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LA TUTELA DELL’AMBIENTE TRA
ACQUA PRIVATA E CENTRALI NUCLEARI
di Alessandro Di Fiore
I tanti dibattiti che si sono scatenati sul
tema del nucleare (ed anche, seppure in misura minore, sul tema della
privatizzazione del servizio idrico) in occasione dell’appuntamento
referendario di giugno, mi inducono ad una riflessione su una materia
particolarmente delicata e spinosa quanto evanescente (per i motivi che
esporrò in seguito): la materia della tutela dell’ambiente, con
particolare riferimento ad una eventuale (completa o incompleta)
copertura costituzionale di una siffatta materia.
Occorre preliminarmente dire che, nonostante
che la tutela ambientale abbia un’importanza fondamentale sia per il
singolo sia per la comunità, il vocabolo “ambiente” nella Costituzione
italiana ha fatto il suo ingresso solo nel 2001, in occasione della
riforma del titolo V°. Come mai? Possibile che un argomento così
importante sia stato trascurato dal legislatore costituente del 1948?
Non è proprio così. Le ragioni che ci fanno comprendere che in realtà,
al di là di una prima analisi approssimativa, il nostro costituente ebbe
a cuore la materia ambientale, sono forse utili a mio avviso anche per
capire meglio cosa si intenda per “ambiente”.
Il termine “ambiente” rinvia ad un
concetto inevitabilmente complesso. Massimo Severo Giannini, uno dei
massimi studiosi amministrativisti che il nostro Paese abbia mai
conosciuto, ci aiuta a comprendere tale concetto. Egli distingueva tra
ambiente inteso come paesaggio; ambiente inteso come ecosistema a cui è
dedicata la normativa a difesa del suolo, dell’aria, dell’acqua;
ambiente collegato alla normativa sull’urbanistica.
Così concepito il termine “ambiente” trova
già una seppure parziale copertura costituzionale attraverso l’art. 9,
in cui tra i compiti della Repubblica si individuano quelli della tutela
del paesaggio e del patrimonio artistico e culturale. A sua volta il
termine “paesaggio” può essere inteso in senso stretto e in senso lato.
In senso stretto statico: le ville, i parchi, i giardini, e tutte le
bellezze estetiche che contribuiscono a costituire il panorama naturale;
in senso ampio dinamico come forma sensibile dell’ambiente, come forma
di interazione tra uomo e natura. Entrambe queste accezioni (la seconda
delle quali si allontana dalla tripartizione gianniniana venendo il
paesaggio inevitabilmente a comprendere anche la materia
dell’urbanistica) hanno diritto di cittadinanza nell’art. 9.
La seconda accezione del vocabolo
“ambiente”, nel pensiero di Giannini, rinvia, come ho accennato in
precedenza, alla difesa del suolo, dell’acqua e dell’aria. E’ evidente
il collegamento tra questi elementi costitutivi dell’ambiente con il
tema dell’inquinamento ambientale quale fattore di rischio per la salute
dell’uomo. Questo secondo significato attribuibile al termine ambiente
trova dunque sicura consacrazione costituzionale nell’art. 32, il quale
espressamente riconosce quale compito primario della Repubblica quello
della tutela della salute, sia quale diritto dell’individuo, sia quale
interesse della collettività. Insomma l’ambiente salubre costituisce un
presupposto indefettibile della tutela della salute, e dunque la norma
che eleva a rango costituzionale tale tutela non può che elevare
conseguentemente a rango costituzionale anche il suo presupposto, cioè
la tutela della salubrità dell’ambiente.
