La risorsa acqua e i rischi per i paesi poveri
“L’acqua è una delle più importanti risorse naturali
necessaria allo sviluppo e alla sopravvivenza del genere umano.”
di
Antonio Di Maggio
Tutta l’acqua presente sulla Terra è ciclicamente
intercomunicante, cioè le acque lasciano continuamente, evaporando, la
superficie terrestre e vi ricadono come prodotto meteorico di vario
tipo, dando, di seguito, origine ai corsi d’acqua.
La superficie terrestre è coperta per il 71% di acqua di
cui il 97,5% è acqua salata. L’acqua dolce invece è presente per il 77%
nei ghiacciai e nelle nevi perenni e per il 22% nel sottosuolo.
La stessa rende all’uomo, in maniera diretta o indiretta,
molti servizi: biologici, igienici, produttivi e di trasporto (acqua per
uso domestico, ricreativo ed industriale, per l’irrigazione, per il
bestiame, per la navigazione, per la dispersione e l’eliminazione dei
rifiuti) ed è pertanto una risorsa, ossia un bene fondamentale per la
vita ed il benessere dell’uomo.
Rappresenta, infatti, un solvente universale nel quale si
sciolgono le molecole organiche dell’atmosfera; le reazioni chimiche,
infatti, in soluzione sono molto più veloci e complesse ed è proprio
grazie a queste reazioni che 3,5 miliardi di anni fa si sono formati
quei composti organici fondamentali per la vita sul nostro pianeta,
quali gli amminoacidi, gli zuccheri, gli acidi grassi, il cosiddetto
brodo primordiale.
Infatti non è casuale che abbia avuto, in passato, un
ruolo decisivo nei processi che hanno portato la formazione della vita e
che sia tuttora essenziale nei processi biologici che sono alla base
della materia vivente.
La risorsa idrica, non solo, rappresenta l’elemento
maggiormente diffuso sulla Terra, ma anche l’elemento costitutivo di
tutti gli esseri viventi.
L’Onu parla di crisi dell’acqua come del problema più
preoccupante tra quelli ambientali, in realtà l’acqua è una
preoccupazione relativa nei Paesi ricchi.
Il fabbisogno minimo biologico pro-capite è di 5 litri al
giorno, e per parlare di condizioni accettabili di vita occorrono 50
litri giornalieri pro-capite, ma per miliardi di persone ciò è
impossibile.
Nel mondo si passa da una disponibilità media di 425
litri al giorno di un abitante degli Stati Uniti a 10 litri al giorno di
un abitante del Madagascar.
Sono circa 29 i paesi in cui il 65% della popolazione è
al di sotto del fabbisogno idrico vitale, cioè il 20% della popolazione
mondiale.
L’acqua dolce per il consumo umano varia da 12.000 a
14.000 Km cubi annui, ma, a causa della rapida crescita della
popolazione la sua disponibilità è diminuita e continuerà a diminuire.
In realtà le risorse idriche rinnovabili sarebbero sufficienti a
soddisfare i bisogni dell’intera popolazione mondiale, ma a causa
dell’ineguale distribuzione delle risorse, sia a livello regionale che a
livello temporale, la disponibilità varia da Paese a Paese.
La scarsità della risorsa idrica si è tradotta, in alcuni
casi, in fenomeni di desertificazione dei suoli, cioè nella progressiva
riduzione dello stato superficiale del suolo e nella relativa perdita
della capacità produttiva, oltre che nell’espansione dei deserti
sabbiosi. Particolarmente interessata al fenomeno è l’Africa.
Questi fenomeni risultano essere particolarmente
preoccupanti se si considera il fatto che essi sono in progressivo
aumento, e che si prevede aumenteranno ulteriormente se non si porranno
dei freni a monte dei processi che hanno un certo impatto sull’ambiente.
I problemi di disparità tra Paesi non riguardano solo la
distribuzione, ma anche i consumi e la destinazione d’uso dell’acqua.
