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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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RISCHIO IDROGEOLOGICO

di Salvatore Scordo

 

Nell'ambito dei rischi geologici e dei fenomeni naturali che caratterizzano il nostro paese, uno di quelli che comporta un maggior impatto socio-economico è

il rischio idrogeologico. Il rischio idrogeologico (dal greco acqua “idros” e terra “geos”), fa riferimento alla probabilità correlata all'instabilità dei pendii, dovuta

alla particolare conformazione geologica e geomorfologica e alle conseguenze di particolari condizioni ambientali e di eventi meteorici estremi, che inducono a

tipologie di dissesto tra loro strettamente interconnesse, quali frane e/o esondazioni.

Rispetto ad altri imprevedibili fenomeni naturali, quali terremoti o eruzioni vulcaniche, capaci di scatenare il terrore  tra la popolazione, i fenomeni

idrogeologici sono prevedibili sia nello spazio che nel tempo. La tecnologia dei nostri tempi è in grado di prevedere (con un margine di errore molto limitato),  il verificarsi di temporali, la durata e il quantitativo di pioggia che si abbatterà su un determinato territorio. Il vero problema, è quello di capire come si

comporteranno i terreni,  in funzione della tipologia e della morfologia del territorio interessato. I fenomeni collegati al rischio idrogeologico possono dare

origine a frane, esondazioni e dissesti morfologici di carattere torrentizio. Le cause scatenanti questi fenomeni idrogeologici sono da attribuire principalmente ai due principali elementi coinvolti, ovvero l’acqua (precipitazioni, acque di superficie e sotterranee) e la terra (tipologia e geomorfologia del territorio).

 

FRANE

Le valli, le montagne e le pianure sono abitualmente considerate come forme che non cambiano nel tempo.
In realtà la superficie del territorio si trasforma di continuo grazie all’azione dei fattori climatici meteorologici e geologici, ma in modo troppo lento e non

percepibile dall’occhio umano. Nel caso degli eventi idrogeologici come le frane e gli smottamenti, le morfologie dei terreni subiscono una drastica e netta accelerazione e in pochi attimi l’aspetto dei territori colpiti cambia violentemente e drasticamente. Grazie a questi eventi la natura svolge un lavoro che

altrimenti richiederebbe migliaia se non milioni di anni.

Il meccanismo di un evento idrogeologico straordinario può essere così descritto: un determinato territorio in pendenza, come ad esempio una collina,

una scarpata o una parete rocciosa la cui natura dei materiali che lo costituiscono e lo caratterizzano,

può coinvolgere ogni genere di materiale come: rocce, sabbia, argilla, terra, alberi, arbusti, costruzioni e opere antropiche ecc.  Come ogni altro oggetto o

materiale situato su territorio in pendenza, inevitabilmente grazie alla forza di gravità, viene attratto verso il basso (verso valle), ma ogni oggetto o materiale precedentemente descritto non rotola verso valle, mantenendo comunque un determinato equilibrio che ne determina la propria stabilità e rimane in quella

posizione, perché le resistenze intrinseche che caratterizzano un determinato oggetto o materiale viene trattenuto in una posizione di stallo.

Questo equilibrio di forze dipende da fattori come la natura e la morfologia del terreno o della roccia, la forma (o profilo) del pendio o la quantità d’acqua

presente. Queste condizioni di equilibrio possono essere stravolte per diverse cause, come piogge torrenziali, precipitazioni improvvise ed eccezionali, lo spostamento di un percorso fluviale da quello naturale per motivi antropici quali interventi di sovra sfruttamento e abuso edilizio in determinati territori.

Le forze in gioco nell’equilibrio di un territorio in pendenza sono quelle di rottura, dette anche forze di taglio e quelle opposte, dette di resistenza interna.

Le forze di taglio possono derivare da sollecitazioni esterne alla pendenza, ma in genere sono prodotte dal peso stesso dal materiale che compone il

versante.

Le forze di resistenza interna hanno invece una natura più complessa. Per spiegarla immaginiamo un asse inclinato sul quale si trova un sasso, immobile.

