La produzione di energia “pulita”. L’
Energia Nucleare
di Luca Petrillo
Il nucleare, perché potrebbe essere
l’alternativa pulita
L’assenza di una politica energetica
nazionale volta al rinnovabile (il governo ha “svoltato” verso il
nucleare) si sta creando forte una opinione pubblica volta al nucleare.
In tal senso si registrano numerose posizioni contrastanti ; molti
pensano che a livello ambientale la produzione di questo tipo sia un
bene , altri un male. Eppure dal punto vista pratico il meccanismo di
produzione dell’energia all’interno di una centrale nucleare, basato
sulla scissione di nuclei atomici, non comporta emissioni di sostanze
chimiche inquinanti come invece avviene per gli impianti di produzione
che bruciano combustibili fossili (carbone, olio combustibile e gas
naturale) e che emettono ossidi di azoto, biossido di zolfo e polveri
sottili, seppure in minima quantità. In particolare una centrale
nucleare non emette anidride carbonica (CO2), il gas che la grande
maggioranza dei climatologi ritiene il principale responsabile del
riscaldamento globale. In realtà anche il ciclo dell’uranio comporta
piccole quantità di emissioni di CO2 nelle fasi di estrazione e del
trasporto del minerale, e in quella di costruzione dell’impianto. Ma si
tratta di quantità che, a parità di energia prodotta, risultano del 1,5%
rispetto al carbone, del 2% rispetto all’olio combustibile e del 2,8%
rispetto al gas naturale.
Il cambiamento climatico ed i
combustibili fossili
Il cambiamento climatico della Terra, è un
problema concreto per la quale molte organizzazioni mondiali hanno posto
la loro l’attenzione .Tra queste, quella che ha prodotto moltissimi
studi scientifici in tal senso , è l’ONU. Il continuo monitoraggio
dell’ONU ha portato a conclusioni molti allarmanti , spesso messe in
dubbio in quanto , incertezze come il complesso cambiamento
dell’ecosistema terrestre , non rendono i risultati certi. Basandosi
invece su dati assodati , si è accertato che :
La temperatura che la temperatura terrestre
è in crescita da oltre un secolo. L’aumento medio è stimato in 0,4-0,7
gradi centigradi. Numerosi studi collegano questa variazione a
cambiamenti già oggi misurabili nell’ecosistema.
La grande maggioranza dei climatologi
ritiene che l’attività umana, in particolare i gas serra, siano i
principali responsabili del riscaldamento globale. Un ruolo primario
viene attribuito all’anidride carbonica (CO2), la cui concentrazione
nell’atmosfera è in aumento perché per soddisfare la crescente richiesta
di energia vengono bruciate quantità sempre maggiori di carbone,
petrolio e gas naturale.
Molti scienziati temono che crescenti
emissioni di gas serra possano indurre aumenti della temperatura e
cambiamenti climatici così rapidi da rendere difficile l’adattamento da
parte dell’ecosistema terrestre.
Per controbattere allo scetticismo di chi
non ritiene scientificamente fondati questi scenari, molti esperti –
specie all’interno del mondo ambientalista – hanno chiesto di applicare
il principio di precauzione. Secondo loro, la probabilità che questi
scenari si verifichino è così alta, e il loro effetto sarebbe così
catastrofico, da suggerire l’adozione di misure atte a scongiurare il
rischio.
In questo contesto, da quasi un ventennio va avanti la discussione sulla
necessità di limitare l’uso dei combustibili fossili.
Nell’ambito del Protocollo di Kyoto, l’Unione europea si è impegnata a
ridurre le emissioni di gas serra dell’8 per cento entro il 2012,
rispetto ai valori del 1990. L’Italia ha scelto un obiettivo più
limitato: -6,5 per cento. Per ottenere questo risultato è necessario
avviare un processo per la riduzione dei consumi di combustibili
fossili. L’Unione europea ha inoltre adottato un piano ambizioso che
prevede tre obiettivi (definiti 20-20-20) da raggiungere entro il 2020:
ridurre i gas serra del 20% rispetto ai livelli del 1990, coprire il 20%
dei consumi energetici con fonti rinnovabili, diminuire del 20% il
consumo di energia grazie al risparmio energetico;
Per raggiungere questi obiettivi la Commissione europea ha manifestato
il suo sostegno allo sviluppo dell’energia nucleare sottolineando sia la
sicurezza di questa tecnologia sia il suo positivo contributo alla
riduzione dell’emissioni di CO2. Ma ha lasciato autonomia ai diversi
paesi sulle scelte da compiere per raggiungere gli obiettivi di Kyoto,
rispettando la sovranità di ogni Stato membro.
Per ridurre le emissioni di CO2 il
Nucleare è indispensabile?
Sono diversi gli elementi che spingono a
ritenere l’energia nucleare un elemento chiave per ridurre i consumi di
combustibili fossili.
1. Tra il 1997 e il 2007, a livello mondiale, la produzione di energia
elettrica è cresciuta del 35 per cento (dati EIA) e nel prossimo
decennio si ipotizzano tassi di crescita ancora maggiori non solo perché
la popolazione globale continuerà ad aumentare ben oltre i sette
miliardi di individui ma perché nel mondo oltre 1,5 miliardi di persone
sono ancora senza energia elettrica.
2. Secondo il Rapporto sul nucleare pubblicato nel 2003 (e aggiornato
nel 2009) dal Mit (Massachusetts Institute of Technology), esistono solo
quattro opzioni realistiche per ridurre le emissioni di CO2 nella
produzione di energia elettrica.
a. Espandere l’uso delle energie rinnovabili;
b. Aumentare l’efficienza energetica;
c. Utilizzare tecnologie per sequestrare in modo permanente la CO2 e
impedire che si liberi nell’atmosfera
d. Espandere la produzione di energia nucleare
Lo studio sostiene che è indispensabile perseguire tutte e quattro
queste strade per diminuire i consumi di combustibili fossili limitando
le emissioni di CO2.