I consumi differiscono e sono proporzionali al reddito
medio pro-capite: consuma in media maggiori quantità di acqua un
abitante di un Paese Industrializzato rispetto ad un abitante di un
Paese in via di sviluppo, anche se vi sono Paesi industrializzati che
hanno consumi contenuti grazie ad un uso efficiente delle risorse e
Paesi in Via di Sviluppo che consumano grandi quantità di acqua a causa
dell’inefficienza dei sistemi di distribuzione. Anche la destinazione
d’uso dell’acqua differisce tra regioni più sviluppate e regioni meno
sviluppate: nel mondo l’agricoltura assorbe il 70% di acqua dolce; nei
Paesi in Via di Sviluppo l’agricoltura assorbe l’86%; nei Paesi
industrializzati è l’industria ad assorbire maggiori quantitativi di
acqua dolce (46%) mentre l’agricoltura si sposta in secondo piano con il
39%; infine nei Paesi ad economia in transizione agricoltura ne assorbe
circa il 52%.
In genere, può essere effettivamente usata solo una parte
delle risorse rinnovabili (9.000 Km cubi su 40.000 Km cubi).
Nei paesi tropicali, infatti, parte dell’acqua piovana
viene dispersa in seguito alle inondazioni. In altri paesi si consumano
quantitativi di acqua superiori a quelli disponibili, e per tale motivo
si ricorre a tecniche di trattamento, quali dissalazione delle acque di
mare con costi, però, nettamente superiori.
In linea di massima, il calo della disponibilità totale
di acqua è dovuto a fattori come la crescita demografica; il
depauperamento delle falde acquifere; ai cambiamenti climatici. Per
questi motivi molti paesi sono alla soglia della scarsità cronica: cioè,
quella situazione in cui, l’approvvigionamento idrico di un paese
diventa difficoltoso e la disponibilità pro-capite scende a 1700 m cubi
annui.
In aggiunta a queste problematiche si deve considerare lo
spreco d’acqua dovuto all’inefficienza dei sistemi di irrigazione e
delle reti idriche urbane.
Il consumo di acqua nel mondo negli ultimi anni è
aumentato di sei volte, a un ritmo più del doppio del tasso di crescita
della popolazione, tanto che la disponibilità pro capite dal 1950 al
1995 è passata da 17000 m cubi a 7500 m cubi e più di un terzo della
popolazione vive in condizioni di emergenza idrica.
Questo accade perché il consumo supera di oltre il 10% il
totale dell’offerta.
Se questo trend dovesse continuare, entro il 2025, due
terzi della popolazione si potrebbero trovare in condizioni di emergenza
(3,5 miliardi di persone).
Dunque l’acqua come risorsa, soggetta a consumi
incontrollati a livello planetario rimane sempre una risorsa naturale
rinnovabile, seppur anche una risorsa rara.
Per tale motivo, occorre cambiare mentalità nel senso di
ridurre i consumi e soprattutto ridurne gli sprechi.
Le perdite d’acqua risultano, infatti, del 20-50% nei
Paesi in Via di Sviluppo e di circa il 25% nei Paesi Industrializzati.
Tale divario, dipende principalmente dal fatto che i
Paesi Industrializzati hanno la possibilità ed i mezzi per adottare
nuove tecnologie in grado di ridurre gli sprechi ed in grado di
riciclare le risorse utilizzate per altri scopi attraverso la
depurazione.
I rimedi possibili per ridurre il consumo di acqua sono:
l’adozione della microirrigazione in agricoltura; il riciclo di acqua
nell’industria per ottimizzarne il consumo; inoltre la risorsa idrica
non deve risultare un bene economico in modo che i consumatori, siano
essi agricoltori, industriali o privati, siano costretti ad utilizzarla
in maniera efficiente: anche un prezzo di mercato adeguato potrebbe
essere incentivante.
Il problema della scarsità idrica dipenderà sempre più da
diversi fattori quali: la crescita della popolazione; l’adozione di
politiche inadeguate; il cambiamento degli stili di vita; le
contaminazioni di origine antropica; i cambiamenti climatici.
