Sviluppo sostenibile ed ecologia urbana
di
Flavia Pollonio
Prima della
nascita della parola “ecologia” a metà ottocento, molti hanno riflettuto
su questioni, anticipato punti di vista che saranno caratteristici del
pensiero ecologico vero e proprio.
Accanto
all’invenzione del termine ecologia, un altro “fatto” segna lo
spartiacque tra i primi studiosi ed i contemporanei: il progressivo
esplicitarsi della crisi ecologica come problema specifico della
modernità, ed in particolare della modernità occidentale ed industriale.
Etica dell'ambiente.
L’idea che
il rispetto per la natura e per la vita degli animali abbiano un
fondamento etico risale molto indietro nel tempo: dal pensiero
francescano al romanticismo di Thoreau, all’ecocentrismo
preservazionista di Leopold, fino alle concezioni proto animaliste di
filosofi e pensatori come Voltaire, Michelet, Bentham. Ma solo a partire
dagli anni ’70 del novecento in connessione con l’imporsi del tema della
crisi ecologica e con la nascita dell’ambientalismo, nonché di un
complessivo ritorno dell’etica pratica di derivazione kantiana, questa
problematica ha cominciato a formare l’oggetto di uno specifico
indirizzo filosofico, l’etica dell’ambiente, sviluppatosi soprattutto
nel mondo anglosassone.
Pluralità di
pensieri sintetizzabili nell’alternativa tra concezioni che riconducono
la difesa dell’ambiente ad un interesse umano ed altre che l’affermano
come un diritto intrinseco del mondo naturale.
Sviluppo
sostenibile
In una fase
più recente l’etica dell’ambiente ha allargato il proprio sguardo anche
a temi non propriamente legati al rispetto della natura, per esempio
alla questione dei doveri dei contemporanei verso le generazioni
future-fondativa del concetto di sviluppo sostenibile- e alle
riflessioni sul tema del limite alla libertà di manipolazione umana
della natura.
Lo sviluppo
sostenibile è il modello di sviluppo economico che si basa
sull’obiettivo di rendere compatibile la crescita della ricchezza
prodotta con la salvaguardia degli equilibri ecologici e dell’integrità
degli ecosistemi, nonché con l’interesse delle generazioni future.
E’ il
rapporto Brundtland (1987) che definisce lo sviluppo sostenibile come
“la capacità di assicurare il soddisfacimento dei bisogni del presente
senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare
il loro bisogni”. Questo tema è trattato da ambientalisti ed
economisti, secondo diverse interpretazioni e distinguendo tra
“sviluppo” e crescita”. Un altro interessante punto di vista è quello di
William Rees (1990) in cui si definisce sostenibile, da un punto di
vista ambientale, uno sviluppo che non danneggia il sistema ecologico da
cui dipendono le comunità. Il concetto di “capacità di carico” è quindi
centrale alla definizione di sviluppo sostenibile.
Per la
popolazione umana questa può essere misurata con i livelli massimi di
uso delle risorse ed emissioni che possono essere sostenuti ed assorbiti
in definitivamente in una data regione del pianeta, senza danneggiare
progressivamente l’integrità funzionale e la produttività di importanti
ecosistemi da cui dipende la vita del pianeta. Esiste inoltre una
questione di equità infra e inter-generazionale: il 25% della
popolazione mondiale che vive nei paesi sviluppati consuma circa l’85%
delle risorse non rinnovabili e tra un terzo e la metà del cibo
prodotto. Il progetto di una società sostenibile dal punto di vista
ambientale implica una diversa distribuzione delle risorse ed una
maggiore equità. L’idea di uno sviluppo sostenibile sottointende quindi
che sviluppo e ambiente siano legati sia dalla capacità riproduttiva
dell’ambiente che dalla necessità di soddisfare i bisogni della
popolazione mondiale presente e futura.
Ecologia
urbana
White e
Whitney (1992) sostengono che la città per essere sostenibile non deve
eccedere la capacità di carico delle regioni di supporto o hinterland.
Oggi nessuna città è in grado di sostenere se stessa contando solo sulle
risorse del suo hinterland. O, per meglio dire, i confini delle regioni
di supporto dei centri urbani si sono estesi oltre quelli regionali e
continentali.
Per questo motivo l’ International Institute for
Environment and Development sottolinea che la città sostenibile non va
intesa come improbabile progetto di città autonoma, quanto piuttosto
come città che è in grado di soddisfare i bisogni dei suoi abitanti
senza imporre una domanda insostenibile sulle risorse naturali ed i
sistemi locali e globali. Secondo White e Whitney per passare da un
modello insediativo insostenibile ad uno sostenibile bisogna considerare
tre elementi. Il primo è che l’insediamento urbano minimizzi i livelli
di entropia del sistema urbano adottando la migliore tecnologia
disponibile.
