RISCHIO IDROGEOLOGICO
di
Salvatore Scordo
Nell'ambito dei rischi geologici e dei fenomeni naturali che
caratterizzano il nostro paese, uno di quelli che comporta un maggior
impatto socio-economico è
il
rischio idrogeologico. Il rischio idrogeologico (dal greco acqua “idros”
e terra “geos”), fa riferimento alla probabilità correlata
all'instabilità dei pendii, dovuta
alla
particolare conformazione geologica e geomorfologica e alle conseguenze
di particolari condizioni ambientali e di eventi meteorici estremi, che
inducono a
tipologie di
dissesto tra loro strettamente interconnesse, quali frane e/o
esondazioni.
Rispetto ad altri imprevedibili fenomeni naturali, quali terremoti o
eruzioni vulcaniche, capaci di scatenare il terrore tra la popolazione,
i fenomeni
idrogeologici
sono prevedibili sia nello spazio che nel tempo. La tecnologia dei
nostri tempi è in grado di prevedere (con un margine di errore molto
limitato), il verificarsi di
temporali, la durata e il quantitativo di pioggia che si abbatterà su un
determinato territorio. Il vero problema, è quello di capire come si
comporteranno i terreni,
in funzione
della tipologia e della morfologia del territorio interessato. I
fenomeni collegati al rischio idrogeologico possono dare
origine a
frane, esondazioni e dissesti
morfologici
di carattere torrentizio. Le cause scatenanti questi fenomeni
idrogeologici sono da attribuire principalmente ai due
principali elementi coinvolti, ovvero l’acqua (precipitazioni, acque di
superficie e sotterranee) e la terra (tipologia e geomorfologia del
territorio).
FRANE
Le valli, le montagne e le pianure sono abitualmente considerate come
forme che non cambiano nel tempo.
In realtà la superficie del territorio si trasforma di continuo grazie
all’azione dei fattori climatici meteorologici e geologici, ma in modo
troppo lento e non
percepibile dall’occhio umano. Nel caso degli eventi idrogeologici come
le frane e gli smottamenti, le morfologie dei terreni subiscono una
drastica e netta accelerazione e in pochi attimi l’aspetto dei territori
colpiti cambia violentemente e drasticamente. Grazie a questi eventi la
natura svolge un lavoro che
altrimenti richiederebbe migliaia se non milioni di anni.
Il meccanismo di un evento idrogeologico straordinario può essere così
descritto: un determinato
territorio in pendenza, come ad esempio una collina,
una scarpata o una
parete rocciosa la cui natura dei materiali che lo costituiscono e lo
caratterizzano,
può coinvolgere ogni genere di materiale come: rocce, sabbia, argilla,
terra, alberi, arbusti, costruzioni e opere antropiche ecc. Come ogni
altro oggetto o
materiale situato su territorio in pendenza, inevitabilmente grazie alla
forza di gravità, viene attratto verso il basso (verso valle), ma ogni
oggetto o materiale precedentemente descritto non rotola verso valle,
mantenendo comunque un determinato equilibrio che ne determina la
propria stabilità e rimane in quella
posizione, perché le resistenze intrinseche che caratterizzano un
determinato oggetto o materiale viene trattenuto in una posizione di
stallo.
Questo equilibrio
di forze dipende da fattori come la natura e la morfologia del terreno o
della roccia, la forma (o profilo) del pendio o la quantità d’acqua
presente. Queste
condizioni di equilibrio possono essere stravolte per diverse cause,
come piogge torrenziali, precipitazioni improvvise ed eccezionali, lo
spostamento di un
percorso fluviale da quello naturale per motivi antropici quali
interventi di sovra sfruttamento e abuso edilizio in determinati
territori.
Le forze in gioco nell’equilibrio di un territorio in
pendenza sono quelle di rottura, dette anche forze di taglio e quelle
opposte, dette di resistenza interna.
Le forze di taglio possono
derivare da sollecitazioni esterne alla pendenza, ma in genere sono
prodotte dal peso stesso dal materiale che compone il
versante.
Le forze
di resistenza interna hanno
invece una natura più complessa. Per spiegarla immaginiamo un asse
inclinato sul quale si trova un sasso, immobile.