Ai costi attuali dei diritti d’acquisto per
le emissioni di anidride carbonica una sola centrale nucleare permette
di risparmiare 177 milioni di euro all’anno.
Senza considerare che in un solo anno , una
centrale nucleare può far risparmiare emissioni pari a 9 milioni di
tonnellate di anidride carbonica ; è come togliere dalle strade 4,5
milioni di automobili.
Le energie pulite dopo il protocollo di
Kyoto
Negli ultimi decenni, mentre nel mondo si
diffondeva l’allarme per possibili effetti catastrofici del
riscaldamento globale, si è assistito a un fenomeno paradossale: il
ruolo globale delle fonti energetiche responsabili delle emissioni di
CO2 è cresciuto, mentre quello del nucleare e delle rinnovabili è sceso.
Nel decennio tra il 1997 e il 2007
l’energia
elettrica prodotta nel mondo con carbone, olio e gas è salita
dal 63,1 % al 68,2 % del totale. Al contrario il nucleare è sceso dal
17,2 al 13,8 per cento. Le energie rinnovabili (compreso
l’idroelettrico) sono calate dal 20 al 18,4 % (dati EIA).
Tra le energie rinnovabili il ruolo dell’energia eolica e del solare è
cresciuto ma resta ancora assai limitato: nel 2007 l’eolico contribuiva
per lo 0,8 per cento alla produzione di energia elettrica mondiale, il
solare per lo 0,4 per mille.
Partendo da valori così bassi, anche
immaginando tassi di crescita elevati, è difficile ipotizzare che il
problema del riscaldamento globale possa essere risolto puntando
soltanto sullo sviluppo delle energie rinnovabili.
La quota di energia elettrica di fonte nucleare (13,8% a livello
mondiale) è calata negli ultimi vent’anni, perché l’incidente di
Chernobyl ha causato un forte danno di immagine al settore e un drastico
rallentamento nell’ordinazione di nuovi centrali. Ma negli ultimi anni
si assiste a
un’inversione di
tendenza. All’inizio del 2010 nel mondo c’erano in
costruzione
55 reattori
nucleari in 15 paesi diversi e in molti altri sono in corso
le procedure per ottenere le licenze. Inoltre la convinzione che le
vecchie centrali siano sicure e affidabili sta spingendo molti paesi a
prorogare la licenza oltre il termine previsto quando l’impianto fu
costruito. Le ragioni di questa inversione di tendenza sono svariate.
Ogni paese fonda le proprie scelte energetiche su considerazioni
tecniche, economiche, geopolitiche, ma il peso del problema ambientale
sta crescendo.
Le scorie, come si risolve il problema?
Seppur i rifiuti radioattivi prodotti per
dare elettricità ad un appartamento di 200 mq per 70 anni occupano lo
spazio di una lattina, quello delle scorie nucleari è uno degli aspetti
più delicati connessi alla produzione di energia nucleare. Un reattore
con una potenza di 1000 megawatt produce in media ogni anno 80 metri
cubi di materiale a bassa o media radioattività e circa 9 metri cubi di
rifiuti ad alta radioattività . Sono questi ultimi il problema che più
allarma i gruppi ambientalisti e l’opinione pubblica perché i rifiuti ad
alta radioattività contengono sostanze pericolose, come il plutonio 239
e altri prodotti della fissione nucleare che restano altamente
radioattivi per molte centinaia o migliaia di anni.
L’obiezione fondamentale avanzata dal
movimento ambientalista è che non si debba lasciare una simile eredità
alle future generazioni. In molti paesi del mondo – Italia compresa – è
difficile convincere le popolazioni locali ad accettare che nella
propria regione sia collocato un deposito di scorie di questo tipo.
L’indicazione di siti geologici altamente stabili suscita opposizione in
molti paesi del mondo, mentre in altri (Finlandia e Svezia) le soluzioni
sono state trovate con il consenso della maggioranza.
I sostenitori del nucleare sostengono che ogni modo di produzione di
energia presenta rischi e problemi. Nel caso delle scorie nucleari i
rischi possono essere gestiti e minimizzati. Anche altre attività umane,
come la medicina radiologica, producono rifiuti radioattivi in modo
assai meno controllato e con una maggiore dispersione nel territorio. I
reattori di tipo EPR oggi in costruzione in Finlandia e in Francia
produrranno il 15 per cento di rifiuti radioattivi in meno rispetto alle
generazioni precedenti.
Ma si tratta di un problema che la comunità scientifica internazionale
considera ancora aperto. L’ultimo Rapporto sulle scorie nucleari
pubblicato nel settembre 2010 da una commissione del Mit sostiene che
vetrificare i rifiuti radioattivi per sistemarli definitivamente
all’interno di depositi sotterranei potrebbe essere un errore. La
commissione sostiene che non è ancora chiaro se le scorie radioattive
debbano essere considerate ‘rifiuti o risorse per il futuro’. Gli
esperti del Mit suggeriscono di mettere in sicurezza i residui
radioattivi in depositi controllati e temporanei, magari nei pressi
delle centrali, per qualche decina di anni. E propongono di finanziare
nuove ricerche per capire se quelle sostanze solo parzialmente esauste
potrebbero trasformarsi in una riserva strategica di energia per il
futuro da utilizzare all’interno di centrali di nuova concezione.
Luca Petrillo |