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L’ambiente : lo sviluppo territoriale e lo sprawl

di Nicola Pasetti 

 

Affrontare lo sviluppo territoriale significa affrontare un tema delicato a causa delle implicazioni che causa sul sistema sociale.

Sociologia e territorio sono cardine e legame indissolubile nella trattazione di un’epocale trasformazione, espansione e cambiamento del nostro ambiente.

Faccio riferimento ad un effetto particolarmente evidente in questi ultimi anni: lo sprawl, o città diffusa.

Questo fenomeno – ritengo - sia conseguenza ed espressione di uno sviluppo economico e di una mutazione sociale che causa un lento ma progressivo esodo dalle campagne (dal lavoro agricolo) ed una parallela quanto paradossale espulsione dalle città (in cerca di abitazione a basso costo).

Queste concause, per dirla come Cederna, portano il nostro territorio a scomparire sotto “la repellente crosta di cemento e asfalto”.

Il consumo del suolo, però, non è facilmente individuabile dalla collettività, perché nonostante il cittadino ne sia fruitore spesso è invece incapace di percepirlo a causa delle limitate conoscenze.

È un fenomeno che va divorando le nostre campagne, le nostre montagne, le nostre coste, ce ne accorgiamo viaggiando in treno, vedendo sfuggire davanti a noi paesaggi che non hanno più un loro orizzonte, o meglio l’hanno cambiato in un continuum unico di grande metropoli (almeno è questa l’idea che si percepisce ora). Se poi ci spostiamo ad una visuale d’insieme, da satellite (come ora è facilmente possibile da internet) l’impressione che si ha, anche della sola Lombardia, è disarmante.

Ma non dobbiamo temere solo i nuovi cantieri, bisogna dare un’occhiata anche al costruito perché non è detto che gli scempi non vadano corretti (o in qualche caso demoliti).

Tra l’altro stupisce che lo sprawl assuma proporzioni di crescita assurde se confrontate col conseguente aumento della popolazione (che ritengo sia l’indicatore primario).

Non può essere motivo di sollievo guardare gli altri Paesi. La questione del consumo di suolo non è, infatti, circoscritta; la società americana ci appare in evidente difficoltà. Lo strumento dell’Urban Growth Boundaries, ideato a Londra per la ricostruzione della città a seguito dei bombardamenti del ’43, è un mezzo, sembra, veramente importante nel suo intento, un controllo dell’espansione che altrimenti continuerebbe a danneggiare i paesaggi agricoli e le foreste; pare anche efficace nel coordinamento tra enti regionali e locali per lo sviluppo delle terre di confine. Pianifica le attività di rilevanza metropolitana quali ad esempio i trasporti, ma cercando al contempo di non creare nuove infrastrutture, autostrade etc. In pratica viene attuato per migliorare l’esistente e frena la diffusione dello sprawl attraverso nuove iniziative.

Infatti i danni dell’espansione urbana sull’ambiente sono molti e considero anche

 la violazione del paesaggio oltre che il suo consumo: l’impatto della trasformazione attuata è visivamente negativa, inoltre la stessa diffusione abitativa può contribuire a frammentare la società.

Come afferma Paolillo, è giusto accusare “l’abitudine malsana di processi deregolativi, emergenziali, «spontanei» che hanno fatto decadere del tutto i freni inibitori della parsimonia insediativa condizionando il governo del territorio[1], perché il controllo territoriale deve essere anche controllo ambientale; una politica di governo del territorio deve partire da conoscenze ambientali ed indirizzarne così lo sviluppo. Non a caso getterei anche uno sguardo alle attività umane che hanno origine da una politica ambientale poco attenta, proprio perché è snodo essenziale. In pratica dobbiamo cercare di indirizzare la nostra attenzione su quello che è la rigenerazione dell’ambiente, delle sue risorse, ad esempio la salubrità degli insediamenti stessi.

Un ulteriore passo che ritengo fondamentale è l’interdisciplinarietà, un parallelo svolgimento e studio di più di una scienza.

Questo mio intendimento nasce dalla consapevolezza che in ciascuna delle azioni umane si può e si deve riconoscere un insieme di attività legate al modo di pensare, di muoversi, (quindi le stesse azioni di sfruttamento del suolo e dei suoi beni). Infatti, il solo modo di usare i beni, ad esempio costruendo cave o scavando tunnel per i trasporti, vanno a modificare non solo l’aspetto visivo ma anche a “sconvolgere” spesso il normale processo vitale di zone, se non addirittura la stabilità geomorfologica. Si pensi banalmente ai danni prodotti, in certi luoghi montani, dalla reptazione dovuta al continuo sostare di animali da alpeggio; tutto questo dovuto ad una semplice azione circoscritta e “naturale”.