La forza di gravità
tende a farlo scivolare o
rotolare lungo il pendio, per cui, se non si muove, significa che è
fissato al suo asse di equilibrio, magari con del
materiale collante.
Oppure vi è
semplicemente appoggiato e allora qualcos’altro lo trattiene.
Nel caso in cui il sasso sia ”incollato”, la resistenza all’attrazione
di gravità deriva dalla coesione.
È
questa una forza che dipende solo dalla natura del collante che può
permettere al sasso di rimanere stabile, anche su un asse verticale o
capovolto.
La coesione è propria delle rocce dei terreni coerenti, ossia formati da
elementi legati gli uni agli altri. Può essere data da un cemento
naturale o di fango
solidificato che salda tra di loro granelli di sabbia, ghiaie o
ciottoli, oppure dai legami esistenti tra atomi e molecole, o ancora
dalla presenza di forze come
quelle d’attrazione elettrostatica. Le particelle di rocce e i terreni
coerenti possono formare pendii di qualsiasi inclinazione, a patto che
lo sforzo prodotto
dalla gravità non superi in alcun punto la resistenza del materiale. In
ogni caso quando si viene a spezzare l’equilibrio tra le forze in gioco
su un determinato
territorio in pendenza, questo avviene in favore della forza di gravità,
che vince le resistenze interne e intrinseche sugli oggetti e sui
materiali, che verranno
trascinati verso valle causando, in altre parole, un dissesto
idrogeologico.
ALLUVIONI
Tra le più comuni manifestazioni del dissesto idrogeologico troviamo le
alluvioni che vengono causate principalmente da un corso d’acqua che, a
causa di un aumento di portata straordinario, rompe gli argini e invade
la zona circostante arrecando danni ad edifici, attività produttive,
rete stradale, zone agricole, ecc.
Sul territorio nazionale nella Banca dati del Progetto AVI del sistema
informativo sulle catastrofi idrogeologiche dal 1918 ad oggi sono
stati censiti 7988
fenomeni di piene, alluvioni ed esondazioni che hanno interessato più di
15.000 località.
L’aumento della frequenza dei fenomeni è legato alla
diffusa impermeabilizzazione del territorio, che, impedendo
l’infiltrazione della pioggia nel terreno,
causa l’aumento dei
quantitativi e le velocità dell’acqua che defluisce
verso i fiumi: tutti problemi derivanti dall’elevata antropizzazione
(cementificazione,
disboscamento, ecc.) dalla mancata pulizia dell’alveo
e dalla presenza di
detriti o di vegetazione che ostruiscono il normale deflusso dell’acqua,
o come spesso è accaduto in diverse tragedie idrogeologiche che hanno
coinvolto
torrenti “tombati” ovvero chiusi dall’alto e in questo modo mimetizzati
tra le normali strade urbane, facendo dimenticare che sotto passa un
torrente o una
fiumara. Molti bacini idrografici generano piene in tempi molto brevi
(nell’ordine di poche ore), per questo motivo è fondamentale che gli
organi istituzionali e le strutture operative presenti sul territorio
siano allertate con
il maggior anticipo possibile,
al fine di ridurre
l’esposizione delle persone ai rischi e limitare i danni
al territorio. Un’efficiente difesa dalle alluvioni si basa sia su
interventi strutturali come,
per esempio, argini, invasi e canali, sia
su interventi non strutturali,
ovvero quelli relativi alla gestione del territorio, come i
provvedimenti di limitazione della edificabilità.
PREVENZIONE
Al fine di intraprendere la strada della prevenzione a favore della
difesa dal rischio idrogeologico, bisognerebbe intervenire
tempestivamente e con regolarità
sulle cause e in particolare su tre fattori indiscutibili, ovvero:
·
Manutenzione delle opere antropiche di contenimento
·
Monitoraggio climatico e meteorologico
·
progettazione e messa in opera di interventi protettivi
La manutenzione delle opere antropiche di contenimento dovrebbe essere
impostata individuando tre obiettivi:
1)
Garantire la manutenzione delle opere per la difesa idraulica così da
evitare che il degrado possa ridurre l’efficienza dell’attuale reticolo
idrografico, rendendolo vulnerabile;
2)
Monitorare gli eventi, per rilevare il rischio nella sua fase iniziale
utilizzando sistemi in tempo reale, così da consentire l’attuazione
delle
necessarie
misure di allerta e di salvaguardia e dotare i territori di una rete di
monitoraggio idrometeorologico, (come in Umbria già utilizzato a partire
dai primi anni
ottanta).