Il 20% dell’incremento della scarsità d’acqua mondiale
sarà dovuto ai cambiamenti climatici. Le zone umide saranno
probabilmente interessate da maggiori precipitazioni, mentre è prevista
una diminuzione e una maggior irregolarità nelle regioni propense alla
siccità, nonché in alcune zone tropicali e sub-tropicali.
La qualità dell’acqua peggiorerà con l’aumento della sua
temperatura e dei livelli d’inquinamento.
I Paesi con maggiori problemi resteranno Medio Oriente e
Nord Africa, a seguire Asia e Caraibi. Inoltre, lo spreco di risorse
idriche e la cattiva gestione delle acque di scarto sta inquinando in
tutti i Paesi le riserve non rinnovabili.
Il ciclo idrico naturale deve, quindi, essere
ripristinato per ridurre i costi di approvvigionamento del fabbisogno
idrico e della sua necessaria depurazione, attraverso tecnologie in
grado di portare a scarico delle acque controllate biologicamente e
chimicamente con scarso tasso d’inquinamento.
Per sostenere l’aumento della popolazione, che ha già
raggiunto i 6 miliardi di persone e che si prevede raggiungerà i 12
entro il 2025, l’Agenda 21 ha ribadito che la risorsa idrica sarà
l’elemento chiave dello sviluppo sostenibile.
Infatti se non si dispone di almeno 1.700 metri cubi per
persona, annui, è impossibile uno sviluppo economico capace di garantire
salute e benessere.
A tal proposito, sono in atto, anche a livello europeo,
progetti di ricerca che riguardino: la razionalizzazione delle risorse
in campo agricolo, industriale e civile; il riutilizzo della risorsa
idrica, previa depurazione (la legge Galli prevede incentivi economici
per chi riutilizza); la produzione di acqua dolce mediante dissalazione.
Gestire e razionalizzare le risorse in modo sostenibile significa: non
utilizzare più acqua di quanta la natura ne ripristini; la qualità
dell’acqua presente in natura deve essere garantita nel lungo periodo;
le aziende idriche devono garantire l’approvvigionamento a lungo
termine; il prezzo dell’acqua deve essere accessibile a tutti.
L’aumento della popolazione, lo sviluppo industriale e
l’utilizzo sempre più indiscriminato di prodotti chimici, soprattutto
nel campo dell’industria e dell’agricoltura, sono tra le principali
cause dell’aumento dell’inquinamento delle acque.
L’inquinamento ha così comportato una sostanziale
modifica della composizione iniziale della risorsa idrica che
difficilmente è in grado di eliminare gli inquinanti attraverso il
potere autodepurante proprio delle acque.
Le direttive UE indicano cosa significa inquinare le
acque, così esprimendosi: “L’inquinamento idrico è l’effetto dello
scarico in ambiente acquoso di sostanze o di energie tali da
compromettere la salute umana, da nuocere alle risorse dei viventi e,
più in generale, al sistema ecologico idrico e da costituire ostacolo a
qualsiasi legittimo uso delle acque, comprese le attrattive ambientali”.
Per inquinamento idrico s’intende, pertanto la deviazione
dello stato di normalità delle proprietà chimiche e fisiche dell’acqua.
Le acque naturali contengono sospesi, o in soluzione
composti, sia assunti direttamente dal terreno (sodio, ferro, fosforo,
silicio) sia prodotti da reazioni con anidride carbonica. Se la
concentrazione di tali sostanze è bassa, ne conferisce proprietà
pericolose.
Il Dlg 132/92, infatti, definisce inquinamento, lo
scarico di sostanze o energia effettuato direttamente o indirettamente
dall’uomo nelle acque sotterranee, le cui conseguenze siano tali da
mettere in pericolo o la salute umana o l’approvvigionamento idrico,
nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico idrico, o ostacolare
altri usi legittimi delle acque.
L’acqua è una risorsa, in quanto offre all’uomo servizi
biologici, igienici, produttivi e di trasporto ma a causa dello sviluppo
demografico ed economico è diventata però, ormai, scarsa ed inquinata.
