SENTIRE L’AMBIENTE: STORIA, IPOTESI
E PROBLEMI ATTUALI, PROSPETTIVE DI
UN’ EDUCAZIONE AMBIENTALE PER
L’UOMO CONTEMPORANEO
di Daniele Lanfranchi
In questi ultimi anni, ascoltando il telegiornale o
parlando con dei conoscenti, chiunque avrà affrontato un problema allo
stesso tempo grave ed imponente perché la specie umana riesca a
sopravvivere bene anche in futuro: il degrado dell’ambiente.
Ma, a differenza di quanto si possa pensate, non tutti
sanno cos’è l’ambiente. La risposta più semplice ed immediata potrebbe
essere “La natura” oppure “Il verde che ci circonda”, ma in realtà
dietro tutto ciò si cela una realtà ben più complessa e della quale
l’uomo deve rispettare le regole.
Gli effetti provocati da una gestione inadeguata delle
risorse naturali e dei territori, soprattutto nell’ultimo secolo, e le
stime relative ai profondi cambiamenti complessivi, hanno fornito
l’input per una rivoluzione copernicana relativa al concetto di
ambiente.
L’ambiente è dato dalla profonda e continua interazione
tra componenti naturali ed antropiche: in ogni territorio si
sovrappongono visibilmente le trasformazioni determinatesi nei tempi
brevi della storia e le modificazioni verificatesi nei “tempi lunghi”
della natura fino a formare un unicum organico ed inscindibile.
Attualmente è impossibile e per giunta anacronistico parlare di ambiente
senza considerare la presenza umana in quanto ogni area del pianeta ne
risente direttamente o indirettamente.
La nuova visione di ambiente costituisce la linea guida
per le attuali agenzie di protezione ambientale che non propongono un
anacronistico ritorno alla natura ma tendono ad una gestione integrata
nel territorio in cui esigenze economiche, benessere, progresso e tutela
ambientale costituiscano realtà compatibili.
In questi ultimi due secoli il “progresso” ha influito
pesantemente sull’ambiente, modificandolo o alterandolo con conseguenze
anche drammatiche per la stessa sopravvivenza della specie umana; si è
passati ad un mondo costituito per di più di cemento che “di verde”.
Il degrado ambientale, infatti, è strettamente collegato
al degrado della vita di tutti gli esseri viventi uomo compreso. Il
problema è complesso, molto più di quanto non sembri a prima vista,
poiché fa capo a un duplice squilibrio: quello del rapporto uomo-natura
e quello tra popoli avanzati tecnologicamente e popoli arretrati o in
via di sviluppo. Fin dalla propria comparsa sulla Terra l’uomo ha
segnato profondamente l’ambiente con la sua presenza per creare le
condizioni della propria sopravvivenza e del proprio benessere. Tutto
questo ha avuto un prezzo: più sofisticati si facevano gli strumenti del
progresso, più alto diveniva il prezzo da pagare, fino alle drammatiche
conseguenze che vediamo ogni giorno ai telegiornali e che rischiano di
trascinarci in una catastrofe irreversibile.
L’ambiente, oltre ad essere influenzato, influenza la
vita dell’uomo. Il fatto che esso sia costituito di cicli continui che
in più di un caso non possono essere interrotti, costringe l’uomo a
cercare soluzioni alternative. Basti pensare all’alternarsi delle
stagione e, di conseguenza al variare della flora e della fauna dei vari
ecosistemi; questi cambiamenti influenzano notevolmente la nostra vita
il nostro benessere. Per mantenere quest’ultimo, l’uomo però, cerca
sempre delle soluzioni che spesso mettono a repentaglio l’equilibrio
dell’ambiente.
D’estate, ad esempio, per sconfiggere il caldo
soffocante, si ricorre continuamente ai condizionatori, si utilizza
molto il frigorifero ed il freezer, si consuma molta più acqua. In
questo modo si sprecano le risorse di cui disponiamo e s’inquina l’aria
poiché i frigoriferi producono cloro fluoro carburi che trattengono il
calore all’interno dell’atmosfera.
Infinite ed inimmaginabili risultano essere le sorgenti,
le situazioni, e le cause di una fonte di inquinamento. Comunemente la
singola persona pensa ad un ambiente inquinato riferendosi
principalmente all’aria, all’acqua ed all’ormai noto problema dei
rifiuti.
