VOLEVANO VOLARE
di Gioia Magliozzi
Quando le vedevano arrivare negli aeroporti,
i meccanici si chiedevano increduli: «Ma che fine hanno fatto i
piloti?». Avevano davanti le oltre mille donne-pilota che fra il 1942 e
il '44 servirono con onore gli Stati Uniti d’America.
Durante la seconda guerra mondiale, in
un’epoca in cui poche donne osavano persino guidare l’automobile, quelle
che volevano volare per il loro Paese si trovavano di fronte a
un’impresa davvero difficile.
Mentre la guerra incombeva sull’Europa,
Jacqueline “Jackie” Cochran, da molti considerata la più grande
aviatrice della storia, sollecitava Eleanor Roosevelt – moglie del
Presidente degli USA Franklin Delano Roosevelt – a persuadere Washington
ad avviare un programma di volo per donne nell’esercito.
La signora Roosevelt si era appassionata
alla causa dalle colonne del giornale “My Day”, diventandone una fiera
sostenitrice soprattutto dopo l’attacco a sorpresa di Pearl Harbor da
parte delle forze aero-navali
giapponesi,
quello che il 7 dicembre
1941
coinvolse tragicamente gli USA nella
seconda guerra
mondiale.
La Roosevelt sosteneva che se la guerra
fosse proseguita abbastanza a lungo, e se le donne avessero pazientato,
l’opportunità di volare avrebbe bussato alla loro porta. Ma nello stesso
tempo scriveva: «Questo non è un momento in cui le donne dovrebbero
essere pazienti. Siamo in guerra e dobbiamo combatterla con tutta la
nostra capacità e con tutte le armi possibili. I piloti donna, in questo
caso particolare, sono un’arma in attesa di essere usata». Era il 1°
settembre del ‘42.
Nel frattempo, la carenza di piloti spingeva
l’aviazione americana a prendere in considerazione la possibilità di
addestrare al volo le donne per spostare materiali e velivoli da una
base aerea a un'altra e per altre mansioni non di combattimento.
Il Women's Auxiliary Ferrying Squadron
(WAFS), uno squadrone tutto al femminile istituito nel
1942,
si occupava di trasportare gli aerei da guerra dalle fabbriche alle basi
di addestramento o fino alle zone di combattimento. Contemporaneamente,
il distaccamento per l’addestramento al volo delle donne, guidato da
Jackie Cochran, reclutava e addestrava piloti donna per una varietà di
incarichi. Nel giro di un anno le due organizzazioni si fusero nella
WASP (acronimo di Women Airforce Service Pilots, che suona come
“wasp”, “vespa”) con la Cochran alla direzione.
Le WASP erano impiegate
in servizio civile, ma si conformavano alla disciplina militare
addestrandosi per trenta settimane nell’austero aeroporto di Avenger
Field, in Texas. Ricevevano la stessa istruzione di volo dei colleghi,
tranne che su argomenti come il volo in formazione e l’artiglieria, di
solito omessi. Se all’inizio le “vespe” trasportavano aerei leggeri, ben
presto le si vide pilotare e collaudare i caccia più avanzati,
bombardieri e aerei da carico, e partecipare anche a missioni
pericolose.
Ma non furono mai
considerate dei veri “piloti militari”: erano sottopagate e non
ricevevano riconoscimenti né indennità, neanche quando venivano ferite o
uccise in guerra. Sulle loro bare non ci sono mai state bandiere a
stelle e strisce.
Dai tempi della WASP,
le donne hanno fatto passi da gigante nell’aviazione civile e militare.
Oggi pilotano i jet di linea più sofisticati e figurano in guerra
tra i top gun. E, questo, anche grazie alle “vespe” della seconda
guerra mondiale, pioniere del volo per passione.
(Secondo finale
possibile, solo se si mette la foto VD. SOTTO – su Wikipedia in genere
le foto sono di libero utilizzo, se se ne cita l’autore: )
Proprio come Cornelia
Fort, la prima donna a perdere la vita volando per l’Army Air Force,
il 21 marzo 1943: i suoi occhi e il suo sorriso siano radiofari per
tutti i piloti, donne e uomini, di oggi.
Gioia Magliozzi - ENAV
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