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Anno XIV num.4
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VOGLIO ANDARMENE

 

di Emanuela Riberti



Caro Papà, innanzittutto: “ti voglio bene”, ma lo sai già, io te lo dico spesso, tu mai.
Sono passati otto mesi da quando hai iniziato questo cammino di malattia, ed io l’ho percorso con te. Ho
combattuto con te. Adesso ti sei arreso ed io non so più a che Santo votarmi per farti cambiare idea.
Da quindici giorni stai precipitando nel baratro del non ritorno e lo fai nel pieno delle tue facoltà. I medici
ospedalieri non possono nulla contro la tua volontà ed io ho chiesto che ti alimentino con un sondino, ma tu
sei presente a te stesso, ed hai rifiutato anche questo.
Papà smetti, per favore, di giocare con i sentimenti miei e della mamma. Vedi quanto ti stiamo accanto e
quanto ci fa soffrire il tuo atteggiamento.
Fammi capire perché rifiuti sia il cibo che le cure.
Ti chiedo se hai dolori e mi dici di no. Ti chiedo di nutrirti e mi dici di no. In nome del Cielo, spiegami cosa ti è
scattato dentro.
Ti rendi conto che la tua insufficienza respiratoria si aggrava se non dai ai tuoi polmoni l’energia per fare la
loro funzione, eppure non mangi.
Papà mi stai facendo ammalare per la preoccupazione di non sapere più cosa escogitare per farti mandare
giù qualcosa. Oggi hai rifiutato anche quel poco di gelato che a suon di suppliche nei giorni scorsi sono
riuscita a farti mangiare.
Cerchi continuamente qualcosa di fresco, mi precipito giù al bar a procurartelo, lo assaggi appena e poi lo
lasci lì fino a quando è a temperatura ambiente e non ti piace più.
Ti ho portato un frigorifero mignon ma non lo hai voluto, anzi mi hai brontolato che ho fatto una spesa inutile.
Non ti hanno intenerito neppure le esortazioni di tua sorella e di mia figlia, la tua unica nipote. Tutti noi
parenti e amici, medici e paramedici compresi cerchiamo di capire le ragioni che ti muovono
nell’autodistruzione, ci scervelliamo per cercare leve motivazionali che ti riportino alla normalità.
Nel mondo ci sono moltissime persone che vivono giorno e notte attaccate alla bombola di ossigeno, non
vedo perché proprio tu pensi di non potercela fare.
Sei amato da noi tutti, nonostante il tuo carattere burbero, non sei solo.
Pensa a quegli anziani che, poveretti, sono abbandonati a se stessi e sono fortunati se ricevono una visita
dai figli ogni tanto.
Noi due abbiamo sempre avuto posizioni opposte su tutti gli argomenti importanti della vita e adesso ci
troviamo sulle rive opposte persino sulla tua decisione quando dici “voglio andarmene”.
Io ti ho sempre rispettato anche quando hai disprezzato alcune mie scelte, questa volta sono impreparata ad
accettare questa tua drastica determinazione.
Abbiamo discusso, dai nostri fronti opposti, in merito a ciò che la vita ci ha riservato e finalmente abbiamo
trovato un argomento comune spurio da obiezioni: la mia scelta di diventare consulente finanziario.
Ma questo nulla ha potuto comunque per farti decidere di ripartire verso la vita.
Di giorno ci alterniamo io e la mamma, la notte ti facciamo assistere da una infermiera privata, ma pare che
anche questo non ti interessi, ti sei chiuso in te stesso come un riccio.
Rifiuti che ti si legga un giornale, neanche “il Sole 24 ore” per aggiornarti sull’andamento della borsa, rinunci
persino ai film western o a una partita a scala quaranta, il tuo gioco preferito ed a cui sei imbattibile.
Tu che rinunci al cibo, mi sembra impossibile quando ricordo l’appetito quasi vorace con cui sei stato a
tavola sino a quindici giorni fa ai tuoi orari canonici: ore dodici a pranzo, ore diciannove la cena.
Questa sera ti sei arrabbiato, non hai fiato ma per affermare “no non voglio niente, lasciami in pace”, l’hai
tirato fuori forte e chiaro e mi hai allontanato con fastidio la mano con il cucchiaino di gelato. Proprio non ce
l’ho fatta a sopportare la tua risposta quando la mamma ti ha chiesto “perché lo fai, sei arrabbiato con noi, Ti
trattiamo male?”. Tu ha replicato “no, ma voglio andarmene, sono stanco di vivere”. Ti ho esortato a reagire
e tu per tutta risposta mi hai guardata in silenzio. Al che mi sono determinata a non fare più come il “medico
pietoso che ha fatto infettare la piaga del paziente per paura di fargli male” , ho accompagnato a casa la
mamma per cena e ti ho salutato senza darti il solito bacio sulla guancia. All’infermiera della notte, quando ti
ha chiesto come mai non eravamo presenti come tutte le sere, tu hai detto che mi ero arrabbiata con te,
guardandoti bene dal completare il motivo per cui sono stata freddina. Io e la mamma siamo venute
comunque a salutarti per la notte. La mamma ha spiegato ad alta voce all’infermiera della notte di proposito
come in realtà sono andate le cose, così ti sei sorbito anche i suoi rimproveri.
Papà che ti succede, me lo chiedo di nuovo visto che la tua risposta non ha senso per me. Ti reputo una
persona intelligente ma stai rinunciando alla vita.
Preferisci abbandonare senza lottare. Non hai ancora compreso che così facendo stai entrando sullo stesso
campo del mio ex marito che da tre anni non vede nostra figlia e non le ha ancora spiegato perché. Solo i
codardi scappano e solo i vigliacchi mentono. Tu non sei mai stato né l’uno né l’altro, te lo chiedo con il
cuore in mano, reagisci, mangia, accetta le cure e continua a vivere prima per te stesso e poi per noi tutti
che ti vogliamo bene anche se sei un “orso”.


Emanuela Riberti


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