Pochi di noi sanno però che ci sono altre decine e decine
di tipologie d’inquinamento che ogni giorno contribuiscono al degrado
ambientale: basti pensare al problema dell’elettrosmog, al problema
della gestione del “nucleare”, all’inquinamento acustico, del sottosuolo
finendo con f impatto ambientale devastante provocato da grandissime
opere ingegneristiche (linee ad alta velocità, autostrade…).
Andiamo ad analizzare però gli aspetti delle categorie
all’uomo più conosciute. L’aria non è più quella di una volta.
Particolato: è questa la nuova parola d’ordine in tema di inquinamento,
la cui corretta definizione scientifica è particelle totali sospese. Si
tratta di tutte quelle particelle solide o liquide disperse nell’aria,
tolte le polveri di origine naturale, le polveri più inquinanti sono
quelle emesse direttamente nell’aria da sorgenti quali: industrie,
centrali termoelettriche, cantieri e autoveicoli. Questi ultimi, in
particolare, sono quelli che più preoccupano gli esperti dell’ambiente,
soprattutto quando vengono superati i livelli soglia di concentrazione
nell’aria.
Oggi la classificazione di polveri più o meno inquinanti
si basa esclusivamente sul diametro delle particelle stesse. E’ stato
scientificamente provato che l’azione nociva delle polveri inquinanti è
inversamente proporzionale alle dimensioni delle particelle: quelle con
un diametro maggiore di 30 micron vengono fermate nella parte alta
dell’albero respiratorio e poi espulse con la tosse; quelle con un
diametro inferiore a 10 pm (caratterizzati dalla sigla PM10 o PM2,5 se
di dimensioni ancora più piccole), invece, riescono a raggiungere i
tratti successivi delle vie respiratorie. Ma non basta: le PM10 sono
denominate polveri inalabili, in quanto capaci di penetrare tutto il
tratto superiore dell’apparato respiratorio fino ai bronchi, mentre le
PM2,5 sono dette polveri respirabili poiché capaci di penetrare tutto
l’apparato respiratorio, cioè fino agli alveoli polmonari. Sono proprio
questi ultimi gli inquinanti più dannosi per la salute dell’uomo;
posizionandosi direttamente sulla mucosa dell’albero respiratorio e
sugli alveoli, infatti, queste piccolissime polveri possono causare
disturbi dell’apparato respiratorio, dalle semplici irritazioni alle più
gravi patologie.
L’azione dannosa è a due livelli: irritante e
cancerogena. Le polveri sottili possono, infatti, portare sostanze
irritanti come il carbone o idrocarburi tossici che svolgono un’azione
cancerogena. Gli interventi recenti delle amministrazioni locali con
targhe alterne o blocchi del traffico, sono dovuti ad un ristagno di
inquinante, il quale causa il superamento di una soglia di allarme.
Secondo uno studio del professor Fara i blocchi occasionali fatti la
domenica quando per altro c’è normalmente meno traffico, non fanno
granché.
Possono tuttavia servire a livello propiziatorio per
educare i cittadini a non usare la macchina: “E’un problema culturale,
bisognerebbe imparare a rinunciare ad un poco di caldo in casa e a usare
meno le automobili”. Non bastano gli interventi di emergenza ma servono
interventi strutturali come l’eliminazione dei mezzi più inquinanti, la
drastica riduzione del trasporto privato e rilancio della mobilita
pubblica. Obiettivi che si possono raggiungere con l’impegno di diverse
istituzioni ma anche con quello dei cittadini.
Dopo aver analizzatole problematiche di una componente
primaria per la sopravvivenza dell’uomo, andiamo ora ad analizzare il
problema dell’inquinamento su una seconda indispensabile materia:
l’acqua. L’uomo ha necessità di acqua per molti usi: per l’uso
quotidiano nelle abitazioni per l’irrigazione, per le attività
industriali, ecc. Il fabbisogno idrico è maggiore nei paesi più
industrializzati, dove il consumo di acqua può arrivare fino a 400-600
litri al giorno per abitante. A causa del rapido aumento della
popolazione mondiale e dell’aumento dei consumi, l’acqua sta diventando
un bene prezioso, soprattutto se di buona qualità. L’acqua dolce è la
più utilizzata: essa può essere presa da riserve sia superficiali che
sotterranee. Le modalità di prelievo naturalmente sono diverse nei due
casi.