3)
Attuare i piani di assetto idrogeologico e realizzare le opere per
mettere in sicurezza le aree a grave rischio.
Questi interventi, generalmente realizzati attraverso il ricorso a
opere di ingegneria civile e idraulica, hanno lo scopo di abbassare la
soglia di rischio
attraverso la
riduzione sia della pericolosità (intensità) dell'evento atteso sia
della vulnerabilità dei soggetti a rischio. Nel primo caso, dovrebbero
essere
realizzati interventi di
sistemazione dei versanti (consolidamento delle aree in frana, drenaggi,
piantumazioni) e di messa a regime dei corsi d’acqua
lungo tutta la rete
idrica
superficiale (vasche di laminazione, pennelli trasversali, canali
scolmatori, briglie). Nel secondo caso dovrebbero essere costruite
opere
di difesa passiva (muri di
contenimento, canalizzazioni, argini, sistemi di allerta e di allarme)
nelle aree dove sono presenti soggetti a rischio.
Riguardo a queste
misure di carattere strutturale, va sottolineato che la loro
realizzazione dovrebbe essere sempre preceduta da uno studio accurato di
compatibilità ambientale, non solo rispetto all'impatto paesaggistico
che necessariamente opere del genere comportano, ma anche nei confronti
delle modificazioni indotte dall'opera in tutto il bacino
idrografico considerato nel suo insieme. Al di là dell'indubbia
necessità e utilità di questi interventi strutturali
per l’abbassamento
della soglia di rischio
idrogeologico, nell'ottica non solo di una migliore compatibilità
ambientale ma anche di un corretto equilibrio
finanziario, di un miglior
inserimento nel paesaggio e di
una sensibilizzazione pubblica verso le tematiche di protezione
ambientale, è auspicabile che
vengano adottate anche misure di
salvaguardia non
strutturali, essenzialmente a carattere preventivo.
La
loro efficacia risiede, oltre che in una adeguata e ordinaria
manutenzione del territorio, in una corretta
politica di programmazione e pianificazione
territoriale da effettuare a
valle di una accurata conoscenza dei processi morfogenetici naturali che
guidano
l'evoluzione del paesaggio.
Tale programmazione viene realizzata già in
fase di redazione del piano regolatore generale attraverso l'imposizione
di vincoli di tipo urbanistico,
l'emanazione di mirate regolamentazioni
edilizie, la scelta di una idonea disciplina circa l'uso del territorio
nelle aree maggiormente vulnerabili.
Queste soluzioni possono essere integrate dall'applicazione di vincoli e
prescrizioni riguardo alle pratiche agricole e alle modalità d'uso agro
forestale del suolo. Altresì, negli ultimi anni da molte parti del mondo
politico e scientifico si avverte la necessità di una maggiore
responsabilizzazione dei privati cittadini nella
corretta localizzazione dei manufatti da inserire nel territorio.
A tal
fine si auspica l'introduzione di prescrizioni assicurative a
salvaguardia dei beni e degli
strumenti di servizio presenti nelle aree a maggior rischio. Questo tipo
di approccio a un problema tanto gravoso potrebbe portare, oltre che a
un'effettiva
mitigazione delle condizioni di rischio che attualmente si registrano
nel nostro paese, anche ad un recupero da parte delle comunità locali
della coscienza
civile e ambientale, che porti ogni privato cittadino ad acquisire la
consapevolezza dei naturali processi che guidano l'evoluzione del
territorio, requisito
fondamentale per convivere correttamente anche con condizioni di rischio
e per rendere efficace qualsiasi politica in favore dell'ambiente.
Salvatore Scordo |