Principali fonti di inquinamento delle acque sono
costituiti dagli effluenti urbani che contengono soprattutto sostanze
organiche biodegradabili provenienti dal metabolismo umano e prodotti
chimici provenienti dall’impiego domestico di prodotti quali detersivi.
Vi sono poi gli effluenti industriali che possono contenere composti
organici e inorganici provenienti da attività industriali quali:
chimica, farmaceutica, petrolchimica, cartaria, tessile, conciaria,
alimentare; i composti inorganici sono costituiti sostanzialmente da
cromo, cadmio, mercurio, piombo etc.
Gli effluenti agricoli sono costituiti da deiezioni
animali degli allevamenti, da fertilizzanti e antiparassitari che
mediante la pioggia, possono penetrare nel terreno fino a raggiungere la
falda acquifera, contaminando acqua potabile.
Abbiamo ancora fuoriuscite di petrolio ed inquinanti
organici che riguardano quella sostanze che hanno origine dalla
decomposizione di organismi animali e vegetali, o provengono dalla
trasformazione di sostanze organiche di sintesi delle attività umane:
scarichi domestici, industriali, dilavamento terreni (pesticidi),
attività petrolifera.
Questi inquinanti determinano un consumo di ossigeno
disciolto nell’acqua ed una produzione di anidride carbonica a causa
della degradazione, provocando danni alla flora e alla fauna.
Gli inquinanti inorganici sono costituiti da mercurio,
piombo, cromo, cadmio, provenienti da attività di industrie chimiche e
metallurgiche.
Non mancano poi a i microrganismi patogeni,
l’inquinamento termico e le sostanze ad azione nutritiva come carbonio,
fosforo e azoto che portano alla eutrofizzazione.
Questa patologia delle acque necessita di un particolare
cenno di approfondimento. L’eutrofizzazione è il termine che indica
l’eccessivo accrescimento e moltiplicazione disordinata di vegetali
acquatici, per effetto della presenza nelle acque di dosi elevate di
sostanze nutritive.
Principali responsabili sono i composti azotati e
fosfatici provenienti da scarichi civili o industriali e dal dilavamento
dei fertilizzanti in agricoltura.
Tali sostanze si definiscono nutrienti perché
indispensabili alla crescita di molti organismi unicellulari e
pluricellulari. Il riversarne grandi quantità in corpi d’acqua a debole
ricambio può determinare un anormale sviluppo di piante acquatiche.
All’aumentato consumo di ossigeno per attività respiratorie si
contrappone una produzione fotosintetica da parte di alghe e piante.
Se mancano alcuni elementi limitanti, come
l’irraggiamento solare, si hanno fenomeni di morte algale e accumuli di
sostanze organiche che determinano una elevata richiesta biochimica di
ossigeno non soddisfatta.
A seconda del grado di eutrofizzazione le acque si
distinguono in: acque oligotrofiche; acque mesotrofiche; acque
eutrofiche.
L’eutrofizzazione consiste in un insieme di cambiamenti
tipici quali: incremento della produzione di alghe e piante acquatiche,
l’impoverimento delle risorse ittiche, la generale degradazione della
qualità dell’acqua ed altri effetti che ne riducono e ne precludono gli
usi.ù
L’eutrofizzazione può essere causata da fattori naturali
o può avere origine antropica. Mentre la prima è caratterizzata da tempi
estremamente lunghi, l’altra differisce per la rapidità di
manifestazione.
Gli effetti sono costituiti dalla produzione di materiale
vegetale costituito da piante sommerse o da alghe microscopiche in
sospensione.
Dall’aumento del contenuto in ossigeno dell’acqua a causa
della fotosintesi innescata dalle alghe vive.
La biomassa algale forma una necromassa che tende a
sedimentare verso il fondo.
La formazione di composti provenienti dalla degradazione
anaerobica delle sostanze organiche.
Aumentano di concentrazione i nitriti, l’ammoniaca,
l’idrogeno solforato, il metano.
In ogni caso la possibilità che tali effetti si
manifestino dipende, a parità di input di nutrienti, dalle
caratteristiche fisiografiche del corpo idrico.
Antonio Di Maggio |