Ad esempio, l’acqua dei fiumi può essere raccolta e,
quindi, sfruttata tramite la costruzione di dighe. L’acqua così raccolta
è utilizzabile per vari scopi, come l’irrigazione, la produzione di
energia idroelettrica, lo svolgimento di attività ricreative. Le acque
piovane possono essere raccolte in bacini artificiali realizzati
generalmente all’interno di conche naturali nel terreno. L’acqua
sotterranea contenuta nelle falde acquifere può essere prelevata tramite
pozzi Anche l’acqua che sgorga dalle sorgenti può essere prelevata,
incanalata ed utilizzata.
L’acqua prelevata per uso potabile molto spesso richiede
trattamenti di purificazione prima di arrivare ai centri urbani tramite
gli acquedotti. Inoltre, devono essere effettuati trattamenti di
disinfezione, in genere tramite l’aggiunta di cloro all’acqua. L’acqua
destinata ad uso potabile deve essere sottoposta a continui controlli
per accertare che non contenga sostanze nocive. Quando l’acqua dolce è
scarsa rispetto ai fabbisogni, può essere utilizzata acqua marina” dopo
aver eliminato gran parte dei sali. Purtroppo, però, il processo di
dissalazione è molto costoso.
Poiché l’acqua è una risorsa importantissima per l’uomo,
si deve fare attenzione a non inquinarla e a non impoverirne le riserve
con un uso eccessivo ed incontrollato. Purtroppo, però, i problemi di
inquinamento e sovrasfruttamento dell’acqua stanno diventando sempre più
gravi, soprattutto nei paesi industrializzati. Basti pensare ai rifiuti
solidi o agli scarichi industriali che vengono continuamente riversati
nei corsi d’acqua. Ma anche le acque sotterranee sono soggette ad
inquinamento, sebbene in modo meno evidente: ad esempio, i pesticidi ed
i concimi utilizzati in agricoltura penetrano nel terreno e, trasportati
dall’acqua che si infiltra, possono raggiungere le falde acquifere. Ciò
significa che l’acqua estratta coni pozzi, spesso destinata ad uso
potabile, può essere interessata da questo tipo di inquinamento, che
viene chiamato “diffuso” quando le sostanze inquinanti vengono
distribuite su un’area piuttosto ampia.
Fonti di inquinamento “puntuale” possono invece essere
rappresentate da una discarica, un allevamento di suini, un distributore
di benzina, ecc. In tutti questi casi, le sostanze inquinanti prodotte
possono contaminare sia i corpi idrici superficiali che le falde
sotterranee. Le acque sotterranee sono più protette dai fenomeni di
inquinamento rispetto a quelle superficiali, poiché le fonti inquinanti
generalmente si trovano in superficie. Una volta verificato
l’inquinamento delle acque sotterranee, è però più difficile da
eliminare.
Ultimo aspetto che analizziamo è quello dello smaltimento
dei rifiuti. Un tempo il problema dei rifiuti non era molto sentito.
Oggi, la società è cambiata e con essa il modo di vivere: si è diffusa
la mentalità dell’usa e getta, ovvero il continuo consumo degli oggetti
con enormi quantità di scarti. L’eccezionale crescita demografica degli
ultimi decenni e l’esplosione dei consumi nei paesi industrializzati
costituiscono serio motivo di preoccupazione anche per la qualità
dell’ambiente in cui viviamo. Questa spazzatura, che
produciamo in grandi quantità giorno dopo giorno, è composta per la
maggior parto, da sostanze non biodegradabili o tossiche. Cosa fare dei
rifiuti che produciamo in abbondanza è uno dei problemi più rilevanti
del nostro tempo. Promuovere una corretta gestione dei rifiuti, quindi,
coniugando educazione, modelli operativi e tecnologie adeguate,
costituisce un imperativo per ogni comunità: allontanare o rimuovere il
problema certo non è utile.
Prioritaria ovviamente è la riduzione dei rifiuti,
limitandone la produzione e privilegiando il riuso di oggetti e
materiali. Rimane però il problema di come trattare quelli prodotti.
Allo stato attuale possiamo contare su tre sistemi di trattamento:
raccolta differenziata e riciclaggio, termovalorizzazione, discarica
controllata. Il riciclaggio consiste nella separazione e nel recupero di
materiali ( carta, vetro, plastic4 metalli ) che possono essere
riutilizzati o reintrodotti nel ciclo produttivo. La termovalorizzazione
impiega come combustibile per la produzione di energia i rifiuti che non
possono essere riciclati. Nella discarica controllata, invece, in scavi
protetti ed impermeabili, i rifiuti vengono seppelliti.
Una corretta gestione dei rifiuti impone l’utilizzo
razionale di tutti e tre questi sistemi, con un tendenziale superamento
dello smaltimento in discarica.