Il secondo è
che, supponendo che l’insediamento urbano abbia raggiunto i massimi
livelli di capacità di carico del suo hinterland, si approvvigioni da
altre regioni sulla base di un reale surplus ecologico di queste
regioni. Il terzo elemento è un meccanismo di compensazione secondo cui
l’insediamento restituisce sotto altra forma il valore sottratto agli
altri insediamenti, includendo in questo il costo economico, sociale ed
ambientale. In questo modello ci sono però difficoltà per stabilire le
forme di compensazione e per misurare i benefici persi da parte degli
insediamenti che li cedono all’insediamento che ne ha necessità. Inoltre
gli scambi tra le regioni sviluppate e quelle in via di sviluppo creano
forme di dipendenza da parte delle regioni più povere, le quali
esportano surplus ecologico per accedere al mercato economico
internazionale e per pagare i debiti accumulati, con la conseguenza di
accelerare l’erosione del loro capitale naturale.
Molte città
del mondo, notevoli per le dimensioni e per gli aspetti artistici e
storici, come Lisbona, Los Angeles, San Francisco, Tokio, Catania e
Venezia, sono state edificate in contesti soggetti a forti pericoli
ambientali (compresi quelli igienico-sanitari), mentre altre sono
diventate pericolose per il modo in cui erano state costruite.
Alcune
malattie originate dalle nuove tecnologie o dai nuovi prodotti chimici,
chiamate anche “tecnopatie”, quali la asbestosi ed il saturnismo, sono
dei pericoli ambientali creati dall’uomo. Un incendio di vaste
proporzioni che si verifica in una città rappresenta un pericolo
antropogenico. Altri pericoli che minacciano le città, come i terremoti
e gli uragani, sono invece di origine naturale.
Alcuni
pericoli ambientali possono essere parzialmente previsti, almeno per
quanto riguarda il “dove” e molto meno per il “quando”, come
una’inondazione in una valle fluviale od un episodio di tipo “acuto” di
inquinamento atmosferico da parte di uno stabilimento industriale.
Certi
pericoli erano del tutto insospettati durante lo sviluppo della
tecnologia relativa o dell’attività, come per esempio i possibili
effetti dei CFC (clorofluorocarburi) sullo strato di ozono dell’alta
atmosfera o dei fertilizzanti azotati sulla qualità delle acque
sotterranee.
Tra i
pericoli naturali si possono considerare quelli geologici (sismico,
vulcanico, idrogeologico, anche se quest’ultimo è spesso innescato
dall’uomo), quelli climatici (uragani, cicloni tropicali e tempeste,
siccità, onde di calore, etc.) e quelli biologici (virus e parassiti).
La forma
della città ed i materiali di cui è costituita possono aggravare sia la
pericolosità naturale, sia quella antropogenica.
Gli
strumenti di indagine, raccolta, elaborazione, archiviazione e
diffusione delle informazioni inerenti agli aspetti fisici dell’ambiente
urbano sono simili per tutte le città.
Un obiettivo
importante, indirizzato al miglioramento della pianificazione
urbanistica è lo sviluppo della consapevolezza ambientale.
A partire
dalla riflessione sulla sostenibilità, la più recente generazione di
piani urbanistici tende a ridefinire i propri obiettivi e contenuti,
mettendo in campo questioni a lungo considerate marginali quali:
minimizzazione dei consumi di risorse non rinnovabili; riduzioni delle
immissioni inquinanti; riduzione dei consumi di risorse rinnovabili
entro i limiti posti dalle capacità di rigenerazione delle risorse
naturali; incremento della quantità e della qualità delle risorse
naturali in ambito urbano; incremento della biodiversità e della
biomassa; promozione di adeguate modalità di gestione dei cicli
dell’energia, dei materiali, dell’acqua e dei rifiuti; contenimento dei
processi di crescita urbana; promozione della partecipazione dei
cittadini ai processi di trasformazione urbana.
I metodi e
le tecniche per studiare e gestire l’ambiente urbano sono disponibili.
Come fare perché tali metodi e tecniche siano accettati e/o utilizzati è
una questione amministrativa, politica, sociale e normativa per ogni
paese e nelle quali gli esperti delle scienze fisiche e biologiche hanno
e dovranno giocare un ruolo crescente, se vogliono vedere la loro
scienza usata per migliorare le città.
Bibliografia
-
Marina
Alberti, Gianluca Solera, Vula Tsetsi “la Città sostenibile –
analisi, scenari e proposte per un’ecologia urbana in Europa” Franco
Angeli 1994
-
Roberto
Della Seta, Daniele Guastini “Dizionario del pensiero ecologico da
Pitagora ai no-global” Carocci editore 2007
-
Giuseppe
Gisotti “Ambiente urbano – introduzione all’ecologia urbana” Dario
Flaccovio editore 2007
-
Virginio
Bettini “Ecologia urbana – L’uomo e la città” Utet 2004
Flavia Pollonio |