La forza di gravità tende a farlo scivolare o rotolare lungo il pendio, per cui, se non si muove, significa che è fissato al suo asse di equilibrio, magari con del

materiale collante.

Oppure vi è semplicemente appoggiato e allora qualcos’altro lo trattiene.

Nel caso in cui il sasso sia ”incollato”, la resistenza all’attrazione di gravità deriva dalla coesione.

È questa una forza che dipende solo dalla natura del collante che può permettere al sasso di rimanere stabile, anche su un asse verticale o capovolto.

La coesione è propria delle rocce dei terreni coerenti, ossia formati da elementi legati gli uni agli altri. Può essere data da un cemento naturale o di fango

solidificato che salda tra di loro granelli di sabbia, ghiaie o ciottoli, oppure dai legami esistenti tra atomi e molecole, o ancora dalla presenza di forze come

quelle d’attrazione elettrostatica. Le particelle di rocce e i terreni coerenti possono formare pendii di qualsiasi inclinazione, a patto che lo sforzo prodotto

dalla gravità non superi in alcun punto la resistenza del materiale. In ogni caso quando si viene a spezzare l’equilibrio tra le forze in gioco su un determinato

territorio in pendenza, questo avviene in favore della forza di gravità, che vince le resistenze interne e intrinseche sugli oggetti e sui materiali, che verranno

trascinati  verso valle causando, in altre parole, un dissesto idrogeologico.

 

ALLUVIONI

Tra le più comuni manifestazioni del dissesto idrogeologico troviamo le alluvioni che vengono causate principalmente da un corso d’acqua che, a causa di un aumento di portata straordinario, rompe gli argini e invade la zona circostante arrecando danni ad edifici, attività produttive, rete stradale, zone agricole, ecc.

Sul territorio nazionale nella Banca dati del Progetto AVI del sistema informativo sulle catastrofi idrogeologiche  dal 1918 ad oggi  sono stati censiti 7988

fenomeni di piene, alluvioni ed esondazioni che hanno interessato più di 15.000 località.

L’aumento della frequenza dei fenomeni è legato alla diffusa impermeabilizzazione del territorio, che, impedendo l’infiltrazione della pioggia nel terreno,

causa l’aumento dei quantitativi e le velocità dell’acqua che defluisce verso i fiumi: tutti problemi derivanti dall’elevata antropizzazione (cementificazione,

disboscamento, ecc.) dalla mancata pulizia dell’alveo e dalla presenza di detriti o di vegetazione che ostruiscono il normale deflusso dell’acqua,

o come spesso è accaduto in diverse tragedie idrogeologiche che hanno coinvolto torrenti “tombati” ovvero chiusi dall’alto e in questo modo mimetizzati

tra le normali strade urbane, facendo dimenticare che sotto passa un torrente o una fiumara. Molti bacini idrografici generano piene in tempi molto brevi (nell’ordine di poche ore), per questo motivo è fondamentale che gli organi istituzionali e le strutture operative presenti sul territorio siano allertate con

il maggior anticipo possibile,

al fine di ridurre l’esposizione delle persone ai rischi e limitare i danni al territorio. Un’efficiente difesa dalle alluvioni si basa sia su interventi strutturali come,

per esempio, argini, invasi e canali, sia su interventi non strutturali, ovvero quelli relativi alla gestione del territorio, come i provvedimenti di limitazione della edificabilità.

 

PREVENZIONE

Al fine di intraprendere la strada della prevenzione a favore della  difesa dal rischio idrogeologico, bisognerebbe intervenire tempestivamente e con regolarità

sulle cause e in particolare su tre fattori indiscutibili, ovvero:

 

·         Manutenzione delle opere antropiche di contenimento

·         Monitoraggio climatico e meteorologico

·         progettazione e messa in opera di interventi protettivi

 

La manutenzione delle opere antropiche di contenimento dovrebbe essere impostata individuando tre obiettivi:

1)       Garantire la manutenzione delle opere per la difesa idraulica così da evitare che il degrado possa ridurre l’efficienza dell’attuale reticolo idrografico, rendendolo vulnerabile;

2)       Monitorare gli eventi, per rilevare il rischio nella sua fase iniziale utilizzando sistemi in tempo reale, così da consentire l’attuazione delle

necessarie misure di allerta e di salvaguardia e dotare i territori di una rete di monitoraggio idrometeorologico, (come in Umbria già utilizzato a partire

dai primi anni ottanta).