Finita questa breve carrellata di problematiche, bisogna
considerare il fatto che non sempre si riescono a vedere a breve
distanza temporale le conseguenze distruttive delle azioni antropiche
dell’uomo. Solamente da qualche anno riusciamo a vedere due grandi
problematiche che hanno ferito e stanno uccidendo il nostro pianeta:
l’effetto serra ed il così detto “buco nell’ozono”. Ma cosa sono? Perché
sono nati? L’uomo può invertire la tendenza di questi grandi problemi?
L’Effetto Serra è un fenomeno provocato dalla troppa anidride carbonica
presente nell’atmosfera, che non lascia disperdere nello spazio le
radiazioni solari di calore favorendone l’accumulo.
Esso ha come conseguenza l’aumento della temperatura che
potrebbe, in alcuni decenni, far aumentare notevolmente il livello dei
mari a causa dello scioglimento dei ghiacciai continentali e
dell’espansione termica. L’aumento della temperatura media del globo di
2-3 “C sarebbe sufficiente ad innalzare il livello del mare di circa 70
cm. con conseguenze catastrofiche per tutto il pianeta.
Un’altra conseguenza dell’Effetto Serra, per altro già
evidente, sono gli improvvisi sbalzi climatici: ondate di caldo e di
freddo fuori stagione che vanno a danneggiare le coltivazioni e la
crescita della vegetazione, il formarsi di lunghi periodi di siccità,
alternati a grandi alluvioni, tempeste ed uragani più frequenti.
Continuando di questo passo il nostro mondo rischia di diventare come il
pianeta Venere: una bolgia infernale dove un’atmosfera 100 volte più
densa di quella della terra, con il 90% di CO2, ha causato, con il suo
enorme Effetto Serra un aumento di temperatura superiore ai 500 °C. Il
secondo problema lo troviamo invece nella stratosfera, zona
dell’atmosfera terrestre compresa tra i 20 ed i 50 km dal nostro pianeta
dove la presenza quasi esclusiva dell’ozono protegge il globo terrestre
ed i suoi abitanti dalle dannose radiazioni solari ultraviolette che non
schermate da questa fascia protettiva potrebbero apportare gravi danni
agli esseri viventi. Nello scontro con l’ozono, questi raggi vengono
bloccati perdendo la loro energia. Questa fascia protettiva può venire
“usurata”, e per “buco nell’ozono” s’intende una riduzione dello strato
di questo gas, scoperta negli anni ‘70 nella stratosfera sopra il polo
Sud, dapprima, e poi riscontrata anche al polo Nord ed in altre
località.
Le attività umane possono favorire tale danno, in
particolare con l’immissione nell’atmosfera dei Clorofluorocarburi,
composti organici comunemente impiegati come propellenti per bombolette
pressurizzate.
Andiamo brevemente a trattare ora gli effetti di alcune
sostanze chimiche di uso quotidiano, sulla salute dell’uomo e su quella
dell’ambiente. L’Anidride carbonica dovuta ai processi di combustione
per produrre energia e per il riscaldamento domestico, fa aumentare la
temperatura della superficie terrestre. L’ Ossido di carbonio prodotto
dalle industrie, dalle raffinerie del petrolio e dalle macchine, se
inalato, può essere mortale. L’ Anidride solforosa prodotta dai fumi
delle centrali elettriche, dalle fabbriche, automobili, provoca lesioni
a carico dell’apparato respiratorio. Gli Ossidi di azoto prodotti da
aerei, dai forni, dagli inceneritori, dai fertilizzanti,formano lo smog
fotochimic4 provocando bronchiti a neonati e anziani. I Fosfati
provenienti dai fertilizzanti chimici usati in quantità eccessive,
provocano inquinamento a laghi e fiumi. Il Piombo prodotto dalle
industrie chimiche, attacca gli enzimi ed altera il metabolismo
cellulare. Il D.D.T. e insetticidi contribuiscono a far sparire molti
insetti, crostacei e possono passare tramite le acque di scolo al mare,
contaminandolo, causando così moria di pesci. Radiazioni derivanti dalla
produzione d’energia atomica da scoppio di bombe, dalle navi a
propulsione nucleare, possono provocare tumori e modificazioni
genetiche.
Ma come sta rispondendo l’Italia, l’Europa ed il Mondo
intero al problema dell’inquinamento ed al conseguente degrado
ambientale?
