 

Sistema endocrino

Come ricordato 26 composti indicati nella convenzione di Stoccolma sui POPS sono pesticidi ed numerosi hanno capacità di interferire con il sistema endocrino. Questa capacità si manifesta anche a bassissime dosi.

In generale gli effetti sulla salute sono ridotta fertilità e fecondità, aborto spontaneo, modificazioni del rapporto maschi/femmine alla nascita, anormalità del sistema riproduttivo maschile e femminile, pubertà precoce, sindrome dell’ovaio policistico, alterazioni della funzione tiroidea, danno alle ghiandole surrenali e disfunzione del metabolismo,degli ormoni steroidei, aumentata sintesi di melatonina, disordini neuro comportamentali, alterazioni delle funzioni del sistema immunitario, cancerogenesi a carico delle ghiandole endocrine.

 

Effetti neurodegenerativi

Una revisione di 39 studi sulla relazione tra pesticidi e morbo di Parkinson conclude per una associazione positiva con insetticidi ed erbicidi.

Anche una relazione tra pesticidi e SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) è stata riscontrata in numerose ricerche.

 

Sviluppo cerebrale

Nel 2006 la prestigiosa rivista Lancet pubblicò un articolo nel quale si richiamava l’attenzione agli effetti tossici per lo sviluppo cerebrale dei composti chimici e, sotto questo aspetto, l’insufficienza della valutazione di tossicità e della regolamentazione dei composti chimici. Un elenco di 202 sostanze note per essere tossiche per il cervello umano, ben 90 delle quali erano pesticidi.

Nello sviluppo prenatale il sistema nervoso è particolarmente vulnerabile agli insulti neurotossici. Lavori sperimentali su roditori suggeriscono che inibitori della colinesterasi usati come insetticidi come i composti organo clorurati possano interferire con lo sviluppo cerebrale e causare danni permanenti.

Una ricerca condotta in Ecuador che coinvolgeva donne occupate in attività di floricoltura intensiva aveva rilevato che bambini di 6-8 anni di età la cui madre era stata direttamente esposta a pesticidi in gravidanza, presentavano deficit neuro comportamentali che corrispondeva ad un ritardo di 1.5-2 anni nello sviluppo cognitivo.

Vi sono crescenti evidenze che l’esposizione in epoca gestazionale a pesticidi sia associata all’insorgenza di disturbi autistici.

In uno studio condotto su 415 bambini autistici i figli di madri che durante la gestazione, avevano abitato entro 500 metri da campi trattati con pesticidi organoclorurati, avevano un rischio molto elevato di sviluppare disturbi di tipo autistico.

La letteratura scientifica fornisce numerose evidenze che i pesticidi provocano svariati e gravi effetti negativi sulla salute umana e che riguarda non solo gli agricoltori ma anche la popolazione generale non professionalmente esposta, come le donne in gravidanza e bambini che rapprendano i target più sensibili.

La consapevolezza e l’azione delle istituzioni al problema sembra ancora lontana dall’affrontare il rischio sulla salute umana dei pesticidi e mettere in campo concrete azioni di prevenzione.

 

Fabio La Corte

 


 

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|Anno XIV num.4 - Lug./Ago. 2015| - Per informazioni e-mail: redazione1@spaziomotori.it

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