3)        Attuare i piani di assetto idrogeologico e realizzare le opere per mettere in sicurezza le aree a grave rischio.

 

Questi  interventi, generalmente realizzati attraverso il ricorso a opere di ingegneria civile e idraulica, hanno lo scopo di abbassare la soglia di rischio

attraverso la riduzione sia della pericolosità (intensità) dell'evento atteso sia della vulnerabilità dei soggetti a rischio. Nel primo caso, dovrebbero essere

realizzati interventi di sistemazione dei versanti (consolidamento delle aree in frana, drenaggi, piantumazioni) e di messa a regime dei corsi d’acqua

lungo tutta la rete idrica superficiale (vasche di laminazione, pennelli trasversali, canali scolmatori, briglie). Nel secondo caso dovrebbero essere costruite

opere di difesa passiva (muri di contenimento, canalizzazioni, argini, sistemi di allerta e di allarme) nelle aree dove sono presenti soggetti a rischio.

Riguardo a queste  misure di carattere strutturale, va sottolineato che la loro realizzazione dovrebbe essere sempre preceduta da uno studio accurato di compatibilità ambientale, non solo rispetto all'impatto paesaggistico che necessariamente opere del genere comportano, ma anche nei confronti delle modificazioni indotte dall'opera in tutto il bacino idrografico considerato nel suo insieme. Al di là dell'indubbia necessità e utilità di questi interventi strutturali

per l’abbassamento della soglia di rischio idrogeologico, nell'ottica non solo di una migliore compatibilità ambientale ma anche di un corretto equilibrio

finanziario, di un miglior inserimento nel paesaggio e di una sensibilizzazione pubblica verso le tematiche di protezione ambientale, è auspicabile che

vengano adottate anche misure di salvaguardia non strutturali, essenzialmente a carattere preventivo.

La loro efficacia risiede, oltre che in una adeguata e ordinaria manutenzione del territorio, in una corretta politica di programmazione e pianificazione

territoriale da effettuare a valle di una accurata conoscenza dei processi morfogenetici naturali che guidano l'evoluzione del paesaggio.

Tale programmazione viene realizzata già in fase di redazione del piano regolatore generale attraverso l'imposizione di vincoli di tipo urbanistico,

l'emanazione di mirate regolamentazioni edilizie, la scelta di una idonea disciplina circa l'uso del territorio nelle aree maggiormente vulnerabili.

Queste soluzioni possono essere integrate dall'applicazione di vincoli e prescrizioni riguardo alle pratiche agricole e alle modalità d'uso agro forestale del suolo. Altresì, negli ultimi anni da molte parti del mondo politico e scientifico si avverte la necessità di una maggiore responsabilizzazione dei privati cittadini nella

corretta localizzazione dei manufatti da inserire nel territorio.

A tal fine si auspica l'introduzione di prescrizioni assicurative a salvaguardia dei beni e degli

strumenti di servizio presenti nelle aree a maggior rischio. Questo tipo di approccio a un problema tanto gravoso potrebbe portare, oltre che a un'effettiva

mitigazione delle condizioni di rischio che attualmente si registrano nel nostro paese, anche ad un recupero da parte delle comunità locali della coscienza

civile e ambientale, che porti ogni privato cittadino ad acquisire la consapevolezza dei naturali processi che guidano l'evoluzione del territorio, requisito

fondamentale per convivere correttamente anche con condizioni di rischio e per rendere efficace qualsiasi politica in favore dell'ambiente.

Salvatore Scordo

 

 

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