In Italia troviamo nel lontano 1966 una delle prime leggi
a tutela dell’ambiente. La “legge antismog” fu seguita dalla legge Merli
per la tutela del patrimonio idrico (1976), dalla legge sulla tutela del
paesaggio, la cosiddetta “legge Galasso”(1985) e del Decreto Ronchi. Di
particolare importanza fu l’introduzione del VIA. La valutazione
d’impatto ambientale è un procedimento che permette di valutare gli
effetti sull’ambiente di un progetto che si intende realizzare. Ogni
progetto che supera le dimensioni minime tipiche (un’autostrada, una
fabbrica, un porto e simili) deve contenere una relazione sulle
conseguenze prevedibili che l’opera potrà produrre sull’ambiente, in
modo che l’autorità che deve autorizzarla possa procedere conoscendo le
conseguenze ambientali dell’iniziativa ed, eventualmente, possa
bloccarla se dall’indagine emergessero probabili conseguenze
inaccettabili.
La valutazione dell’impatto ambientale deve considerare
gli effetti sia diretti sia indiretti che il progetto produce nei
confronti: dell’uomo, della fauna e della flora, del suolo, dell’acqua”
dell’aria, del clima e del paesaggio e del patrimonio culturale.
In Europa gli Stati che aderiscono alla Comunità Europea
scelsero, nei primi anni ottanta, di delegare alla Comunità il compito
di elaborare una legislazione ambientale che valesse per tutto il
continente.
La ragione di questa scelta è molto semplice. Se un
singolo stato stabilisce norme ambientali severe, finirà per penalizzare
le proprie imprese nella concorrenza con quelle di altri paesi che
adottano misure meno restrittive. La conseguenza sarà che chi inquina di
più avrà più successo nel mercato internazionale. E’ esattamente quello
che succedeva in Europa. I paesi più avanzati sul piano ambientale
pretesero perciò che le nonne ambientali fossero emanate a livello
europeo in modo che tutti gli stati membri fossero costretti ad
adeguarsi e che tutte le imprese europee potessero concorrere ad armi
pari. Ciò si risolse con un vantaggio anche per i paesi che, come
l’Italia avevano una legislazione più arretrata: essi furono infatti
obbligati ad adottare leggi più severe, che forse da soli non sarebbero
riusciti ad approvare, e, in definitiva a migliorare lo stato del loro
ambiente.
Questa posizione è stata ufficializzata nel 1987: la
Comunità Europea, in quanto organizzazione sopranazionale, può emanare
leggi che hanno un potere superiore alle leggi dei singoli stati membri.
In particolare la Comunità può emanare due tipi diversi di “ leggi “
europee: i regolamenti europei e le direttive. I primi sono indirizzati
direttamente ai cittadini degli stati membri e sono immediatamente
obbligatori per tutti e le seconde sono indirizzate agli stati membri e
li obbligano a modificare la loro legislazione secondo il contenuto
della direttiva stessa. Le direttive europee si limitano a fissare i
fini da raggiungere, ma lasciano agli stati la scelta delle forme e dei
mezzi da adottare.
Ovviamente occorre anche una normativa a livello
mondiale. L’ 11 dicembre 1997 i governi degli Stati membri dell’UNFCCC
(Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici),
preso atto dell’inefficacia dell’azione delle nazioni per limitare le
emissioni di gas nocivi nell’atmosfera, hanno istituito il protocollo di
Kyoto. L’obiettivo del protocollo è una riduzione complessiva delle
emissioni, allo scopo di arrestare la progressiva crescita dell’effetto
serra, responsabile del generale surriscaldamento del pianeta, e quindi
dello scioglimento dei ghiacciai e dei mutamenti climatici. Perché il
protocollo entrasse in vigore, occorreva che 1o ratificassero almeno 55
Stati, in rappresentanza di almeno il 55% delle emissioni ad effetto
serra, condizione raggiunta dopo la ratifica da parte della Russia.
Il quadro di obblighi previsti dal protocollo di Kyoto
distingue essenzialmente due fasce di Paesi, quelli ‘industrializzati” e
quelli in “via di sviluppo”. La distinzione si basa su una constatazione
e su un’esigenza: in primis la constatazione che la gran parte
dell’inquinamento atmosferico globale è stato provocato da un ristretto
numero di Paesi, quelli industrializzati e che sono quindi questi,
assumendosi le loro responsabilità gli attori che dovranno compiere gli
sforzi maggiori per la riduzione delle emissioni.