Una volta riconosciuta puntuale copertura
costituzionale alla tutela dell’ambiente negli articoli 9 e 32, una
volta cioè riconosciuto che tale tutela costituisce diritto del singolo
ed interesse della collettività di rango costituzionale, è alquanto
facile individuare altri articoli costituzionali che, menzionando
diritti e doveri genericamente intesi (menzione che intenzionalmente
prescinde da puntuali qualificazioni così da comprendere situazioni
giuridiche identificate in altre norme costituzionali e anche, secondo
dottrina decisamente maggioritaria, situazioni non espressamente
identificate ma di fatto consacrate quale “diritto vivente”), assumono
carattere di norme aperte, idonee a ribadire e confermare quella tutela
ambientale in altre norme sancita. Mi riferisco all’art. 2, in cui la
tutela della salubrità dell’ambiente (inteso nelle due accezioni sopra
descritte) è interpretabile come diritto riconosciuto e come dovere del
singolo e dell’Autorità pubblica; mi riferisco all’art. 3, comma 2, che
attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale (aventi dunque anche carattere ambientale)
che impediscono il pieno sviluppo della persona umana; mi riferisco
all’art. 21, inteso anche come norma che consacra il diritto-dovere di
informazione in materia ambientale; mi riferisco all’art. 41, in cui
l’utilità sociale che costituisce limite all’attività economica può
essere intesa come interesse alla salubrità dell’ambiente; mi riferisco
all’art. 42, in cui i motivi di interesse generale per i quali si può
procedere alla espropriazione possono essere anche di carattere
ambientale.
Il quadro costituzionale in materia
ambientale prima della riforma del 2001, cioè prima che il vocabolo
“ambiente” venisse scritto nero su bianco in Costituzione, era quello
sopra seppure succintamente delineato.
Dopo la riforma del 2001 si assiste a mio
avviso ad una sorta di paradosso. Quando il termine “ambiente” non era
scritto in Costituzione, nessun problema o scarsissimi problemi
sussistevano in ordine alla ricostruzione concettuale del termine le cui
linee portanti sono state evidenziate in precedenza. Alla luce della
riforma del titolo V° in cui espressamente tra i compiti affidati allo
Stato l’art. 117 lett. s) menziona la tutela dell’ambiente,
questa ricostruzione rischia di vacillare pericolosamente. Perché?
Potrebbe rispondersi, semplicisticamente,
perché se il vocabolo “ambiente” è menzionato, il legislatore del 2001
si è guardato bene dal definirlo. In verità personalmente non mi spingo
a pretendere una definizione in Costituzione del termine, ma mi
accontento di vedere rispettata una certa coerenza logica nel criterio
di distribuzione delle competenze legislative in materia tra lo Stato e
le regioni.
A mio avviso è proprio questa coerenza
logica ad essere carente. Infatti se l’art. 117 attribuisce alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia dell’ambiente,
lo stesso articolo attribuisce alla competenza concorrente (di Stato e
regioni) sia la materia della tutela della salute, sia la materia della
valorizzazione dei beni ambientali. Senza tacere del fatto che tra le
materie attribuite in via residuale e dunque esclusiva alla competenza
legislativa regionale vi sono quelle dell’agricoltura, della caccia,
della pesca, cioè materie il cui collegamento con la materia ambientale
è difficilmente confutabile.
A questo punto a mio avviso si aprono due
scenari alternativi: o si scinde nettamente la materia ambientale da
quella inerente alla tutela della salute e alla tutela e valorizzazione
del paesaggio, con ciò in un colpo solo svuotando di gran parte del suo
contenuto il vocabolo “ambiente” e facendo tabula rasa di tutto quanto
detto finora, a cominciare dall’autorevole insegnamento del Giannini,
fino alla consolidata giurisprudenza costituzionale maturata fino al
2001; oppure si riconosce che l’ambiente costituisce un valore, come
tale ricollegabile necessariamente ad una materia trasversale, rispetto
alla quale (data, appunto, la trasversalità che la caratterizza), non
può applicarsi un criterio rigido di distribuzione delle competenze.
L’auspicio, anche alla luce delle
recentissime polemiche sulle installazioni di centrali nucleari (sul
niente affatto remoto rischio di inquinamento ambientale al quale esse
esporrebbero), e sulla privatizzazione del servizio idrico (la corretta
gestione del quale non può prescindere dalla salvaguardia della
salubrità dell’acqua e dunque dell’ambiente), è che l’attuale quadro di
distribuzione delle competenze, così improvvisato e contraddittorio, non
induca ad una tentazione che costituisce prassi privilegiata nel nostro
Paese: quella volgarmente ma efficacemente detta dello scaricabarile.
Alessandro Di Fiore |