L’osservazione è rivolta soprattutto alla conoscenza di tutto l’indotto sotto ogni punto di vista. A seguito di determinate azioni va monitorato, studiato, e sviscerato l’effetto che scaturisce o ne potrebbe scaturire. Le azioni devono essere valutate e interpretate a 360 gradi e non solamente osservate da un punto di vista prettamente urbanistico.

Quindi un uso del suolo che in questo caso non si ferma all’erosione del territorio, di per sé già gravissima, ma va ad evidenziare i danni indotti dall’espansione urbana, industriale etc.

Nell’evidenziare il consumo del suolo vanno presi in esame diverse facce del medesimo problema che  ritengo essere in almeno quattro grosse fasce.

1. L’antropizzazione come primo grande contenitore, in quanto l’uomo è il ‘modificatore’ per eccellenza del tuo habitat naturale, intendendo con questo il consumo legato proprio al suo trasformare attivamente il territorio per usi urbani, agricoli e industriali.

2. Segue un punto poco valorizzato cioè l’abbandono delle terre agricole che si lega a due sotto-problemi: il degrado ambientale (come depauperamento di acque) e il processo di urbanizzazione. Quest’ultimo, con i suoi processi conseguenti di infrastrutture frammenta il territorio e causa anche un rapporto squilibrato tra aria, acqua e suolo.

3. L’erosione superficiale legata all’uso quasi estremo dovuto a colture non idonee, o colture intensive.

4. Ultimo, ma non per importanza, è l’erosione della massa naturale, dovuta all’azione di comportamenti antropici.

Non dimentichiamoci, altresì, di una piccola indicazione derivata dall’ecologia riguardante la cosiddetta impronta ecologica. Infatti, in un modello di valutazione ambientale è sempre più indispensabile la piena predisposizione di questa disciplina nel definire linee di attenzione. In particolare, appunto, il concetto di impronta determina la capacità di un ecosistema nel sostenere la vita di un certo numero di esemplari delle specie animali presenti, senza che vengano alterate le caratteristiche del sistema stesso. Ci serviamo oggi di questo concetto per misurare la sostenibilità, oppure l’impiego che l’uomo fa della natura, o l’impatto della sua azione sull’ambiente.

Questa breve tesina ci ha portato anche a ricordarci che il suolo è legato strettamente alla salute dell’ambiente.

Rammentiamoci, infatti, che un errato uso del territorio determina una conseguenza negativa sulla bio-capacità di un’area, ovvero sulla capacità di rigenerare risorse perché  un’evidente urgenza deve essere la conservazione del capitale naturale.

L’impatto ha, infatti, un effetto domino in quanto la pianificazione è una programmazione e come tale va coordinata; di conseguenza è necessario che le strategie di insediamento vadano connesse con strategie di trasporto (nonché con strategie di raccolta e smaltimento rifiuti e così via).

Bisogna saper cogliere la molteplicità dell’ambiente, invece la dispersione insediativa ha caratteristiche e numeri impressionanti che spesso non vengono considerati. Dai dati estrapolati dai censimenti 1991-2001 si calcola che le undici più grandi città italiane abbiano perduto circa 700.000 abitanti.

O meglio, non perduto ma sparpagliato. Migliaia di ettari al mese sono consumati per far posto a Villettopoli e Commerciopoli, etc, come le definisce Berdini[2]. Tutto ciò non è comprensibile attraverso i soli dati demografici, bisogna leggere il territorio con molti altri dati.

Non a caso la stessa percezione del paesaggio riconosciuto dalla Convenzione Europea viene legata con importanti funzioni culturali piuttosto che ecologiche o sociali.

E allora diciamo che la funzione del paesaggio è in parallelo dinamismo con la politica territoriale, e se è vero che – come sosteneva Borges – l’espressione del mondo è espressione della mano che lo disegna, e quindi autoritratto della società, la nostra percezione è di una società in degrado piuttosto che di benessere.

Tra l’altro dal D.Lgs del 2008 si evince che il territorio è espressione di identità. E allora appunto perché ne è l’espressione, devono essere studiate e capite le interrelazioni che vi avvengono; potrei concludere che agire sul territorio è quindi agire sulla percezione del paesaggio.


[1] in Territorio, rivista, Milano, FrancoAngeli, 2008, n.45

[2] Paolo Berdini  La città in vendita.Centri storici e mercato senza regole. Roma, Donzelli, 2008

Nicola Pasetti

 


 

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