Al contempo, ai Paesi in via di sviluppo è riconosciuto
il diritto a seguire un proprio sviluppo industriale, ne consegue che
avranno margini di manovra maggiori, pur dovendo rispettare alcuni
principi guida, in mancanza dei quali l’eventuale riduzione di emissioni
conseguita dai Paesi industrializzati rischierebbe di essere vanificata
dall’aumento di quelle dei Paesi in via di sviluppo.
Statisticamente parlando, i paesi industrializzati sono
ora tenuti a ridurre le loro emissioni complessive del 5,2% rispetto
alle emissioni globali misurate nel 1990. Questo obiettivo dovrà essere
raggiunto entro il periodo 2008-2012. Per l’Unione Europea la riduzione
dovrà essere dell’8%, per il Giappone del 5%, per la Russia non dovranno
essere mantenuti i livelli del 1990, per i Paesi in via di sviluppo sarà
possibile aumentare le emissioni di un certo livello.
Dopo aver analizzato ciò che concerne l’aspetto più
scientifico ed ingegneristico del problema ambientale, andiamo ora ad
analizzare quello che risulta essere l’aspetto etico e teorico del
problema. Molto interessante a proposito risulta essere un articolo del
professor Renato Ricci pubblicato nel maggio 2003.
Il problema ambientale ha aspetti etici che non possono
essere disgiunti da riferimenti di carattere socio-economico, da una
parte, e di carattere culturale, dall’altra. In effetti, oggi, buona
parte dell’interventismo ecologico ha vere e proprie caratteristiche di
business economico e, per ciò che riguarda la cultura ambientale,
dovrebbe essere chiaro che condizione necessaria è la corretta
conoscenza nei suoi aspetti scientifici e tecnologici. Quando si parla
di ambiente si dovrebbe intendere non soltanto l’habitat naturale ma
anche quello creato dall’uomo, con la sua scienza e la sua arte. Né si
può parlare di etica e ambiente e del loro rapporto prescindendo da un
termine essenziale certamente necessario anche se non sufficiente, che è
la conoscenza corretta e completa del problema di cui si parla.
Nel caso ambientale non vi è dubbio che le conoscenze
scientifiche e non gli slogan propagandistici sono sicuramente la
componente necessaria. In effetti il rischio, nel settore ambientale e
non solo, è che parlare di etica prescindendo da una razionale
costruzione scientifica potrebbe privilegiare l’aspetto ideologico
condizionando le scelte politiche.
Poiché nell’etica ambientale la questione essenziale è il
rapporto uomo-natura, sarebbe opportuno precisarne il significato. Si
può cosi parlare di intelligibilità della natura, intesa come approccio
scientifico nel vero senso del termine, senza pretendere che la scienza
ci offra di per sé soluzioni etiche che appartengono alla sfera
socio-politica.
Non è la scienza che costruisce visioni etiche pur
fornendo le conoscere necessarie a definire motivazioni e conseguenze di
atti politici e comportamenti sociali. Semmai ci sono state impostazioni
etiche sulla scienza; basti ricordare le dottrine naziste sulla razza e
l’ideologia materialistico - dialettica del comunismo rispetto alla
biologia e alla fisica moderna, senza dimenticare certe persecuzioni
religiose.
Atteggiamenti singoli di asservimento a regimi
assolutistici o di condiscendenza a posizioni di potere possono esservi,
così come concessioni a posizioni ideologiche dogmatiche. Ma ciò
riguarda la sfera individuale e non la scienza come comunità culturale
che non è dispensatrice di nessuna etica né fornitrice di comportamenti
moralistici ma neanche, come spesso si crede anche per effetto di
disinformazione o di ignoranza, spesso coltivata ad arte, fucina di
miracoli, da una parte, o di catastrofi, dall’altra.
Ed è proprio rispetto ai problemi ambientali che questo
rischio viene corso molto di più, perché certe informazioni considerate
corrette non lo sono e si privilegia l’ideologia rispetto alla
conoscenza scientifica nel senso proprio del termine. Certe affermazioni
di carattere ambientale sono spesso dettate da propagandismo ideologico,
se non addirittura da strumentalizzazione di carattere politico. Casi
esemplari sono la demonizzazione dell’energia nucleare, l’ostracismo
alle ricerche biotecnologiche, ai procedimenti tecnologici avanzati in
tema di smaltimento dei rifiuti, il problema dell’uranio impoverito, il
catastrofismo correlato ai cambiamenti climatici imputati all’effetto
serra di origine antropica e, infine, il cosiddetto elettrosmog o
inquinamento elettromagnetico.
