di Clara Tumminelli
All’estremità nord del lago di Como, nel comune di
Colico, sorge sulle rive della penisola di Olgiasca l’Abbazia di Piona.
La storia di questo complesso monastico si perde nel tempo.
Resti di antiche civiltà sono stati rivenuti sulla penisola. In
particolare nel complesso abbaziale è stata ritrovata un’urna dedicata
ad una certa Festina, datata III-V d.c. e nel chiostro fu ritrovato un
coperchio di sarcofago con una spada di epoca altomedioevale.
La prima documentazione certa della presenza di una comunità monastica
si ha nel VII secolo. È stata ritrovata una stele datata al 616 e
conferma la presenza di un sacello dedicato a Santa Giustina
corrispondente alla piccola abside che si vede dietro la chiesa
romanica. Tesi dibattuta per molto tempo dagli storici.
Il sacello secondo l’iscrizione del cippo fu voluto dal vescovo di Como
Agrippino per festeggiare i suoi dieci anni di vescovato.
Verso la metà dell’XI secolo sorse la nuova chiesa dedicata a Santa
Maria e consacrata nel 1138. Non ci è dato sapere con precisione quando
vi fu l’ulteriore cambio di dedica, sappiamo che fu l’ultimo, infatti,
ancora oggi l’abbazia è dedicata a San Nicola.
La chiesa si presenta con una facciata a capanna realizzata con
materiali non omogenei, probabilmente fu chiusa in un secondo tempo. Si
pensa che ci fosse un periplo d’accesso alla chiesa. Ipotesi supportata
dalla presenza di due leoni collocati attualmente in chiesa e reggenti
entrambi un’acquasantiera, posizionate successivamente. È presente,
infatti, sul dorso dei leoni l’inizio di una colonna.
Sulla facciata si apre la porta bronzea realizzata dallo scultore
Federico Abram. I due battenti sono ripartiti in sei riquadri
rappresentanti gli episodi della vita di san Benedetto. All’interno
della navata sono collocate delle formelle sempre in bronzo e dello
stesso scultore, dedicate alla Via Crucis.
La chiesa ha una sola navata con abside circolare rivolta ad oriente,
con aperture a feritoia ed ad arco a tutto sesto. La pianta è
irregolare, denota la realizzazione dell’edificio realizzato in tempi
diversi. Solo la navata è decorata con affresco. Al centro del catino è
presente Cristo in mandorla benedicente con una mano e con l’altra
reggente un libro. Attorno i simboli dei quattro evangelisti. Nella
parte inferiore sono rappresentati i dodici Apostoli. Sulla volta
ritorna il Cristo fra angeli e ai lati due sestine di Apostoli.
Di grande rilievo è il chiostro datato 1252-57 con eleganti colonne dai
capitelli istoriati.
Caratteristica del chiostro è la sua irregolarità. I quatto lati hanno
un numero diverso di colonne, per un totale di quarantun colonne e
quatto pilastri tutti diversamente istoriati con motivi vegetali e
animali. Il colonnato sostiene il piano superiore trattato a ghiere in
cotto e bande di marmo bianco e nero e forato da bifore.
Di notevole interesse i numerosi affreschi. All’ingresso si incontra
l’apparizione di Cristo risorto a Maria di Magdala, datato XV – XVI
secolo. Nella galleria nord la decorazione percorre longitudinalmente
l’intero lato. Sono due fasce sovrapposte. In quella superiore è
rappresentato il Calendario. Sono raffigurati i mesi dell’anno racchiusi
entro cornici rosse e alternati a decorazioni geometriche; in quella
inferiore scene di santi sono inserite in cornici gialle e alternate a
decorazioni geometriche e a riquadri in finto marmo.
Nella galleria sud si trova l’affresco di San Benedetto del ‘300.
Dal lato est si accede alla sala capitolare. Gli stalli e le spalliere
di legno sono di scuola veneziana datati XVIII secolo e provengono dalla
sagrestia di San Zeno a Verona. Lo stile è di tipo classicheggiante con
colonne tortili e lesene sormontate da capitelli compositi. Di notevole
rilevanza e maestria sono i pannelli intarsiati rappresentanti Adamo ed
Eva cacciati dal paradiso terrestre e un sole che irradia con i suoi
raggi la terra.
