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Gli effetti della globalizzazione sull’ambiente

 

di Francesco Tassone (Mag.2009)

 

Si è scritto molto riguardo a quel fenomeno che va sotto il nome di globalizzazione, quel processo che sembra inarrestabile e che coinvolge l’intero pianeta. È un processo che investe il nostro tempo e che pone in atto smisurate trasformazioni economiche, socio-culturali ed ambientali.

I cosiddetti “paesi sviluppati” si sono investiti di una sorta di “missione umanitaria”, finalizzata ad estendere a tutto il mondo i diritti umani e i valori della democrazia. I governi occidentali, in altre parole, perseguendo solamente i propri interessi privati, hanno “imposto” al mondo la globalizzazione promettendo pace e benessere economico.

Ma, al contrario, ci troviamo alle prese con la guerra, la crisi economica e giganteschi problemi ambientali.

A fronte della grave emergenza ambientale che attanaglia il nostro tempo, gli storici si sono interrogati e si interrogano sulle possibili cause che possiamo individuare all’origine dell’atteggiamento devastatore dell’uomo nei confronti della natura. E molteplici sono state le ipotesi interpretative che cercano di rintracciare il fondamento e l’origine della distruttività umana verso l’ambiente; ma è certo che, nel tentativo di rendere il proprio “habitat” più confortevole e adatto ai propri bisogni, l’uomo ha esercitato la sua azione trasformatrice sulla natura, stravolgendo, però, alcune componenti essenziali per l’equilibrio uomo-ambiente. Un equilibrio delicato, precario, minacciato e irreversibilmente compromesso dallo sviluppo delle aree urbane e, soprattutto, di quelle industriali.

Cosa ha indotto la società del nostro tempo a minacciare l’equilibrio e la sopravvivenza del nostro pianeta? È a partire da questo interrogativo che sono state elaborate teorie disparate circa le cause che hanno preparato l’attuale crisi ambientale.

C’è chi privilegia, per così dire, cause “sovrastrutturali”, attribuendo le maggiori colpe a particolari valori e concezioni che avrebbero incentivato l’uomo a non avere alcuna considerazione per la natura; c’è chi, al contrario, imputa all’industria, alla crescita economica e, soprattutto, all’affermazione e al predominio del modo di produzione capitalistico le maggiori responsabilità per la degradazione ambientale del nostro pianeta. Io penso che economia e valori e concezioni del mondo si influenzino a vicenda, ma che sia, al contempo, innegabile l’effetto assolutamente distruttivo dell’economia globalizzata sull’ambiente. Essa, difatti, sferra un vero e proprio attacco all’ambiente, vanificando palesemente la possibilità di una gestione sostenibile delle risorse naturali.

Proprio alla globalizzazione va addossata la responsabilità della portata mondiale che hanno assunto le problematiche ambientali; problematiche che, oramai, superano la capacità di amministrazione e controllo da parte tanto di politici, quanto di manager-finanzieri.

Il problema ambientale divenne rilevante a partire dal 1992, quando, in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro, venne lanciato l’allarme sulle condizioni climatiche del pianeta e introdotto il concetto di sviluppo sostenibile. Quando, però, nel 2002, durante la Conferenza di Johannesburg, si fece il bilancio di dieci anni di globalizzazione economica, le conclusioni non furono rassicuranti. Come scrive Liliana Gargagliano in un suo recente lavoro, pubblicato nel 2008 e intitolato Economia e ambiente. I “limiti” nel rapporto uomo-natura, «nei Pesi del Nord Sviluppato, è cresciuto il prelievo di materie prime e risorse energetiche; sono cresciute le aree urbane convertite (per urbanizzazione, agricoltura o degrado); sono aumentate le emissioni che alterano il clima; si sono perse fonti d’acqua pulita e sono aumentati i rifiuti rilasciati nell’ambiente.».

 

La situazione nel Sud del mondo non è certamente migliore: sembra, infatti, che la crescita dei consumi energetici abbia sopravanzato la crescita economica e che, a partire dagli anni ’90, sia esploso l’inquinamento e il degrado. In queste aree, c’è da considerare anche l’influenza del fenomeno della  cosiddetta delocalizzazione, ossia il trasferimento delle fasi della produzione verso le aree dove, oltre a bassi costi del lavoro, vi sono anche bassi livelli di controllo e protezione ambientale. Indubbiamente la delocalizzazione di alcuni processi produttivi, nei paesi in via di sviluppo, comporta anche una riduzione degli standard ambientali dei processi: la regolazione e la capacità di garantirne l’applicazione è in questi paesi decisamente più bassa di quella in vigore nei paesi cosiddetti “sviluppati”, basti pensare all’esportazione di rifiuti tossici nei paesi “in via di sviluppo”.

Ma, complessivamente, si può, però, sostenere che la gravità dei problemi ambientali e di inquinamento non sembra connessa in maniera diretta con un processo di delocalizzazione delle attività più inquinanti dai paesi sviluppati verso i paesi in via di sviluppo.

La produzione industriale nei settori più inquinanti è rimasta, infatti, concentrata soprattutto nei paesi sviluppati.

Diretti effetti ambientali della globalizzazione dei mercati sono piuttosto ravvisabili nell’impatto esercitato dal peggioramento delle ragioni di scambio sulle materie prime agricole, che hanno sollecitato una spinta verso livelli produttivi sempre più elevati innescando fenomeni gravi di erosione e di inquinamento, dagli effetti indiretti delle politiche di aggiustamento strutturale, dalle restrizioni imposte attraverso i trattati internazionali all’applicazione di politiche ambientali di prodotto.

C’è da dire, infine, che anche le istituzioni sovranazionali mostrano di non essere ancora in grado di porre rimedio ai problemi ai quali le singole nazioni non sanno o non vogliono trovare soluzioni.

Sono, infatti, in vigore più di 200 trattati internazionali di protezione ambientale, ma solo rare volte vengono osservati, e istituzioni internazionali come il WTO e il Fondo Monetario Internazionale  appaiono incuranti e assolutamente inerti di fronte alle proprie responsabilità nei confronti dell’ambiente. Il pericolo è che questa incuranza finisca per compromettere le condizioni di riproduzione della stessa vita sulla Terra.

 

 Francesco Tassone

 
 

 

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