La correttezza dell’informazione può non essere
sufficiente, ma è certo una condizione indispensabile per una seria
valutazione e una chiara politica ambientale, sorretta da principi
etici. La scienza non pretende di assumere verità dogmatiche ma
costruisce conoscenze che vanno sottoposte a verifica e sono i risultati
e le applicazioni il banco di prova.
Se in altri campi della vita sociale valesse, almeno in
una certa misura, tale criterio, forse non ci sarebbe bisogno di
aspettare anni e decenni di lutti e sciagure per far cadere imperi
totalitari o qualche muro di Berlino.
Proprio in relazione a problemi etici è paradigmatica la
questione demografica. Poiché essa è ovviamente collegata al fabbisogno
energetico e alla qualità della vita, i modi evidenziati per risolverla
vanno visti con una certa lucidità e giudicati con intelligenza, senza
false ipocrisie.
C’è un modo ecologico e tuttavia perverso: quello di
lasciar fare alla natura. La selezione naturale, se non è contrastata, è
uno strumento formidabile. Se ne possono aggiungere altri, pure
naturali, oppure artificiali, nel caso di un qualche intervento umano:
le catastrofi naturali, le carestie, la fame, le guerre. A tale
proposito vi può essere qualche dubbio sull’origine non naturale delle
guerre, data la conflittualità storicamente esistente nelle società
umane, se ci si dimentica che non il DNA ma la cultura e, in conseguenza
la civiltà della specie umana è l’unico antidoto alla violenza e ai
conflitti; questa civiltà si afferma nella democrazia aiutata dalla
scienza. Orbene: l’uomo è un animale intelligente e forse per questo
troverà il modo di non morire in un sistema che si riscalda o si
congela. Ma il passato ci insegna che il fatto di intervenire spesso gli
ha risolto enormi problemi di sopravvivenza di evoluzione sociale e
civile.
Due esempi che potrebbero sembrare provocatori: una prima
rivoluzione anti-ecologica dell’uomo è
stata l’invenzione dell’agricoltura e cioè il primo
esperimento biotecnologico di massa, che altro non è che l’intervento
dell’uomo sulla natura per provvedersi di cibo più abbondante e
risolvere quindi il problema della fame. Una seconda rivoluzione
anti-ecologica è stata indubbiamente la medicina e la prevenzione
sanitaria che, debellando, tra l’altro, la mortalità infantile, ha
bloccato la selezione naturale.
Quali principi etici hanno guidato queste importanti
rivoluzioni e qual è, in tal caso, il corretto rapporto fra etica e
ambiente? Si noti che è solo attraverso l’evoluzione culturale che si
arriva a comprendere il problema etico dello sviluppo demografico; esso
può essere affrontato alzando il tenore della qualità della vita senza
imposizioni demagogiche o imperialiste.
Del resto, il problema si amplifica se il discorso
contempla le esigenze del Terzo mondo, e qui entra in gioco il
significato, visto che se ne parla spesso, di sviluppo sostenibile. Non
si può parlare di sviluppo sostenibile se non si tiene conto che il
Terzo mondo ha fame di energia di progresso, di civiltà. E allora tutti
i criteri per diminuire le emissioni di anidride carbonica e intervenire
sul possibile effetto serra, i problemi del buco dell’ozono, le
questioni della biodiversità e la protezione delle specie in pericolo di
estinzione e altro non possono prescindere dal fatto che popolazioni
enormi si affacciano alla ribalta del mondo industrializzato e chiedono
benessere, se non pari, almeno vicino.
Dove sta dunque l’etica rispetto ai problemi ambientali,
includendovi anche l’habitat e il grado di civiltà delle popolazioni
umane? Il problema etico nei riguardi dell’ambiente non è solo la
predicazione e la sua traduzione socio-politica di comportamenti umani
volti a salvaguardare l’habitat naturale e a rispettare la natura, senza
però farne una specie di divinità pagana; è anche il ricorso alla
conoscenza, che solo la ricerca scientifica e l’onestà intellettuale ci
possono dare, rendendocene consapevoli e contrastando la disinformazione
strumentale o di comodo.
E la chiesa? Qual è il pensiero della chiesa cattolica in
campo ambientale? Un’ottima risposta la possiamo ottenere dalle parole
del messaggio di Giovanni Paolo II per la giornata mondiale della pace.