La meraviglia del luogo caratterizza l’atmosfera, infatti, l’intero
complesso è inserito in un ambiente naturale che dona un senso di pace e
di tranquillità.
(C.T.)
In Europa con l’avvento della rivoluzione industriale
nacque un nuovo ceto sociale: il proletariato. Fu proprio nei
primi paese industrializzati che si formarono le prime Società
Operaie di Mutuo Soccorso. Fu la progressiva consapevolezza dei
lavoratori per la propria condizione di sfruttamento e la volontà di
combattere questa condizione e la necessità di propri diritti che diede
la spinta alla nascita e ad una veloce diffusione dei principi
fondamentali.
Gli scopi perseguiti erano l’assistenza, la beneficenza e la mutualità
che garantivano ai soci iscritti un sussidio in caso di malattia, di
vecchiaia od infortunio. A ciò si affiancarono con il passare del tempo
altri obiettivi tra cui la scolarizzazione, con la creazione di scuole,
e l’educazione alla moralità.
I lavoratori iscritti alle società operaie lasciavano parte del loro
salario come quota annuale, la quale era utilizzata per le spese
generali, per l’assistenza ai soci e per garantire una prima forma
pensionistica che era restituita in proporzione alla quota data.
In Italia le prime Società nacquero nel XIX secolo. La loro diffusione
avvenne in modo capillare dopo l’unità nazionale, anche se al
centro-nord erano molto più numerose rispetto all’intera penisola.
Queste istituzioni si dividevano in due tipi: quelle generali aperte a
tutti e quelle specifiche riservate ad un’unica professione.
E fu così che nell’ultimo paese sulle rive del lago di Como nacque,
crebbe e resistette al tempo una Società Operaia.
La Società Operaia di Mutuo Soccorso, sezione di Colico, fu fondata il
19 aprile 1964, per volontà di Michele Ghisla, patriota repubblicano.
Furono nominati membri onorari Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi,
come era consuetudine presso tutte le società.
Nel regolamento deciso dai padri fondatori si legge nel primo articolo
che ha per base l’unione e la fratellanza e per iscopo il mutuo soccorso
materiale, intellettuale e morale. Tende quindi a procurare ai soci che
la compongono un soccorso in caso di malattia, ed un sussidio in caso di
vecchiaia; […] a facilitare ad essi il conseguimento del lavoro, e
dell’istruzione, ed a promuovere la moralità.
La Società nel corso della sua storia ha contribuito alla nascita
dell’asilo infantile donando dei locali di propria proprietà. Ha
allietato alcune domeniche con il proprio corpo musicale. Ha aiutato la
comunità ad acculturarsi avendo una propria biblioteca ed un teatro.
La Grande Guerra rallentò l’attività, la quale fu diretta
prevalentemente nell’assistenza alle famiglie dei soldati al fronte.
Con l’avvento del fascismo molte Società Operaie cessarono d’esistere o
si trasformarono in enti morali. Le loro funzioni primarie, l’assistenza
ai lavoratori e la previdenza sociale erano svolte dallo stato. Fu
discusso in assemblea un eventuale scioglimento della società. Proposta
bocciata quasi all’unanimità.
Grazie a questa decisione la società continuò a vivere anche nei momenti
più bui della nostra storia e fra due anni la Società di Mutuo Soccorso
di Colico compirà centocinquant’anni.
Ad oggi conta più di un centinaio d’iscritti. Cerca, come nel passato,
di essere utile alla comunità, mantenendo immutati i valori della
solidarietà, dello stare insieme e del costruire insieme.
La Società Operaia cerca di programmare il futuro attualizzando gli
scopi per i quali è nata, intervenendo per soddisfare i bisogni della
sua gente, anche se in condizioni e con metodi profondamente diversi.
Negli ultimi anni l’associazione ha svolto diverse iniziative. Le
attenzioni son state e sono rivolte a creare progetti per far ritrovare
agli anziani il piacere di vivere nella terza età, per aiutare i giovani
ad inserirsi nel mondo del lavoro, per dare agli adolescenti la
possibilità di sfogare a propria creatività e per far vivere ai bambini
la loro età in un mondo che si evolve sempre più rapidamente.
(C.T.)
Clara Tumminelli |