Si avverte ai nostri giorni la crescente consapevolezza
che la pace mondiale sia minacciata, oltre che dalla corsa agli
armamenti, dai conflitti regionali e dalle ingiustizie tuttora esistenti
nei popoli e tra le nazioni, anche dalla mancanza del dovuto rispetto
per la natura, dal disordinato sfruttamento delle sue risorse e dal
progressivo deterioramento della qualità della vita. Tale situazione
genera un senso di precarietà e di insicurezza che a sua volta favorisce
forme di egoismo collettivo, di accaparramento e di prevaricazione. Di
fronte al diffuso degrado ambientale l’umanità si rende ormai conto che
non si può continuare ad usare i beni della terra come nel passato. Sta
così formandosi una coscienza ecologica, che non deve essere
mortificata,ma anzi favorita in modo che si sviluppi e maturi trovando
adeguata espressione in programmi ed iniziative concrete. Nelle pagine
della Genesi, ricorrono come un ritornello le parole: < E Dio vide che
era cosa buona >. Ma quando, dopo aver creato il cielo e il mare, la
terra e tutto ciò che essa contiene, Iddio crea l’uomo e la donna,
l’espressione cambia notevolmente: < E Dio vide quanto aveva fatto, ed
ecco era cosa molto buono > (Gen 1,31). All’uomo e alla donna Dio affidò
tutto il resto della creazione, ed allora come leggiamo - poté riposare
< da ogni suo lavoro > (Gen 2,3).
Queste considerazioni bibliche illuminano meglio il
rapporto tra l’agire umano e l’integrità del creato. Quando si discosta
dal disegno di Dio creatore, l’uomo provoca un disordine che
inevitabilmente si ripercuote sul resto del creato. Ci si chiede,
pertanto, con ansia se si possa ancora porre rimedio ai danni provocati.
E’ evidente che un’idonea soluzione non può consistere semplicemente in
una migliore gestione, o in un uso meno irrazionale delle risorse della
terra. Pur riconoscendo l’utilità pratica di simili misure, sembra
necessario risalire alle origini e affrontare nel suo insieme la
profonda crisi morale, di cui il degrado ambientale è uno degli aspetti
preoccupanti.
Alcuni elementi della presente crisi ecologica ne
rivelano in modo evidente il carattere morale. Tra essi, in primo luogo,
è da annoverare l’applicazione indiscriminata dei progressi scientifici
e tecnologici.
Molte recenti scoperte hanno arrecato innegabili benefici
all’umanità; esse, anzi, manifestano quanto sia nobile la vocazione
dell’uomo a partecipare responsabilmente all’azione creatrice di Dio nel
mondo. Si è, però, constatato che la applicazione di talune scoperte
nell’ambito industriale ed agricolo produce, a lungo termine, effetti
negativi. Ciò ha messo crudamente in rilievo come ogni intervento in
un’area dell’ecosistema non possa prescindere dal considerare le sue
conseguenze in altre aree e, in generale, sul benessere delle future
generazioni.
Giovanni Paolo II fa riferimento anche a gli uomini e le
donne che non hanno particolari convinzioni religiose. Essi per il senso
delle proprie responsabilità nei confronti del bene comune, riconoscono
il loro dovere di contribuire al risanamento dell’ambiente. A maggior
ragione, coloro che credono in Dio creatore e, quindi, sono convinti che
nel mondo esiste un ordine ben definito e finalizzato devono sentirsi
chiamati ad occuparsi del problema. I cristiani, in particolare,
avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei
confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede. Essi,
pertanto, sono consapevoli del vasto campo di cooperazione ecumenica ed
interreligiosa che si apre dinanzi a loro.
Concludendo la natura è per l’uomo una fonte di
sentimenti e forti emozioni.
Tutti ci saremmo messi a fantasticare osservando il sole
sorgere, o la luna brillare nel cielo buio circondata dalle stelle
lucenti che sembrano quasi ballarle attorno. Oppure osservare le rondini
volare nel cielo azzurro vicino al sole splendente, quasi giocassero a
prendersi l’un l’altra, o la sera quando in gruppo volano a cercare un
riparo più caldo. O ancora osservare il mare illuminato dalla luna, o
un cavallo correre libero in mezzo alla verde prateria. Queste s ancora
altre sono le immagini che rischiamo di perdere per sempre se non
cercheremo di rispettare un pò di più l’ambiente.
Giovanni Paolo II disse: “E’ il rispetto per la vita e,
in primo luogo, per la dignità della persona umana la fondamentale icona
ispiratrice di un sano progresso economico, industriale e scientifico”.
Daniele Lanfranchi (Nov. 2009) |
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